Giorgio Mezzalira: L'opacità verso gli altri
Parlare di integrazione di questi tempi pare un lusso. Dai porti chiusi ad una legislazione tanto restrittiva da risultare in contrasto con i diritti umani, le risposte che i governi hanno dato e stanno dando al problema dell'immigrazione sono tali da farci dire che non siamo affatto usciti dalle logiche dell'emergenza e chissà se mai verrà il giorno. Abbiamo a che fare con una serie di provvedimenti tampone che insieme sono tanto di più lontano, di quanto si possa pensare debbano essere gli strumenti per governare una simile questione.
La riduzione degli sbarchi sulle nostre coste degli ambasciatori delle nuove povertà, dei cambiamenti climatici e dei tanti conflitti che infiammano Africa e Asia fanno dire ai Salvini di turno che si è finalmente trovata una soluzione. Di sicuro in Europa in molti ringraziano, non solo i paesi del gruppo di Visegrad. Ora è più facile e comodo distogliere lo sguardo dai drammi che continuano a perpetrarsi a poche centinaia di chilometri da noi. Possiamo far finta di avere la coscienza pulita. Ma se l'allarme sbarchi sembra agli italiani un ricordo, non lo è l'emergenza, che è divenuta una sorta di stato di agitazione costante, buono per plasmare uno spirito pubblico assai sensibile ai temi della sicurezza. E non c'è dubbio che si tratti di un'arma politicamente assai efficace. Poco conta che circolino numeri e statistiche ufficiali e attendibili che mettono in discussione il presunto assalto al nostro benessere da parte dei migranti, il timore di non essere più padroni in casa propria è tanto e tale da farci risultare refrattari perfino all'evidenza.
Può risultare, così, un puro esercizio teorico occuparsi ora di come affrontare le tante gradazioni con cui possiamo declinare l'incontro con il diverso da noi. In realtà, il tema del rapporto con l'altro da sé resta centrale e tutte le manovre che cercano di sviarlo, facendolo apparire al massimo accessorio o funzionale, impattano negativamente sulla possibile tenuta della coesione sociale. Posto che ormai, lo si voglia o meno, siamo una società multietnica e le migrazioni di certo non si fermeranno. Eduard Glissant, poeta, scrittore e saggista delle Antille, che aveva fatto dell'identità antillese una delle sue più importanti riflessioni, ha introdotto un concetto ingombrante nell'approcciare il tema del confronto con l'altro da sé: l'opacità. Lui rivendicava il diritto all'opacità, ossia - le parole sono sue - non essere compreso totalmente e non comprendere totalmente l'altro. Ogni esistenza, proseguiva, ha un fondo complesso ed oscuro che non può e non deve essere attraversato dai raggi x di una pretesa conoscenza totale. E concludeva affermando che bisogna vivere con l'altro e amarlo, accettando di non poterlo capire a fondo e di poter essere capiti a fondo da lui.
E' uno dei temi dell'integrazione, di quanto debba o possa essere forte l'abbraccio con cui accogliamo l'altro. Stretto sì, ma non per soffocarlo, per ridurlo ai nostri canoni. L'opacità non si arroga il diritto di comprendere realtà dell'altro che ci sfuggono, aspetti di una diversità che comunque possiamo conoscere per rispettarli e amarli.