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Giuseppina Ciuffreda: Alexander Langer e la Campagna Nord Sud

22.3.2017, introduzione a Una vità pu semplice - Altreconomia 2005

Alexander Langer era speciale ma non unico. Era infatti uno dei tantissimi visionari pratici che negli ultimi decenni del ventesimo secolo hanno tessuto la trama di una nuova cultura lavorando con le comunità locali su progetti di ecologia sociale, rispetto dei diritti umani e giustizia sociale, portando il loro contributo all’utopia di un mondo migliore.

Sono stati capaci di tenere insieme tendenze che spesso si ignorano, o di vedere il nesso tra fenomeni apparentemente diversi. Pur avendo individualità spiccate hanno saputo lavorare in gruppo e in un rapporto di reciprocità, spesso di ascolto umile, con le comunità indigene e contadine. Hanno seguito la propria vena senza per questo ignorare gli altri percorsi dando vita a una sorta di intellettuale collettivo planetario. Un tipo nuovo, cui si addice la definizione di Naomi Klein: «nodo di una rete sociale di attivisti che condivide con altri il sapere, non rivendicando status particolari». O quella di Ugo Dotti:«L’intellettuale che conta è quello che cerca di esprimere, nella consapevolezza dei valori dell’antico, forme nuove di emancipazione e di civiltà».  Hanno creato reti, si sono confrontati in incontri internazionali, hanno scritto e ancora scrivono, agiscono e a volte muoiono. Come è accaduto a Chico Mendes e Ken Saro Wiwa. 

Questa comunanza matura  negli anni Ottanta. Sono anni che pongono sotto gli occhi di tutti gli effetti disastrosi del sistema produttivo industriale, fino allora benedetto strumento di benessere per milioni di persone. Certo, premonizioni e allarmi c’erano stati anche negli anni precedenti. Primavera silenziosa, il famoso libro in cui la scienziata statunitense Rachel Carson denunciava gli effetti negativi dei pesticidi, è del 1962. E il 1972 è senza dubbio uno spartiacque. In quell’anno infatti si tiene a Stoccolma la prima conferenza mondiale sull’ambiente, il Club di Roma pubblica I limiti dello sviluppo  e Teddy Goldsmith, il direttore di The Ecologist, uno dei primi periodici verdi, da alle stampe Blueprint for Survival, un’agenda dei cambiamenti drastici cui le società industriali dovevano mettere mano senza indugio. In Italia la diossina avvelenava Seveso e si lottava contro la centrale nucleare di Montalto di Castro. Ma è dalla metà degli anni Ottanta che esplode nel mondo la «questione ambientale», dopo i miracoli economici seguiti alla seconda guerra mondiale che inaugurano anche in Europa stili di vita consumistici, e quando vengono al pettine i nodi delle politiche di aiuti ai paesi sottosviluppati. Il neoliberismo rilanciato da Ronald Reagan negli Stati Uniti e da Margaret Thatcher in Gran Bretagna non comprendeva le questioni ambientali e aggrava una situazione inquietante per la sua novità, con fenomeni di natura transnazionale: le piogge acide sui boschi del Nord Europa, la fascia d’ozono lacerata, le foreste tropicali decimate, la biodiversità ridotta in misura drastica, la temperatura aumentata a causa dell’effetto serra, fuso il nocciolo della centrale nucleare di Chernobyl, a Bhopal  esplode una fabbrica chimica della multinazionale statunitense Union Carbide, la Exxon Valdez sversa  petrolio nel mare d’Alaska...

 Eventi gravi che nel 1987 vengono uniti in un quadro scioccante dal primo rapporto sull’ambiente delle Nazioni unite (il Brundtland), seguito l’anno seguente dallo studio annuale del WorldWatch Institute di Washington, diretto da Lester Brown, sullo stato del pianeta. Entrambi raccomandano uno sviluppo sostenibile, ma i governi non ascoltano. Si mobilitano scienziati, gruppi ambientalisti e i primi partiti verdi  che producono informazione e lanciano campagne riprese dai media e seguite con grande partecipazione dall’opinione pubblica.  La reazione all’assassinio di Chico Mendes (dicembre 1988), operaio della gomma, ambientalista e sindacalista che aveva ideato con l’antropologa Mary Allegretti le riserve estrattive per ricavare reddito senza distruggere la foresta, dà nuova linfa alla campagna mondiale per salvare l’Amazzonia. L’analisi delle cause alla base dei maggiori problemi ambientali del Sud del mondo rinviano ben presto alle politiche dei massimi organismi finanziari internazionali:  i mega-progetti di sviluppo della Banca mondiale e i piani di ristrutturazione del Fondo monetario internazionale per il ripianamento del debito estero del Terzo mondo. Sul commercio è in corso uno scontro duro tra paesi del Nord e del Sud nell’Uruguay Round, l’annosa trattativa per regolare il commercio internazionale che si concluderà alla fine del 1994 con la formazione del World Trade Organisation (Wto).  

In quegli anni comincia una grande trasformazione che coinvolge a livello capillare milioni di persone dei paesi ricchi, verso una vita semplice e di qualità mentre gruppi organizzati e intere comunità si organizzano in reti e mettono in discussione le grandi politiche che governano le strategie di sviluppo. E’ questo il contesto, ricco di problemi ma anche di progetti entusiasmanti, da cui nascono le idee e le iniziative che forse più hanno reso felice  Alex Langer. Le sue intuizioni erano pionieristiche all’epoca e anticipatrici di temi oggi attuali: il debito estero del Terzo mondo, la «conversione» ecologica di produzione, commercio e consumo, la convivenza tra culture e etnie diverse, la capacità di lavorare in rete, l’etica biofila, i beni comuni nuovi soggetti del diritto.

La natura transnazionale dei problemi ambientali conferma la sua idea che i popoli siano interdipendenti e che praticare l’arte della convivenza non sia soltanto auspicabile ma necessario perchè «è esigenza dell’intera umanità di salvaguardare l’integrità del pianeta». L’ecologia per Langer non è di sinistra e nemmeno di destra. Unendo concetti in apparenza contraddittori, rivendica il valore della conservazione e la novità assoluta dell’ambientalismo. L’incontro con l’ecologia sociale elaborata nei paesi del Sud del mondo rese più solida la sua convinzione che giustizia sociale e diritti umani siano legati alla difesa della natura. Ma non condivide la politica rosso-verde.  Ne scrive ampiamente, più volte: l’incontro con il patrimonio storico della sinistra non può ridursi a uno slogan in cui il rosso domina ma bisogna invece ripensare le strategie per la giustizia sociale alla luce delle nuove emergenze planetarie ambientali. Oggi sono sempre di più gli intellettuali, gli artisti e gli attivisti che condividono quest’idea. Per tutti Sebastiao Salgado, il grande fotografo brasiliano che, presentando il suo progetto Genesi, ha affermato: «La redistribuzione delle risorse tra Nord e Sud della Terra è possibile solo attraverso una solidarietà sui temi dell’equilibrio  ecologico».

Per Langer l’attività politica è radicata nella dimensione locale, il luogo dove i «cittadini  comuni» si misurano ogni giorno con problemi sociali e ambientali. Quei cittadini comuni di cui Eduard Pestel nel volume Oltre i limiti dello sviluppo, scritto per il club di Roma, rivendica il ruolo decisivo nei tempi di rapide trasformazioni rispetto ai politici e ai burocrati che formano la classe dirigente. Nella dimensione locale vivono le scelte degli individui e ci si associa formando piccoli gruppi affini. Qui si formano i soggetti del cambiamento che troviamo riuniti in reti regionali, nazionali e infine olanetarie. Langer però non crede che un mondo alternativo nasca dalla somma automatica delle esperienze locali. Conosce la necessità di  elaborare strategie e non a caso ricopre ruoli nelle istituzioni rappresentative.  Ma è convinto che le lotte locali siano  materiale indispensabile per la riflessione teorica sulle alternative perché, sostiene, «senza il tessuto di tante scelte parziali...di sperimentazioni...le scelte globali difficilmente potranno maturare». Il territorio è dunque il luogo privilegiato delle alternative concrete, al Nord e al Sud.  Langer non vuole inserire nuovi fenomeni storici in ideologie che non hanno retto il confronto con la realtà o non si misurino con il problema nuovo del saccheggio della Terra. Ma nel teatrino politico italiano è un profeta inascoltato. Prevalgono conservatori poco conservazionisti e progressisti troppo pronti ad accettare il quadro economico che il dogma della crescita ad ogni costo delinea. I neonati Verdi sono ben presto travolti da un travaglio politico che ancora persiste.    

 Nonostante la sua presa di posizione contro la schedatura etnica in Alto Adige-Sud Tirolo, l’antica militanza in Lotta Continua e la scelta radicale per la convivenza tra etnie e culture diverse, Langer viene accusato di scivolamenti reazionari. La polemica esplode quando nel 1986 firma con altre 21 persone di area verde e ambientalista, tra cui tre donne, un messaggio che appoggia il documento sulla bioetica elaborato dal Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, cardinale Joseph Ratzinger, l’attuale Papa. Durissima la reazione di femministe, di tante verdi e della sinistra. La mano tesa da Alex ai cattolici del Movimento per la vita non sembrava l’azione coraggiosa di un saltatore di confini in cerca di dialogo con l’altro ma piuttosto un maneggio politico per avere consensi sulle altre battaglie ambientaliste, quali lo stop alle manipolazioni genetiche e al nucleare. In realtà la reazione era provocata soprattutto dalla semplificazione che ne usciva dai giornali. Il messaggio non rimetteva in discussione la legislazione sull’aborto ma voleva far riflettere nella ricerca di un’etica biofila verde. Al centro c’era il rifiuto di ogni forma di manipolazione genetica e l’appello alla Chiesa cattolica perché estendesse la sua sensibilità anche alle piante e agli animali. Chiedeva inoltre alle istituzioni scientifiche cattoliche di rifiutare la vivisezione. Difendendo la sua firma, Langer riconfermava il sostegno alla depenalizzazione dell’aborto e si dissociava dalla omologazione col lo sterminio nazista fatta da Papa Wojtyla. Criticava anche le posizioni di chi metteva l’aborto al centro dell’«emergenza vita» ma non si preoccupava di altri drammatici aspetti: nucleare, guerre, debito del Terzo mondo, inquinamento...Ma restava convinto che la questione dell’interruzione di gravidanza non potesse essere «il fulcro di  garanzia di diritti civili e dell’autodeterminazione della donna» e, soprattutto,  non riteneva giusto usarla come una clava ideologica per distinguere i buoni dai cattivi.

Il fatto è che la battaglia durissima per far uscire l’aborto dalla clandestinità era troppo vicina e Langer toccava un nervo scoperto, che è rimasto tale. Vedi le reazioni recenti a un’analisi della storica Anna Bravo che indicava il dolore del feto come un rimosso della generazione neo femminista entro una rimozione più vasta della militanza violenta nei gruppi extraparlamentari degli anni Settanta. Ma la storia del neo femminismo italiano, e anche quella dei gruppi, raccoglie tendenze diverse. A Roma, nei piccoli gruppi di autocoscienza, la violenza dell’aborto era ben presente. Del dolore del feto non si parlava, anche perché la vita che cresceva era sentita un tutt’uno con il proprio corpo. Quando si scopriva una gravidanza non desiderata, abortire era una necessità in cui moriva una parte vitale di se stesse. Il problema era e rimane  comunque troppo intricato. Poneva  problemi di libera scelta delle donne complicati oggi da diversi ordini di problemi che vanno oltre i destini individuali grazie a una  fecondazione artificiale che richiede la produzione di embrioni, prevede inseminazioni eterologhe e uteri in affitto. Non si può poi ignorare che avanzano pratiche di manipolazione dei geni che spingono verso l’eugenetica e una normativa internazionale che prevede la brevettibilità del vivente (lo scorso anno il Parlamento europeo ha praticamente annullato la decisione contraria presa nel 1995, per spinta di Langer). Il quadro in cui si discute oggi il diritto alla maternità, la scelta degli embrioni o l’aborto di feti malformati, l’uso di embrioni nella ricerca scientifica va ben oltre l’orizzonte neo femminista, che giudicava l’aborto una drammatica necessità da superare attraverso una consapevolezza sempre maggiore, per una maternità scelta.  Ma va ben oltre anche la crociata in atto negli Stati Uniti, che è arrivata all’assassinio dei medici che praticano gli aborti e il rifiuto della Chiesa all’uso dei preservativi che dà via libera all’Aids, e dunque alla morte, nel martoriato continente africano.  Resta il fatto che soltanto il degrado politico che di tutto fa una bandiera e il fondamentalismo religioso possono tagliare di netto problemi che superano gli schieramenti per la loro profondità umana e civile.  

Del «documento Ratzinger», così venne polemicamente ribattezzato, si discuterà anche nel convegno «Quanto sono i Verdi conservatori - Quanto sono conservatori i Verdi?» organizzato da Langer a Bolzano nel 1987, con la partecipazione di Verdi italiani, tedeschi, austriaci e svizzeri, per approfondire questo nodo intricato della politica ambientalista. Chicco Testa, esponente allora della Lega ambiente,  difese infatti la legge sull’aborto ribadendo l’autodeterminazione della donna messa in discussione da un «ecologismo autoritario». Wolfgang Sachs definì invece i Verdi «un movimento antiautoritario con motivazioni sociali/socialiste che critica progresso e industrialismo». La trasversalità della formazione verde fu resa evidente dalla presenza di due esponenti di spicco dei Gruenen tedeschi: Herbert Gruhl, uno dei fondatori, ex deputato della Cdu, la democrazia cristiana tedesca, e Willy Hoos, operaio nel consiglio di fabbrica della Mercedes fino all’elezione a deputato. Gruhl metteva al centro la sacralità della natura che non può essere ridotta al concetto di ambiente. Hoss criticava la miopia della sinistra che non vede come lo scontro sia fuori della fabbrica: è l’ecologia, il bisogno di pace, le condizioni gravissime del Terzo mondo. Gli operai, soprattutto i chimici, sono ormai impermeabili, sosteneva, e il sindacato ha le sue responsabilità perché non si è mai preoccupato di cosa si producesse. Una posizione politica originale che divise le femministe tedesche ma che è ancora oggi ben viva anche se poco recensita, la fece conoscere in quel convegno Gisela Erler, promotrice di un Manifesto delle madri che venne sostenuto da parlamentari e della Cdu. Era stato eleborato da 500 madri e rimetteva in discussione la politica sulla maternità e la promozione delle donne dei socialdemocratici, condivisa dai Gruenen: la piena occupazione femminile e più servizi sociali non risolvono i problemi delle donne. Bisogna invece cambiare il lavoro tenendo conto della loro diversità, delle esigenze delle madri e dei bambini.  

Per Langer dunque la sfida della seconda metà del ventesimo secolo è formare una nuova cultura ecologicamente orientata che utilizzi il meglio del passato. Il suo messaggio è rivolto soprattutto ai governi e ai cittadini del Nord: il mondo ricco si deve convertire. E’un appello radicale a cambiare stili di vita. E’forte quindi il valore che assegna al mutare dei comportamenti personali per uscire dallo sviluppo, per de-crescere come dirà Serge Latouche, per ridurre i consumi cercando nei prodotti qualità, rispetto per la natura e per i lavoratori. Altrettanto importante, anzi preliminare, è l’apertura mentale: per trovare soluzioni adeguate ai problemi attuali dell’umanità bisogna guardare la realtà con occhi nuovi e praticare nuove militanze.

A dispetto della gravità dei problemi ambientali che emergono senza sosta, a metà degli anni Ottanta l’ecologia è ancora ritenuta un lusso dei ricchi. Che, si diceva, hanno da tempo la pancia piena e possono permettersi bisogni più sofisticati. Ma non è così. Con un appello pubblicato da il manifesto nel 1988 in cui lanciava una campagna per trasformare il debito estero del Terzo mondo in un comune debito ecologico, Langer afferma il contrario: l’impegno ambientalista contribuisce alla sopravvivenza dei poveri del Sud. Pagar es morir, queremos vivir, per questo il Nord «deve assumersi una responsabilità storica. Tocca ai popoli e ai governi che hanno maggiormente determinato le distorsioni e gli squilibri che hanno condotto all’emergenza attuale», inaugurando una nuova fase di cooperazione per ristabilire l’equilibrio tra Nord e Sud del mondo. Il problema del debito esploso all’inizio degli Ottanta nel Terzo mondo a causa del crollo dei prezzi delle materie prime, quindi per i piani di ristrutturazione imposti dal Fondo monetario internazionale, vedeva analisi diverse al Nord e al Sud. Ma per la prima volta in Italia, forse nel mondo dopo una relazione del 1969 di David Brower, il fondatore di Friends of the Earth,  si accostavano concetti quali debito e ecologia. In seguito l’ecuadoriana Esperanza Martinez, la biologa che ha fondato  Accion Ecologica e Oilwatch, osservatorio internazionale sulle imprese petrolifere (nel 2001 destinataria del premio internazionale Alexander Langer) e uno dei consulenti della Campagna Nord-Sud, e l’economista catalano Joan Martinez Alier, direttore di Ecologia Politica e autore di testi sull’ecologia dei poveri, cercheranno di quantificare il debito.

 L’eco dell’appello fu enorme. Basta scorrere il lunghissimo elenco delle adesioni. L’obiettivo più vicino è la partecipazione alle manifestazioni organizzate a Berlino da diversi movimenti per contestare il vertice della Banca Mondiale e del Fondo Monetario, e alla sessione del Tribunale Russell dove per la campagna testimoniano Teddy Goldsmith e Vandana Shiva.

 La campagna diventa presto un gruppo operativo, coordinato da Christoph Baker e Jutta Steigerwald. Persone affini ma con storie, lingue e anche nazionalità diverse che provengono dall’ambientalismo, dalla cooperazione non governativa, dal sindacato, dalla nonviolenza e dal volontariato cristiano. Negli anni lavorano insieme o cooperano Edi Rabini, Mariano Mampieri, Antonio Onorati, Cecilia Mastrantonio, Mao Valpiana, Piergiorgio Menchini, José Ramos Regidor, Alessandra Binel, Pier Toccagni, Nadia Comi, Lucio Cadoni, Caterina Imbastati, Francesco Martone, Gianfranco Bologna,  Tonino Perna, Franco La Torre, Melania Cavelli, Giancarlo Nobile, Pinuccia Montanari, Giorgio Dal Fiume, Andrea Ttrevisani, Marzio Marzorati, Pier Toccagni, Matthias Abram, Arno Teutsch, Sonia Filippazzi, Helan e Clemencia Yaworski, Marinella Correggia, Grazia Francescato, Roberto Smeraldi, don Giulio Battistella.

 La Campagna Nord-Sud: Biosfera, Sopravvivenza dei popoli, Debito, attiva dal 1988 al 1994, è stata una struttura anomala nel panorama italiano. Langer indica sin dall’inizio alcuni punti, validi più in generale per un efficace funzionamento dei gruppi - politici, sociali e culturali. Il bilancio è minimo per un piccolo staff e la promozione di iniziative. Ma un generoso sostegno viene dal movimento verde, entrato nel 1987 in Parlamento, che decide nei primi due anni un uso creativo del finanziamento pubblico. Lo staff, ma in fondo la stessa Campagna, è a termine e biodegradabile per evitare il cristallizzarsi delle idee e la burocrazia. Le attività  devono sempre coinvolgere i soggetti di cui si parla, in questo caso attivisti ed esperti del Sud del mondo. E’ un ritorno al Terzomondismo? Ci sono alcune consonanze ma le differenze sono profonde. La novità è l’ecologia. Si afferma che il Nord è progredito e si è sviluppato sfruttando le risorse di Asia, Africa e America latina sin dal colonialismo ma viene contestato il progressismo industrialista di molte rivoluzioni anti coloniali mentre le alternative prospettate nascono dal rapporto equilibrato con le risorse naturali. Il Sud quindi ha certo il diritto di accedere alle sue risorse ma entro un quadro di  uso sostenibile. Pratica ben nota da secoli ai popoli e ignorata dai governi oggi in carica. L’identità che il Nord sensibile scambia con il Sud non è imperialista ma è cresciuta nelle lotte esplose dagli anni Sessanta, intrecciando ambientalismo, pacifismo nonviolento, neo femminismo, diritti umani e di cittadinanza e un ruolo maggiore dei giovani.

Tra i consulenti e interlocutori politici della Campagna ci sono nomi ormai noti: Vandana Shiva, Wolfgang Sachs, Martin Khor, Wangari Maathai, Susan George e Teddy Goldsmith. Degli altri Leonor Briones è stata direttrice di Focus on the Global Sud e presidente del Freedom Debt Coalition delle Filippine dal 1989 al 1996. La nigeriana Regina Amadi, ex Banca Mondiale per sua scelta, è oggi responsabile regionale dell’ ILO per l’Africa. L’uruguaiano Roberto Bissio è il coordinatore  della Guida al Terzo mondo pubblicata dalla Emi. Rosiska Darcy de Oliveira lasciò il Brasile, dove ha studiato con Paulo Freire e Darcy Ribeiro, dopo il golpe militare, nel 1964. Tornata nel 1979 ha creato associazioni di donne. E’ stata responsabile del Consiglio nazionale per i diritti delle donne ed ha scritto Elogio della differenza, un testo importante sulla politica dlele donne.  Luis Macas, presidente della Conaie, la confederazione indigena dell’Ecuador, è stato il primo deputato indio del paese. Yash Tandon, economista ugandese dottorato allo London School of Economics e attivo nello Zimbabwe, è direttore dell’International South Group Network, una rete Sud-Sud.  Lo statunitense Bruce Rich,direttore  dell’Environmental Defence Found, e autore di uno dei testi polemici sulla Banca Mondiale più recensiti. Eduardo Gudynas è l’animatore del Centro di ricerca francescano ed ecologico di Montevideo e il coordinatore del primo congresso latino americano di ecologia, nel 1989. Con Graciela Evia è autore di uno dei testi di riferimento dell’ecologia sociale, La praxis por la vida, con la prefazione di Ramos Regidor. 

 Particolare e forte è il rapporto con Vandana Shiva e Wolfgang Sachs, che hanno partecipato a tutte, o quasi, le iniziative della Campagna. Jutta Steigerwald nel 1988 presenta l’edizione inglese di  uno dei libri più noti di Shiva e ne promuove la traduzione in italiano. Uscirà nel 1990 con il titolo Sopravvivere allo sviluppo che verrà riproposto nel 2002 dalla Utet  con il titolo Terra Madre. Di Sachs vengono raccolti gli articoli pubblicati di seguito sul manifesto sullArcheologia dello sviluppo che diventa poi un libro con la Macro edizioni. Attraverso convegni e pubblicazioni e articoli sui giornali a volte dello stesso Langer, la Campagna farà conoscere in Italia il pensiero di questi e altri intellettuali di Asia, Africa e America latina, in quegli anni presenze dinamiche negli incontri Nord-Sud, spazi di confronto e di scambio di idee fecondo. Il primo è del 1989, in Nicaragua. E’il convegno Destino e speranza della Terra, organizzato da David Brower. Poi LAltro Summit parallelo ai vertici annuali del G7, della Banca e del Fondo, e le riunioni della società civile che preparavano la loro presenza al vertice dell’Onu su ambiente e sviluppo, più noto come  Rio ‘92. Altre occasioni sono gli incontri sul debito che culminano nel 1990 con un convegno

sulla riconversione ecologica e sociale del debito estero dove economisti del Sud hanno l’opportunità di portare il proprio punto di vista a Bettino Craxi, allora delegato del segretario dell’Onu sulla questione del debito che, invitato, a sorpresa arriva sul serio. E alla fine si risentirà per le conclusioni critiche di Langer. Poi la co-presidenza europea dell’Alliance of Northern People on Environment and Development (Anped) e la presenza fissa nell’International Ngo-Forum Indonesia (Ingi). 

Langer incontra dunque il Sud attraverso le attività della Campagna. Nel 1990 va con Regidor Enzo Nicolodi in Argentina e Uruguay per il secondo congresso latino americano di ecologia. Ha così informazioni di prima mano sull’ecologia sociale dell’America del Sud che rivela consonanze con la teoria della complessità di Edgar Morin, l’ecologia profonda di Arno Naess, il bioregionalismo e come punto di vista proprio indica la stretta relazione tra problemi sociali e ambientali per cui i benefici vanno distribuiti più equamente ma senza distruggere la capacità di rigenerazione della natura. Il testo di Langer dà modo ai sudamericani di conoscere una elaborazione ambientalista del Nord non soltanto conservazionista. Fa esperienza diretta del Sud anche in Brasile partecipando all’assemblea dei parlamentari e al Global Forum della società civile. Dove lancia il Tribunale internazionale dell’ambiente proposto dal giudice Amedeo Postiglione e da Pinuccia Montanari. La proposta dimostra ancora una volta la sua lungimiranza, la capacità di cogliere idee nuove. In questo caso realtà transnazionali portatrice di diritti: l’aria, l’acqua e la terra, beni comuni dell’umanità che le generazioni presenti hanno in prestito e devono trasmettere intatte o migliorate alle generazioni future.

La resistenza allo Sviluppo vede il ritorno sulla scena politica dei contadini e degli indigeni, soggetti sociali ritenuti estinti o in via di estinzione. La Campagna partecipa al primo incontro della Confederation Paysane di José Bové a Parigi e poi alla formazione di Via Campesina. E sostiene da subito le lotte dei popoli indigeni, tutte legate alla conservazione della natura. Alex introduce l’incontro che la Campagna organizza a Genova per i 500 anni della scoperta dell’America: della Conquista per i popoli di quel continente. Ma la più bella iniziativa della Campagna per Langer è stata la battaglia per la restituzione delle terre agli indios Xavante del Mato Grosso da parte dell’Agip, iniziata dopo una ricerca sull’impatto della cooperazione e delle imprese italiane in Brasile e seguita per anni. Vi ha contribuito personalmente con 97 milioni, una parte dei quali spediti pochi giorni prima di morire. 

La resistenza ai megaprogetti di sviluppo, la critica dell’economia neo liberista, la coscienza diffusa della gravità della crisi ambientale e della povertà che essa genera nel Terzo mondo, danno vita alla ricerca creativa di alternative. «Un altro mondo è possibile» origina dalle esperienze di centinaia di migliaia di persone che nel mondo alimentano altre visioni e rispondono alle crisi praticando altri stili di vita e di convivenza, sedimentando conoscenze in ogni campo, dalla medicina all’agricoltura. La Fiera delle utopie concrete di Città di Castello, in Umbria, su itinerari di conversione ecologica, è stato un laboratorio particolare. Anche qui, come sempre, Langer riesce a incarnare in luoghi e persone, le idee con cui viene in contatto o che intuisce. Un appuntamento annuale di una settimana in una atmosfera conviviale che voleva scoprire esperienze e progetti eco compatibili con l’apporto creativo di persone, gruppi, associazioni, comunità e imprese impegnate in una prospettiva di conversione ecologica. Langer  mette su un comitato europeo formato per metà da italiani, e per metà provenienti da Germania, Austria, Inghilterra, Ungheria, Jugoslavia e Polonia. Tra gli altri Peter Kammerer, Rosalba Sbalchiero, Franco Lorenzoni, Peter Bunyard di The Ecologist, Hans Glauber, animatore dei Colloqui di Dobbiaco, Tonino Perna, Karl Ludwig Schibel, Janos Vargha, Herman Zampariolo, Ignacy Sachs, Fulvia Fazio e Franco Travaglini…. Il progetto prevedeva un primo ciclo strutturato attorno ai quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco. Ne seguirà una sessione organizzata dalla stessa Campagna Nord-Sud su «Ricchezze e Povertà», e con il coordinamento di Schibel un ciclo sui cinque sensi.  La prima edizione, nel 1988, era dedicata all’acqua e ospitava un’ampia introduzione di Ivan Illich. In mostra tecnologie dolci quali la fitodepurazione con piante locali; una pompa facile da usare, di basso costo e praticamente indistruttibile per scavare pozzi d’acqua nel Terzo mondo ideata da un ingegnere del posto e prodotta da un’imprenditore che aveva riconvertito una fabbrica d’armi; le azioni dei tedeschi che, per frenare l’impeto delle piene, rompevano gli argini cementificati dei fiumi ripristinando le antiche anse naturali. Insomma una gamma di azioni e produzioni diverse ma non basate sul sacrificio perché «la conversione non può avvenire nelle strutture se non si radica nelle menti e nei cuori delle persone». Il primo precetto è consumare meno perché tutti possano soddisfare i bisogni di base senza distruggere la natura. La Fiera invita a una vita semplice e creativa, dagli umori vernacolari evocati da Illich, segnata dalla gioisa frugalità francescana tanto amata dal raffinato mitteleuropeo Langer. Un modo di vivere in cui gli individui contino qualcosa e si possano creare gruppi  solidali.

A Città di Castello Langer dà impulso anche all’Alleanza per il clima, un’iniziativa nata in Germania che prevedeva, e prevede ancora oggi, tagli alle emissioni inquinanti delle città europee coordinate con i popoli delle foreste tropicali. Quindi sostiene i tentativi di creare un’«altra economia» con le esperienze nate nel mondo della resistenza alle politiche degli organismi finanziari nazionali e internazionali, al commercio mondiale che ha aperto voragini tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri, e per rispondere alle crisi finanziarie sempre più frequenti. I progetti sono spesso finanziati da banche etiche e promossi dal circuito del commercio equo e solidale e del «terzo settore», che offrono mercati e sponde politiche ai contadini poveri, agli agricoltori biologici, alle migliaia di cooperative e piccole imprese che lavorano per produzioni sane, senza sfruttare la natura e i lavoratori. E anche banche del tempo e dinamiche di baratto. 

Prima della caduta del muro di Berlino, Langer già lavora per un’Europa che comprendesse anche la sua parte orientale cercando di favorire i rapporti tra i cittadini delle due aree e contattando gli ambientalisti dell’Est. Si intuiva da allora l’entità del disastro ecologico nei paesi comunisti ma, nonostante la scarsa agibilità politica, erano nati numerosi gruppi ecologisti. Come Ekoglasnost in Bulgaria o il Circolo del Danubio di Janos Vargha, capofila ungherese di una lotta contro la grande diga sul fiume che coinvolse anche i Cecoslovacchi. Dopo, Langer lavora intensamente per creare rapporti positivi tra Nord, Est e Sud del mondo. Ma tra Est e Sud il dialogo è difficile. Il Sud teme che i fondi già scarsi messi a disposizione dai paesi del Nord finiscano tutti all’Est che, da parte sua, non si sente «sottosviluppato» ma parte integrante dell’Occcidente. Inoltre il Terzo Mondo contesta il neo liberismo che in quel momento l’Est invece vuole. Langer si trova in Albania quando, nel 1990, esplode la protesta degli studenti che porterà al crollo del regime comunista. Ci torna nel 1992 per accompagnare un carico di aiuti raccolti da un’associazione di donne dell’Emilia Romagna. Allora è presidente di un gruppo di eurodeputati incaricato dalla Commissione esteri del Parlamento europeo di seguire i nuovi eventi in Albania, Bulgaria e Romania. Il suo approccio resta empatico e lontano dall’assistenzialismo. Ricordo le ipotesi di cooperazione elaborate lì per lì quando in una visita all’Istituto per la medicina cinese dell’Università di Tirana, i professori ci fecero vedere schede piene di informazioni, comprese la sperimentazione terapeutica, su 800 piante medicinali autoctone. Oltretutto provenienti da zone dell’Albania incontaminate. E come fu facile capire quanto la sussistenza delle famiglie fosse nelle mani delle donne. Il racconto del viaggio si rivelò poi utile a Tonino Perna e al Cric per alcuni progetti indirizzati proprio alle donne.  Poi l’inizio della disgregazione della Jugoslavia sposta l’attenzione su un solo obiettivo: come fermare il conflitto armato.

Il primo gennaio 1994 entra in vigore l’accordo commerciale del Nord America tra Stati Uniti, Canada e Messico (Nafta) e i partners della Campagna Nord-Sud formano l’International Forum on Globalisation (Ifg), un’alleanza di attivisti, economisti, ricercatori e scrittori per stimolare un nuovo pensiero, attività e formazione dell’opinione pubblica in risposta alla globalizzazione economica. Rappresentano 60 organizzazioni di 25 paesi. Ne fanno parte anche Maude Barlow, Jerry Mander, Walden Bello, Candido Grzaboski, Herman Daly, David Korten e John Cavanagh. Alla fine di dicembre si conclude l’Uruguay Round, la trattativa che regola il commercio internazionale, con la formazione del World Trade Organisation (Wto). Gli anni Ottanta e Novanta hanno visto la resistenza alle politiche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario, con il via libera al Wto, che dà la priorità alla libera circolazione delle merci e non prevede clausole ambientali e sociali, si apre un’altra fase. Una sola economia trionfa e una sola superpotenza governa il mondo con guerre preventive. Nel 1999 l’International Forum on Globalisation insieme ad associazioni ambientaliste, di solidarietà e di difesa dei diritti umani, ai sindacati statunitensi e a un arcobaleno di gruppi della società civile e di individui motivati, organizza la protesta di Seattle che contribuirà al fallimento della prima riunione del Wto e porterà alla ribalta internazionale il movimento rapidamente definito dai media no-global. Lo Sviluppo muta in Globalizzazione e nuovi soggetti entrano in campo e si confrontano in controvertici e nei Forum sociali mondiali dove molti dell’Ifg saranno tra i relatori più ascoltati.

A un passo dall’Italia, nell’ ormai ex Jugoslavia, da tre anni la Bosnia è un macello a cielo aperto. Langer è stanco. Il suo amico Reinhold Messner rimpiangerà più tardi di non averlo portato con sé sulle montagne, là dove l’aria è più sottile  e pulita. E’ il 1995. Il 3 luglio Alexander Langer si suicida. Perdita e senso di colpa. Dolore e rabbia. Perché era andato via, perché annullava con un atto disperato le cose meravigliose cui aveva dato vita: tanta bellezza e alla fine un suicidio? Quale speranza si può comunicare se chi ne è portatore si uccide? Se non ha la forza di chiedere aiuto agli amici e se gli amici non si accorgono del suo malessere. Comprendere Alex suicida è stato un percorso difficile, non ancora del tutto compiuto. Ma oggi possiamo capire la sua debolezza che è anche la nostra, le oscurità accanto alla luce. Perché in ognuno di noi le angosce convivono con le speranze e l’equilibrio è difficile, incerto. Ma il buono e il bello vissuto e donato è ancora vitale: possiamo infine accettare la contraddizione tra una vita intensa e il suo tragico epilogo. Alex  non era un super eroe. Era un uomo con tante fragilità che tanto ha dato. Raccontarlo è riconciliarsi.

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