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Giorgio Mezzalira: Eredità con molti limiti

23.10.2021, Corriere dell'Alto Adige - editoriale

 

Nel gioco delle ricorrenze il 40ennale del Censimento 1981 pare quasi far da contrappeso al 50° del secondo statuto di autonomia. Da una parte le celebrazioni, dall’altra le contestazioni. Eppure quel passaggio delicato e controverso del “censimento nominativo”, condensato da Alexander Langer con l’evocativa immagine delle “gabbie etniche”, ci ricorda che, quando parliamo di successo a proposito dei traguardi raggiunti con l’autonomia provinciale, dobbiamo considerarli frutto di una storia che non è sempre stata di successo. Nella seconda metà degli anni 70 la società altoatesina fu attraversata da una crisi di adattamento, così la definiva Claudio Nolet, dovuta all’impatto dell’introduzione delle norme su bilinguismo, proporzionale e dichiarazione di appartenenza linguistica, tre capisaldi del nuovo sistema autonomistico. Ne risentì lo stesso clima politico e per tutta la prima metà degli anni 80 si assistette ad una forte polarizzazione, che diede fiato e spazio alle destre e al nazionalismo. Il censimento del 1981 con l’obbligo della dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico, pena la perdita di alcuni diritti politici e sociali, costituiva un tassello fondamentale per il consolidamento dell’assetto del nuovo sistema autonomistico, anche perché gli si affidava il compito di certificare – non c’è termine più appropriato – il profilo della società che avrebbe dovuto goderne i benefici. Una società fatta a misura della somma delle comunità linguistiche riconosciute e riconoscibili (italiani, tedeschi e ladini). Ma non era tutto il Sudtirolo e non ne rappresentava la complessità. Fuori rimanevano i mistilingui, i cittadini italiani appartenenti ad altre nazionalità, gli stranieri o semplicemente le persone che per scelta decidevano di non stare alle regole di un simile sistema di intruppamento nei gruppi. Dichiarazioni mancate, false o di comodo furono tra i frutti malati di questa distorsione. Passò l’idea che “etnico” non solo è meglio, ma funziona come corsia preferenziale per diritti, garanzie e salvaguardie. Sempre Langer definì un’aberrazione l’idea che la giustizia etnica in Sudtirolo si potesse garantire solo se tutti erano incasellati e tutti individualmente fissati, per cui in ogni occasione bastava tirare fuori la scheda, per sapere a quale quota, il tale o la tale avevano diritto. Era lecito schedare quasi mezzo milione di persone per distribuire 7.000 posti con la proporzionale?

rima furono le piazze, poi i tortuosi sentieri dei ricorsi legali. Una volta esaurita la spinta del movimento contro le “gabbie etniche”, le iniziative volte a denunciare le storture e sollecitare modifiche all’impianto delle norme sul censimento e sulla dichiarazione di appartenenza non si arrestarono. A questo proposito va ricordato l’importante ruolo avuto dall’associazione Convivia sul piano dei rilievi di natura tecnico-giuridica. Smontata l’impalcatura su cui reggeva il censimento del 1981 in Sudtirolo, la rilevazione censuaria è tornata ad avere il carattere statistico che gli è proprio. Dal 2018, inoltre, l’Istat ha introdotto il Censimento della popolazione con cadenza annuale e con carattere a campione, quindi non più né “generale” né decennale. Ciò ha obbligato la Provincia di Bolzano a rivedere la normativa in materia e la Commissione dei Sei a varare una nuova norma di attuazione, giunta peraltro all’ultimo minuto. Ancora quest’estate, nell’imminenza del censimento della popolazione (3 ottobre 2021), all’Astat non sapevano come avrebbero dovuto comportarsi con il censimento linguistico.

Di aggiustamento in aggiustamento la normativa è stata riscritta per smussare le criticità che conteneva, per esempio sulla questione della tutela dei dati sensibili, con l’obiettivo però di salvaguardare per quanto possibile l’integrità degli istituti della proporzionale e della connessa dichiarazione di appartenenza. Anche se va detto che al lato pratico la proporzionale si dimostra sempre più residuale ed elastica e la dichiarazione di appartenenza sempre meno rispondente al reale accertamento dell’appartenenza. Se già quarant’anni fa le tre caselle non bastavano, oggi si dimostrano ancor meno rappresentative per una realtà chiamata a rispondere ai bisogni e ai diritti di una società sempre più multietnica. La presunzione di modellare e cristallizzare un sistema con un’impronta esclusivista, pensato a immagine e somiglianza dei tre gruppi (italiano, tedesco, ladino), perdura come eredità e principio di riferimento, ma i conti con la mutevole realtà locale contemporanea continuano a svelarne tutti i limiti.

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