Fondazione Fondazione bacheca 2018 conversione cologica-rotta adriatica

Statuto C.d.A. (Consiglio d'Amministrazione) & Revisori Comitato Scientifico-Garanzia Staff Programma attività Relazioni finali bilanci consuntivi Elenco contributi pubblici Ich trete bei - mi associo Quaderni della Fondazione bacheca 2005 bacheca 2006 bacheca 2007 bacheca 2008 bacheca 2009 bacheca 2010 bacheca 2011 bacheca 2012 bacheca 2013 bacheca 2014 bacheca 2015 bacheca 2016 bacheca 2017 bacheca 2018
news 2018 alessandro leogrande migrazioni e conflitti ambientali conversione cologica-rotta adriatica
laudato sì' perugia - assisi europa desiderabile
bacheca 2019 bacheca 2020 bacheca 2021 bacheca 2022 Bergamaschi Paolo-info Mezzalira Giorgio Info memoria adelaide aglietta andreina emeri anna segre anna bravo lisa foa renzo imbeni marino vocci giuseppina ciuffreda José Ramos Regidor clemente manenti simone sechi Irfanka Pasagic findbuch - archivio Comunicati Stampa LAVORA CON NOI Elenco contributi pubblici
RE 2009-giardino dell'Arca (18) Spazio all'integrazione! (12)

Giovanni Damiani: I debiti con la natura, relazione tra ecologia ed economia, equilibrio fra uso e rigenerazione

10.5.2016, da "una buona politica per riparare il mondo"

Il campo dell’ecologia è notoriamente connesso a quello dell’economia: l’Unione europea raccomanda che per la valutazione della sostenibilità di progetti, programmi, opere, occorre valutarne contestualmente gli aspetti economici, ecologici e sociali. Per lo sviluppo sostenibile l’Unione adotta la definizione coniata nel Rapporto Brundtland (Onu,1987) secondo cui è «uno sviluppo che soddisfi i bisogni della popolazione presente senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare i propri».

Eppure nonostante l’ampiezza del dibattito politico dalla conferenza mondiale di Rio de Janeiro nel 1992, a quella di Johannesburg tenuta dieci anni dopo, perdurano equivoci sull’interpretazione da dare a questo termine tanto che in letteratura se ne rinvengono oltre centocinquanta significati diversi. Esso viene applicato comunemente e con determinazione a metà (solo per la parola sviluppo) e così rischia oramai di essere solo un ossimoro dal quale in molti si sono allontanati per ricercare definizioni più chiare quali «sostenibilità» o «futuro sostenibile».

Criteri di base per la valutazione della sostenibilità ispirati a criteri scientifici e quindi riproducibili, sono stati forniti dall’economista Herman Daly nel 1991 e hanno trovato larghissimo consenso teorico anche se scarsissima o nulla applicazione pratica. Potremmo chiamarli «principi della sostenibilità» e riassumerli in tre aspetti: Rigenerazione, Ricettività ambientale, Sostituzione delle risorse esauribili (che devono restare il più possibile costanti), con quelle rinnovabili.

 

I tre fondamenti della sostenibilità

Il principio di rigenerazione stabilisce che il tasso di prelievo delle risorse rinnovabili dev’essere commisurato al tasso della loro rigenerazione. Pertanto ogni prelievo dovrebbe essere indirizzato qualitativamente verso fonti rinnovabili. E poi c’è il problema di quanto prelevare. Non è certo sostenibile un’economia che sottragga più risorse marine di quanto il mare riesca a rigenerarne, più legname di quanto un bosco possa riformarne…: fare diversamente comporterebbe l’esaurimento del «capitale» economico.

In ecologia però le cose sono diverse. Se consideriamo che gli ecosistemi svolgono una grande moltitudine di «funzioni» aggiuntive rispetto a quelle di creare utilità dirette per l’uomo, dobbiamo tenere presente che il prelievo delle risorse rinnovabili deve essere ben inferiore alla capacità di rinnovazione della risorsa. Prelevare il 100 per cento degli «utili» di ciò che la natura produce, infatti, porterebbe la completa artificializzazione degli ecosistemi e la perdita del livello minimo di integrità che è alla base della loro stabilità dinamica, della «durevolezza» e della loro «funzionalità».

I boschi, ad esempio, rendono disponibili una moltitudine di prodotti oggi non utilizzati, ospitano mantengono ed elaborano biodiversità, rilasciano ossigeno all’aria, rendono permeabile la terra sciogliendo la roccia con l’acido carbonico che si forma dall’anidride carbonica esalata dalle radici e dall’attività metabolica della lettiera, mobilizzano sali indispensabili alla vita verso il ciclo delle acque, umidificano l’atmosfera, difendono il suolo dall’erosione e dai dissesti, contribuiscono alla regimentazione delle acque, creano «isole» di vapore in grado di condensare l’acqua atmosferica «provocando» le piogge, assorbono gas-serra, regolano il clima, producono bellezza… In definitiva, dovremmo utilizzare circa la metà delle risorse ecosistemiche e lasciarne l’altra indisturbata per le funzioni ecologiche complessive.

 

Il principio di ricettività ambientale invoca che il tasso di immissione nell’ambiente dei rifiuti dev’essere inferiore alla capacità di assimilazione degli stessi, da parte dei sistemi naturali.

Anche questo enunciato racchiude implicazioni qualitative: perché gli ecosistemi possano assimilare e metabolizzare i nostri rifiuti occorre che quest’ultimi siano biodegradabili e non tossici. Riguardo alla quantità occorre che non vengano superate le capacità dei meccanismi di degradazione chimico-fisici ed eco-biologici di demolizione e ricircolo. L’inquinamento organico nell’acqua, ad esempio, si risolve naturalmente se nell’ecosistema rimane ossigeno disciolto... Così come pure le sostanze azotate e fosfatiche non sono un problema in acque che ne contengono pochissimo (anzi, talvolta possono migliorarne le condizioni ecosistemiche) mentre, seppur indispensabili alla vita nella fascia delle quantità «giuste», il loro eccesso comporta crisi drammatiche conseguenti all’eutrofizzazione.

Il principio di sostituzione delle risorse esauribili con quelle rinnovabili prevede che il tasso di utilizzo delle risorse esauribili debba essere commisurato con l’impiego di sostituti rinnovabili.

Abbiamo detto che ogni prelievo di risorsa dovrebbe essere effettuato dai flussi, piuttosto che dagli stock, così che il quantitativo delle non rinnovabili potrebbe essere mantenuto il più possibile costante, anche attraverso il riuso, il recupero, il riciclaggio (si pensi che nell’era della rivoluzione elettronica/digitale lo stagno con cui si fanno le saldature nei micro-circuiti elettrici, è da anni nel novero dei metalli preziosi, ed è sempre più «tagliato» con il piombo che ha performance inferiori. Anche il rame ormai costa tantissimo (lo rubano diffusamente persino nei cimiteri). Una sostituzione graduale e programmata dei prodotti indegradabili, tossici, limitati ed esauribili con sostituti innocui, biodegradabili e rinnovabili, consentirebbe una transizione controllata e quindi non traumatica verso un’economia basata su fonti di energia pulita e materiali rinnovabili e sostenibili.

I principi di precauzione e prevenzione

Tuttavia bisogna tenere sempre presente che l’economia ha un «difetto» di fondo: si occupa solo di ciò che ha un prezzo, un costo monetizzabile e, in definitiva un mercato. Nel campo dell’ecologia invece la stragrande maggioranza delle componenti non ha un prezzo di mercato e ciò genera infinite distorsioni valutative. Lo abbiamo visto chiaramente nelle procedure di valutazione economica del danno provocato all’ambiente da attività illecite, nell’azione giudiziaria in cui bisogna fissare l’ammontare del risarcimento. Possiamo quantificare e addebitare l’illecito profitto di chi ha inquinato l’ambiente buttandovi illegalmente dei rifiuti, poi calcolare il costo tecnologico di una bonifica… ma quante cose ci sfuggono? Quanto vale un insetto che pure ha un ruolo chiave nell’impollinazione dei frutteti? Quanto vale l’ultima orchidea di una specie in estinzione? Quanto vale una farfalla che apparentemente non ha alcuna «utilità» in natura? L’ultima coppia di bisonti rimasta sul pianeta avrebbe teoricamente un valore infinito… ma l’economia la valuta a chili di carne bovina. Inoltre gli ecosistemi sono complessi e le loro componenti sono collegate ed integrate: quanto «vale» la dis-integrazione (perdita di integrazione) che magari è irreversibile senza che ce ne accorgiamo?

Non c’è solo il problema, quindi, di equilibrio fra «uso» e «rigenerazione» delle risorse, ma anche quello di conservare un livello accettabile di integrità degli ecosistemi. Strumenti utili per questo ci sono… basta applicarli correttamente.

Importante da adottare è il principio di precauzione introdotto con il Trattato dell’Unione europea per gli obiettivi delle politiche ambientali: al fine di proteggere l’ambiente, devono essere largamente adottate una serie di misure preventive ancor prima che abbia inizio un processo di degrado.

Il principio di precauzione si applica quando le conoscenze scientifiche-teoriche ci portano a considerare che la diffusione di una sostanza, di un organismo manipolato geneticamente oppure un’esposizione ad agenti chimici o fisici (ad es. radiazioni non ionizzanti) «possono causare», anche in via puramente teorica, danni alla salute ed all’ambiente… Anche se nell’immediato non sono disponibili metodologie, tecnologie di rilevamento per dimostrare inoppugnabilmente l’impatto presunto e il nesso causa-effetto, è lecito ed opportuno assumere un atteggiamento ragionevolmente cautelativo.

Importante è anche il principio di prevenzione (articolo191 del Trattato di Lisbona) che ha l’obiettivo di evitare i danni ambientali azzerando ogni rischio, con il dovere di predisporre tutte le misure dirette ad evitare alterazioni ambientali. Altri principi utili a riguardo sono: di integrazione, introdotto con il trattato di Amsterdam (che sta diventando un principio fondamentale di tutta l’azione comunitaria in materia di ambiente) che prevede che tutte le discipline riguardanti qualsiasi ambito della vita umana devono essere integrate da una valutazione d’impatto ambientale, e il principio di correzione alla fonte (art. 191 Tfeu ex art. 174 Ce) che prevede l’immediata rimozione della causa che può produrre l’inquinamento secondo la logica che alla fonte, prima che si abbiano dispersione e mescolamenti, la correzione assume maggiore efficacia.

Ecco quindi inquadrati i problemi del nostro tempo: preleviamo più risorse di quanto gli ecosistemi marini, agrari, forestali ecc. ne possano produrre, consumiamo troppo le risorse non rinnovabili determinandone la penuria e l’imminente esaurimento… gettiamo via troppi rifiuti e troppe sostanze tossiche, biocide, omicide e sostanze non decomponibili nell’ambiente… e «divoriamo» l’ambiente naturale senza conoscerne le conseguenze.

Con questo modello di sviluppo capitalistico, sia privato che di Stato, basato sull’ideologia della crescita illimitata e caratterizzato dal disprezzo per le regole della natura, abbiamo messo in crisi persino il sistema climatico globale: tifoni, bombe d’acqua, frane, crisi alimentari e idriche, accaparramento delle residue risorse che sono le vere ragioni di tante guerre in corso e di esodi di massa. Ci siamo inimicati la pioggia che fa sempre più paura e anziché portare gioia e vita, porta dissesti e alluvioni … mentre in altre zone, come in California, sembra voler essere andata via. Il punto di perdita del controllo del sistema climatico globale è prossimo e stimato, da varie fonti scientifiche (l’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico,  insignito del premio Nobel; la Wmo, l’Organizzazione meteorologica mondiale, e varie fonti nazionali) tra circa 15-20 anni se le emissioni dei gas clima alteranti proseguirà al ritmo attuale. E, si badi, ad inquinare e a devastare l’ambiente non sono solo i Paesi ricchi a economia industriale, ma anche quelli che sono tenuti in stato di povertà dove le milioni di famiglie usano cucine a kerosene o bruciano di tutto, incluse le plastiche e gli pneumatici. Nei Paesi industrializzati sono state praticamente sconfitte o ridotte ad un ruolo insignificante le malattie a propagazione oro-fecale per la contaminazione dell’acqua; nei Paesi non sviluppati esse non solo persistono largamente ma sono addirittura in aumento e così le vecchie patologie si sommano alle nuove prodotte dall’inquinamento. Persiste ancora lo sterminio per fame.

 

Le «cose buone» oltre i limiti

Alla luce degli eventi intercorsi negli ultimi quasi cinquant’anni dalla pubblicazione delle analisi riportate nel volume I limiti dello sviluppo e in base alle attuali conoscenze, c’è da chiedersi cosa è cambiato nella situazione ecologica ed economica globale. Ci sono state sorprese? Direi di sì ... e anche molto grandi. A livello economico basta pensare alla Cina, all’India e al Brasile. Ma inaspettatamente la minaccia globale più vicina e diretta non deriva tanto dal superamento dei limiti delle risorse non rinnovabili e finite (petrolio, gas, metalli ecc…) né dall’inquinamento che pure è molto grave e preoccupante. La minaccia più inquietante deriva, dalla sfera puramente ecologica, dal superamento dei limiti delle «cose buone», anzi addirittura indispensabili per la vita.

Tutta la vita sul pianeta (la produzione degli alimenti, noi stessi) dipende, infatti, da alcune sostanze fondamentali: carbonio, azoto, fosforo, i cosiddetti «macronutrienti» indispensabili per la crescita dei vegetali dalla cui fotosintesi regge ogni forma di vita. E poi occorrono l’acqua ed i microelementi. Le leggi dell’ecologia (le leggi di Liebig e di Shelford) e l’esperienza pratica ci dicono però che queste sostanze devono trovarsi entro limiti di disponibilità minimi (limiti inferiori), ma non devono superare un massimo (secondo limite, superiore). Un esempio può essere l’acqua: se si trova al di sotto di un minimo si muore di sete… ma se è presente al di sopra di un massimo si muore lo stesso perché nessuno sopravviverebbe per sempre in ammollo o se fosse costretto a berne decine di litri tutte in una volta. Vediamo, per le sostanze sopra elencate, quali sono i limiti minimi e massimi da cui stiamo deragliando e che devono destare preoccupazione e stimolare priorità d’interventi.

Il carbonio è presente come anidride carbonica nell’aria in cui siamo immersi. È alla base della fotosintesi e quindi della produzione alimentare mondiale per tutti i viventi. Il suo eccesso nell’aria (da 180 ppm nell’era pre-industriale, passando per i 280 ppm nel 1800… fino ad arrivare oggi, mentre andiamo in stampa, ad aver superato i 400 ppm) ha però scatenato l’effetto-serra, modificando il clima globale, producendo conseguenze al sistema fisico e a quello vivente: alluvioni, lunghi periodi di siccità, l’avanzata dei deserti, malattie delle piante, migrazione di specie, riscaldamento innalzamento e acidificazione dei mari, tornado ricorrenti… insomma tutte le conseguenze che l’Ippc ha ben descritto e misurato e che leggiamo dalle cronache.

L’azoto, secondo elemento in ordine di importanza per la vita sulla Terra, è emesso massicciamente dalle attività umane attraverso le urine e metaboliti vari (dalle fogne e dai depuratori), dai fertilizzanti agricoli di sintesi, ed ha l’intero ciclo stravolto perché è immesso in eccesso come rifiuto nel ciclo dell’acqua e, negli ecosistemi di fiumi, torrenti, ruscelli, dei laghi e dei litorali marini, provoca crescite demografiche esplosive di alghe. Quando queste muoiono, i batteri della biodegradazione consumano l’intero ossigeno presente nell’acqua e l’ecosistema muore per asfissia. Inoltre l’azoto che sottoforma di nitrato finisce nelle falde acquifere, resta lì per sempre non essendovi nelle profondità della terra attività biologica in grado di trasformarlo, e ciò ha già costretto ad abbandonare migliaia di pozzi perché la loro acqua non è più potabile.

Anche il fosforo è immesso, attraverso le fognature urbane, nel ciclo dell’acqua in un così forte eccesso da produrre, insieme all’azoto, eutrofizzazione e morte negli ecosistemi acquatici. Come l’azoto, anche questo elemento è «oro» per la fertilità dei suoli, naturali ed agricoli, ma nell’acqua pur essendo indispensabile deve essere presente entro limiti assai ristretti.

Oggi possiamo permetterci il lusso sciagurato di sottrarre questi elementi essenziali alla terra e buttarli come rifiuto nel comparto sbagliato - quello dell’acqua - e in quantitativi formidabili, solo perché sosteniamo l’agricoltura con i concimi di sintesi chimica. Attenzione però! Sappiamo bene che ai tassi attuali di consumo il fosforo delle miniere si esaurirà entro il secolo corrente, prefigurando la crisi prossima futura dell’intera agricoltura mondiale. Il che significa che milioni di esseri umani, se non si corre da subito ai ripari, dovranno morire di fame e folle immense di profughi ambientali migreranno per il mondo alla ricerca della sopravvivenza. Il fosforo dei nostri metaboliti (ognuno di noi ne evacua con le feci quasi un chilogrammo all’anno) potrebbe essere recuperato intanto da subito dai depuratori, facendo un favore alla salute ecologica dei fiumi e del mare… ma costa (economia versus ecologia!). Potrebbe essere recuperato ancora ricollegando agricoltura ed allevamento (il buon letame!) ma la prospettiva più efficace sarebbe quella di eliminare progressivamente del tutto le fognature per introdurre i gabinetti a compostaggio che già esistono, sono igienici, eleganti ed ecologici.

Dopo più di due millenni dovremo stabilire la fine della cloaca maxima che fu un motivo d’orgoglio della civiltà idraulica romana. Si apre quindi l’era in cui anche la merda va riacquistando il suo effettivo, prezioso valore, in cui si tornerà ad allevare i piccioni per il loro guano… e ogni rifiuto organico sarà avviato al compostaggio (cosa che può essere avviata da subito per gli scarti domestici).

 

Insolvenza fraudolenta

Altro che preoccupazioni per la fine del petrolio! Questo ha molti sostitutivi rinnovabili e, anzi, prima finisce e meglio sarà per la salute della Terra, impestata dai derivati petrolchimici e dai residui dei combustibili fossili.

L’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo è sicuramente una minaccia grandissima e globale. La perdita di biodiversità è un problema rilevantissimo e bisogna difendere gli habitat, le specie e i genotipi, garantire gli spazi, le connessioni ecologiche e le interazioni di cui hanno bisogno. Ma… se vediamo quali sono le minacce oggi a noi più vicine ed impellenti e di rilievo globale, dobbiamo constatare che esse sono generate dal superamento dei limiti minimi e massimi (carenza nella terra ed eccesso nelle acque e nell’aria) delle «cose buone», anzi indispensabili per la vita. Stiamo compromettendo le basi fondamentali, molecolari e bio-geo-chimiche della vita stessa… L’insolvenza fraudolenta, termini che Alex Langer ha mutuato dall’economia e dal diritto fallimentare, uniti sono sinonimi di «decozione» e designano un soggetto non in grado di onorare i suoi debiti che vengono nascosti e scaricati sugli altri, come effettivamente sta avvenendo anche per quelli ecologici… e sempre ai danni dei Paesi poveri e dei poveri nei Paesi ricchi.

Conforta l’esistenza diffusa di una costellazione di esperienze pratiche che mostrano che il cambiamento è possibile, ma perché si affermino compiutamente nella politica e nelle società devono crescere la cultura, la consapevolezza e lo spirito di solidarietà e di pace tra gli umani e il mondo in cui vivono.

 

pro dialog