Operatori di Pace Operatori di Pace Europa: corpi civili di pace

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Maurizio Cucci: verso i Corpi Civili pace. Dedicato ad Alex Langer

dossier
Per una politica europea non armata. Il peacekeeping delle Nazioni Unite ed il suo efficiente funzionamento sono oggi le sfide più importanti per le forze armate e per gli addetti alla politica estera dentro o fuori dell´Europa. Nello stesso tempo il ruolo potenziale dei civili nel prevenire o nel gestire i conflitti è tuttora grandemente sottostimato


SOMMARIO



L’IDEA
Pag.4
· Difesa Civile e Difesa Militare Verso un Corpo Civile Europeo di Pace
di Alex Langer e Ernst Gulcher
Pag.7
· Relazione Recante una Proposta di Raccomandazione del Parlamento Europeo al Consiglio sull’Istituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo
relazione dell’Onorevole Per Gahrton

PARLAMENTO FRANCESE,
Parigi 26 - 27 ottobre 2000
Pag.14
· L’intervention Civile:
une Chance Pour La Paix
relazione di Alberto Labate

PRIMO INCONTRO SUI CORPI CIVILI DI PACE,
Impruneta (Fi) 26 - 27 gennaio 2001
Pag.17
· Discussione sulle Aspettative e gli Orientamenti
Pag.19
· Relazione del Coordinatore della Segreteria Tecnica
di Silvano Tartarini

SEMINARIO NAZIONALE
VERSO LA COSTRUZIONE DEI
GRUPPI DI AZIONE NONVIOLENTA
Roma 27 - 29 settembre 2001
Pag.20
· Esperienze di Nonviolenza nei Movimenti Italiani di
Cambiamento Sociale
di Alberto Labate
Pag.27
· I GAN: un progetto di azione per la Rete Lilliput
di Pasquale Pugliese

Pag.30
· GAN: Gruppi di appoggio ai Corpi Civili di Pace all’estero?
di Lisa Clark

SOCIAL FORUM EUROPEO
WORKSHOP SU CCP
Firenze 8 novembre 2002
Pag.32
· Civili e Costruttivi: I Corpi Di Pace a Firenze
di Alessandro Rossi
Pag.33
· Riflessione sulla Formazione
a cura del Centro Studi Difesa Civile

ESPERIENZE E PROPOSTE
Pag.34
· Per una Strategia Lillipuziana
Reticolare e Nonviolenta:
i Gruppi di Azione Nonviolenta
di Pasquale Pugliese
Pag.39
· Proposta per Il Corpo Civile Di Pace Italiano ed Europeo
di Operazione Colomba,
Comunità Papa Giovanni XXIII.
Pag.40
· Contro La Guerra Cambia la Vita ed Organizza i Corpi Civili Di Pace
di Alberto L’Abate, con la collabo-razione, per la revisione e messa a punto del testo, di Paolo Bergamaschi, Maria Carla Biavati, Padre Angelo Cavagna, Anna Luisa Leonardi, Silvano Tartarini
Pag.43
· I Corpi Civili di Pace
di Alberto Labate
Pag.51
· Don Tonino Bello ed i Corpi Civili di Pace
di Alberto Labate

Pag.55
· Conflitti Moderni e Corpi Civili di Pace
di Maria Carla Biavati
Pag.57
· L'unione Europea e la Prevenzione dei Conflitti Violenti
di Giovanni Scotto
Pag.59
· Esercito in Crisi!
di p. Angelo Cavagna dehoniano
Pag.62
· Perché i Corpi Civili di Pace
di Angelo Gandolfi
Pag.64
· La Via dei Corpi Civili di Pace
di Silvano Tartarini
Pag.67
· Europeans Civil Peace Corps
di Arno Truger
Pag.71
· Corpi Civili di Pace, tra
Professionismo e Azione Diretta di Interposizione Nonviolenta Animata dal Volontariato di Massa.
di Maurizio Cucci

ASSEMBLEA NAZIONALE DI RETE LILLIPUT
Marina di Massa (Lu) 23 – 25 maggio 2003
Pag.72
· Un’alternativa di Pace per l’europa di Domani
di Paolo Bergamaschi

FORUM VERSO I CORPI CIVILI DI PACE
Bologna 6 – 8 giugno 2003
Pag.76
· Comunicato Stampa
di Silvano Tartarini
Pag.77
· Riflessione sulle occasioni perdute
di Alberto Labate



Pag.81
· Situazione istituzionale dei Corpi Civili di Pace all’interno del Parlamento Europeo
di Paolo Bergamaschi
Pag.85
· Discussione intorno ai CCP
Pag.87
· Lettera al Presidente della
Repubblica e al Presidente del Consiglio

Gruppi di Lavoro Tematici
Pag.89
· Documento del Gruppo di Lavoro sulle Forme Organizzative
di Sandro Mazzi
Pag.91
· Documento del Gruppo di
Lavoro sui Rapporti Istituzionali
di Andrea Anselmi
Pag.93
· Documento del Gruppo di
Lavoro sulla Formazione
di Fabiana Bruschi
Pag.95
· Documento del Gruppo di
lavoro sull’intervento dei
volontari in zona di conflitto
di Walter Zaffaroni
Pag.97
· Convenuti

CHIUSA
Pag.98
· CORPI CIVILI DI PACE (C.C.P.)-Necessità di una sicurezza diffusa
di Silvano Tartarini
Pag.103
· Risposta del Presidente del Consiglio dei Ministri
Pag.105
· Risposta del Presidente della Repubblica




L’IDEA
· Difesa Civile e Difesa Militare Verso un Corpo Civile Europeo di Pace
di Alex Langer e Ernst Gulcher, rispettivamente; Parlamentare e Consigliere per Pace e Disarmo, entrambi del Gruppo Verde presso il Parlamento Europeo

Il peacekeeping delle Nazioni Unite ed il suo efficiente funzionamento sono oggi le sfide più importanti per le forze armate e per gli addetti alla politica estera dentro o fuori dell´Europa. Nello stesso tempo il ruolo potenziale dei civili nel prevenire o nel gestire i conflitti è tuttora grandemente sottostimato. Ciò dovrebbe essere superato. I governi e le istituzioni internazionali inviano i loro osservatori e diplomatici nelle aree di conflitto e le ONG umanitarie e pacifiste cercano, spesso in circostanze assai difficili, di (ri)stabilire il dialogo, la coesistenza e la fiducia in e tra comunità divise e violente. Una volta cessati i combattimenti esse cercano di essere di aiuto nella ricostruzione dei valori umani e materiali controllando le disposizioni prese e le iniziative di riconciliazione. Negli anni recenti è stata accumulata una grande esperienza fatta sul campo ed è stata fatta molta ricerca, spesso nonostante la mancanza di una qualsiasi risorsa finanziaria sufficiente. Il rapporto "Bourlange/Martin", adottato dal Parlamento Europeo il 17 maggio 1995 nella sua sessione plenaria a Strasburgo, ha riconosciuto questo ruolo nella società civile affermando che "un primo passo verso un contributo nella prevenzione del conflitto potrebbe essere la creazione di un Corpo civile di pace europeo (che includa obiettori di coscienza) con il compito di addestrare osservatori, mediatori e specialisti nella risoluzione dei conflitti

Organizzazione
Il Corpo civile internazionale verrebbe costituito dall´Unione europea sotto gli auspici delle Nazioni Unite ai cui servizi dovrebbero essere prestati. Il Corpo dovrebbe sottostare o almeno riferirsi all´OSCE (come organizzazione regionale delle Nazioni Unite). Gli stati membri dell´Unione europea contribuirebbero al Corpo. Il Parlamento europeo dovrebbe essere coinvolto nelle decisioni sulla costituzione del Corpo e sull´attuazione delle operazioni. In primo luogo il Corpo presterebbe servizio all´interno dell´Europa, ma potrebbe agire anche al di fuori del continente europeo. Poichè sarebbe una forza di stanza, deve avere quartieri generali e personale pienamente equipaggiato, basato in un luogo specifico (OSCE- Vienna?) e a livello locale durante le operazioni. Per l´inizio il Corpo dovrebbe essere costituito da 1.000 persone di cui 300/400 professionisti e 600/700 volontari. Se i risultati fossero positivi si dovrebbe naturalmente espandere in modo considerevole.

Compiti
Prima il corpo sarà inviato nella regione, prima potrà contribuire alla prevenzione dello scoppio violento dei conflitti. In ogni fase dell´operazione potrebbe adempiere a compiti di monitoraggio. Dopo lo scoppio della violenza, esso è lá per prevenire ulteriori conflitti e violenze. Nel fare ciò esso ha solo la forza del dialogo nonviolento, della convinzione e della fiducia da costruire o restaurare. Agirà portando messaggi da una comunità all´altra. Faciliterà il dialogo all´interno della comunità al fine di far diminuire la densità della disputa. Proverà a rimuovere l´incomprensione, a promuovere i contatti nella locale società civile. Negozierà con le autorità locali e le personalità di spicco. Faciliterà il ritorno dei rifugiati, cercherà di evitare con il dialogo la distruzione delle case, il saccheggio e la persecuzione delle persone. Promuoverà l´educazione e la comunicazione tra le comunità. Combatterà contro i pregiudizi e l´odio. Incoraggerà il mutuo rispetto fra gli individui. Cercherà di restaurare la cultura dell´ascolto reciproco. E la cosa più impotante: sfrutterà al massimo le capacità di coloro che nella comunità non sono implicati nel conflitto (gli anziani, le donne, i bambini). Potrebbe cercare di risolvere i conflitti con ogni mezzo di interposizione ma non imporrà mai qualcosa alle parti. Denuncierà i fautori della violenza e dei misfatti alle autorità locali e internazionali. Denuncierà la cattiva condotta di queste autorità alla comunità internazionale. Si adopererà per allertare tempestivamente e monitorare. Costantemente cercherà di trovare ed enunciare le cause del conflitto o dei conflitti. Farà il possibile per ricostruire le strutture locali. Qualche volta, ma solo su richiesta e temporaneamente, subentrerà alle autorità e ai servizi locali. Più in particolare adempirà ai servizi non armati quotidiani di polizia nelle aree dove la polizia locale non riscuote la fiducia della popolazione. Coopererà nell´area con le organizzazioni umanitarie per provvedere ai rifornimenti e ai servizi, così come per alleviare le sofferenze delle vittime.

Quale professionalità
Poichè consideriamo il Corpo e i suoi partecipanti agire in zone ad alto potenziale di violenza, i singoli partecipanti debbono possedere molte qualità e valori eccellenti, alcuni dei quali saranno questione di talento, altri richiederanno un alto livello di addestramento professionale.

Qualità
molte qualità di alto livello sono necessarie per gli individui che partecipano al Corpo di pace: tolleranza, resistenza alla provocazione, educazione alla nonviolenza, marcata personalità, esperienza nel dialogo, propensione alla democrazia, conoscenza delle lingue, cultura, apertura mentale, capacità all´ascolto, intelligenza, capacità di sopravvivere in situazioni precarie, pazienza, non troppi problemi psicologici personali. Coloro che vengono accettati a far parte del Corpo di pace apparterranno alle persone più dotate della società.

Nazionale/internazionale; uomo/donna; anziani/giovani
il corpo di pace non dovrebbe essere costituito da contingenti nazionali ma dovrebbe essere internazionale dall´inizio con individui di diverse nazionalità che lavorano insieme come amici. Questo farebbe immediatamente superare barriere fra diverse culture. L´imparzialità è necessaria ma i partecipanti al Corpo di pace non devono assolutamente provenire solo da paesi neutrali. Dovrebbero farvi parte sia uomini che donne e l´età dovrebbe essere tra i 20 e gli 80 anni. A differenza delle operazioni militari il lavoro del Corpo di pace potrebbe in gran parte ricadere sulle spalle degli anziani e delle donne.

Volontariato solidale
le ONG, con un´esperienza diretta nella preservazione dei conflitti, nella loro risoluzione e sviluppo come anche nel servizio civile, saranno le prime a cui si richiede di reclutare partecipanti al Corpo di pace. Questi partecipanti potrebbero essere in larga misura obiettori di coscienza. Un ruolo può essere svolto anche dai militari peacekeeping in pensione e dai diplomatici. Particolare attenzione deve essere data ai rifugiati e agli esiliati della regione dove il conflitto dovrebbe essere gestito. Molte di queste persone sono colte e individui nonviolenti con grande conoscenza della situazione locale. D´altra parte essi sono parte del conflitto e potenziali bersagli. Essi potrebbero essere più utili nel retroterra che in prima linea a livello di consulenza e potrebbero giocare un ruolo fondamentale di supporto linguistico.

Professionisti/volontari
poiché le qualità e l´esperienza determinano il successo o il fallimento di qualsiasi operazione, almeno un terzo dei partecipanti di ciascuna operazione del corpo di pace consisterebbe di professionisti. Gli altri possono essere volontari e lavoreranno sotto l´autorità di professionisti.

Addestramento
il successo e il fallimento saranno anche determinati dal grado di addestramento delle persone del Corpo di pace. Programmi di addestramento prepareranno ciascun partecipante alla sua missione. Allo stesso tempo gli educatori dovrebbero avere la possibilità di essere stagiairs in missioni per acquistare esperienza sul campo. L´addestramento includerà la crescita della forza e della mentalità personale ma anche cose pratiche come la lingua, la storia, le religioni, le tradizioni e la sensibilità delle regioni dove si va a operare.

Conclusione
Un´operazione del Corpo di pace può fallire e nessuno si dovrebbe vergognare ad ammetterlo. Per esempio se una delle parti in guerra è determinata a continuare o accrescere il conflitto, i civili non possono fermarla. Se il conflitto si trasforma in una vera guerra, i civili farebbero meglio a fuggire dal campo di battaglia. Se fanatici delle due parti non sono più sotto il controllo dell´autorità locale e cominciano a sparare contro i partecipanti del Corpo di pace o a prenderli in ostaggio, ciò sarà la fine delle operazioni. Se i media locali, influenzati dai demagoghi locali, intraprendono campagne di sfiducia verso il Corpo di pace, è meglio ritirarsi. Ma fintanto questo non si verificherà il Corpo civile di pace potrà adempiere la sua funzione fino a quando sarà necessario. Il problema è qui lo stesso del peacekeeping militare. Finchè non c´è alcuna soluzione politica, il Corpo di pace non può veramente partire. È essenziale che la cooperazione delle autorità locali e le comunità dovrebbe essere promossa da una politica internazionale di premio (e non da punizioni/sanzioni). Poichè la povertà, il sottosviluppo economico e la mancanza di sovrastrutture quasi sempre sono parte di qualsiasi conflitto, la preparazione a vivere insieme, a ristabilire il dialogo politico e i valori umani, a fermare i combattimenti e la violenza dovrebbero essere premiati da un immediato sostegno internazionale economico-finanziario a beneficio di tutte le comunità e regioni interessate. Troppo spesso ci si è dimenticati che la pace deve essere visibile per essere creduta. Ma se è resa vivibile la pace troverà molti sostenitori in ogni popolazione.

(Questo articolo è il risultato di uno scambio di idee in preparazione della Tavola Rotonda del Corpo Civile di pace europeo, che avrebbe dovuto svolgersi nel luglio 1995, fra Alexander Langer e Ernst Gulche, Segretario dell´intergruppo EP per Pace, Disarmo e Sicurezzza Globale Comune. Pubblicato postumo in Azione nonviolenta, ottobre 1995. Teso integrale in www.alexanderlanger.org.

· Relazione
Recante una Proposta di Raccomandazione del Parlamento Europeo al Consiglio sull’istituzione di un Corpo di Pace Civile Europeo

Commissione per gli Affari Esteri la Sicurezza e la Politica di Difesa
Relatore Onorevole Per Gahrton

Nella seduta del 17 luglio 1998 il Presidente del Parlamento ha comunicato di aver deferito alla Commissione per gli Affari Esteri, la Sicurezza e la Politica di Difesa la proposta di raccomandazione al Consiglio presentata dall’Onorevole Spencer e altri (38) deputati sull’Istituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo (B4-0791/98).

Nella riunione riunione del 24 settembre 1998 la Commissione per gli Affari Esteri, la Sicurezza e la Politica di Difesa ha esaminato la proposta di raccomandazione e ha deciso di elaborare una relazione.
Nella riunione del 24 settembre 1998 ha nominato relatore l’Onorevole Gahrton.

Nelle riunioni del 1 dicembre 1998, 7 gennaio 1999 e 20 gennaio 1999, la (POLI) la Commissione per gli Affari Esteri, la Sicurezza e la Politica di Difesa ha esaminato la proposta di raccomandazione elaborata dal suo Presidente e l’ha approvata all’unanimità.
Hanno partecipato alla votazione gli On.

La proposta di raccomandazione è stata depositata il 28 gennaio 1999.
Il termine per la presentazione di emendamenti sarà indicato nel progetto di ordine del giorno della tornata nel corso della quale la relazione sarà esaminata.

Proposta di Raccomandazione
Raccomandazione del Parlamento Europeo sull’Istituzione di un Corpo di pace Civile Europeo
Il Parlamento Europeo

Vista la proposta di raccomandazione al Consiglio presentata dall’On Spencer e altri (38) deputati sull’Istituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo (B4-0791/98)
Visto l’articolo J7 del trattato sull’Unione Europea
Visto l’articolo 46, paragrafo 3 del suo regolamento
Vista la relazione della relazione per gli Affari Esteri, la Sicurezza e la Politica di Difesa (A4 – 0047/99)

· considerando che la fine della “guerra fredda” è stata caratterizzata, sia in Europa che al di fuori di essa, da un continuo aumento di conflitti intra e inter statali con crescenti implicazioni internazionali, politiche, economiche, ecologiche e militari,
· rilevando che il carattere multiforme di questi conflitti li rende spesso difficili da capire e da gestire acausa della mancanza di adeguati concetti, strutture, metodi e strumenti,
· considerando che la risposta militare ha conflitti internazionali deve essere spesso integrata da sforzi politici volti a riconciliare le parti belligeranti, a far cessare conflitti violenti ed ha ripristinare condizioni di reciproca fiducia,
· ritenendo che il ruolo potenziale dei civili in situazioni di conflitto deve essere ancora pienamente valutato,
· sottolineando che esso ha approvato varie risoluzioni riguardanti l’istituzione di un Corpo di Pace Civile Europeo (CPCE)
· rilevando che tale iniziativa dovrebbe essere vista quale ulteriore strumento dell’Unione Europea per accrescere la sua azione esterna in materia di prevenzione dei conflitti e di composizione pacifica degli stessi,
· considerando che in nessun caso il CPCE deve essere inteso quale alternativa alle normali missioni di pace, ne causare ridondanze nei confronti di organizzazioni quali l’OSCE e l’ACNUR, già attive in tale ambito, quanto piuttosto quale complemento, qualora necessario, alle azioni per la prevenzione dei conflitti di carattere militare in cooperazione con l’OSCE e l’ONU,
· sottolineando che la prospettiva del futuro allargamento dell’Unione Europea rende ulteriormente necessario e pressante
· riformare e rafforzare la PESC, rilevando che l’Unione Europea ha già maturato, per quanto riguarda la guerra nella ex Yugoslavia, un’esperienza con la Missione di Monitoraggio della Comunità Europea (ECMM) che potrebbe costituire il primo passo verso l’istituzione del CPCE
· ribadendo tuttavia che l’esperienza della Missione di Monitoraggio della Comunità Europea (ECMM) e la Missione di Verifica nel Kosovo dimostrano i limiti del concetto di CPCE,
· considerando che l’inopportuno insediamento di missioni di osservatori disarmati, che possono essere facilmente presi in ostaggio, potrebbe anche sul piano politico avere effetti indesiderati,
· sottolineando che numerose ONG specializzate, molte delle quali dotate di una vasta e profonda esperienza, potrebbero fornire un prezioso contributo a tale progetto,
· ribadendo che qualsiasi civile impegnato nel Corpo di Pace debba essere adeguatamente addestrato,
· evitando che il CPCE diventi una struttura organizzativa ampia e rigida, tale da imporre costi elevati e improduttivi e di impedire un flessibile impiego delle risorse provenienti da varie fonti, governative e non,
· raccomanda al Consiglio di elaborare uno studio di fattibilità sulla possibilità di istituire un CPCE nell’ambito di una politica estera e di sicurezza comune più forte ed efficace;
· raccomanda al Consiglio di vagliare la possibilità di concreti provvedimenti generatori di pace finalizzati alla mediazione e alla promozione della fiducia tra i belligeranti, all’assistenza umanitaria, alla reintegrazione (specie tramite il disarmo e la smobilitazione), alla riabilitazione nonché alla ricostruzione unitamente al controllo ed al miglioramento della situazione dei diritti umani;
· raccomanda al Consiglio di attivare una struttura minima e flessibile, al solo fine di censire e mobilitare sia le risorse delle ONG, sia quelle messe a disposizione degli Stati, e di concorrere, eventualmente, al loro coordinamento;
· raccomanda la Consiglio di affidare all’Unità di Primo Allarme il compito di analizzare e individuare casi di possibile impiego di un CPCE,
· raccomanda al Consiglio di riferirgli in merito all’ECMM presentando una piena valutazione del ruolo di questo organismo e delle sue future prospettive nonché dei suoi limiti;
· raccomanda al Consiglio e alla Commissione, nell’ambito di questo studio di fattibilità, di organizzare un’audizione per valutare in profondità il ruolo che le ONG hanno svolto nella soluzione pacifica dei conflitti e nella prevenzione della violenza nella ex Yugoslavia e in Caucasia;
· Incarica il suo Presidente di trasmettere la presente raccomandazione al Consiglio e, per conoscenza alla Commissione.

MOTIVAZIONE
Il concetto di un Corpo di Pace Civile Europeo (CPCE)

Introduzione
La nuova situazione di conflitto venutasi a creare alla fine della “guerra fredda” è stata caratterizzata da un numero crescente di conflitti intrastatali con sempre maggiori implicazioni internazionali di carattere politico, economico, ecologica e militare. Tale evoluzione ha portato ad una crescente necessità e legittimità di un intervento esterno, ponendo le organizzazioni internazionali come l’Unione Europea (UE) di fronte a una sfida sempre maggiore. Tuttavia dato il carattere multiforme di questi conflitti, esse debbono affrontare il problema della loro comprensione e gestione. Si registra una mancanza di adeguati concetti, strutture, metodi e strumenti, (ivi compresi i mezzi materiali e personale preparato). E’ ovvio ormai che avvalersi unicamente delle risorse tradizionali associate alle strategie diplomatiche o militari non basta più. E’ necessario pertanto un approccio globale inteso a creare la pace, che comprenda gli aiuti umanitari, la cooperazione allo sviluppo e la soluzione dei conflitti. Gli interventi debbono essere coordinati a livello internazionale; riferirsi ai bisogni della popolazione nella zona di conflitto; essere compatibili con la società civile e con gli altri attori sul campo; essere nonviolente e distinti dalle azioni coercitive, flessibili e pratici; essere altresì in grado di contrastare fin dall’inizio l’escalation della violenza. La relazione Bourlanges – Martin approvata dal Parlamento Europeo nella seduta del 17 maggio 1995, a Strasburgo, ha riconosciuto per la prima volta questa necessità affermando che “un primo passo per contribuire alla prevenzione dei conflitti potrebbe consistere nella creazione di un Corpo Civile Europeo della Pace (che comprenda gli obiettori di coscienza) assicurando la formazione di controllori, mediatori e specialisti in materia di soluzione dei conflitti”. Da allora, il Parlamento Europeo ha ripetutamente confermato tale affermazione, da ultimo nella sua più recente relazione sull’attuazione della PESC. Nel frattempo è stato previsto di configurare il Corpo di Pace Civile Europeo nel modo seguente;

OBIETTIVI
La principale priorità del CPCE sarà la trasformazione delle crisi provocate dall’uomo, per esempio la prevenzione dell’escalation violenta dei conflitti e il contributo verso una loro progressiva riduzione. In ogni caso, i compiti del CPCE avranno un carattere esclusivamente civile. Un particolare accento sarà posto sulla prevenzione dei conflitti, in quanto più umana e meno onerosa rispetto alla ricostruzione del dopoconflitto. Tuttavia, il Corpo potrebbe svolgere altresì compiti umanitari in seguito a catastrofi naturali. Il coinvolgimento del CPCE non dovrebbe limitarsi ad una data regione (per esempio l’Europa).

Il CPCE si baserà su di un approccio olistico, che comprenderà inter alia sforzi politici ed economici e l’intensificazione della partecipazione politica e del contesto economico delle operazioni. Dal momento che gli sforzi intesi a trasformare il conflitto debbono riguardare tutti i livelli di conflitti che si protraggono nel tempo, il CPCE assumerà compiti multifunzionali. Esempi concreti delle attività del CPCE intese a creare la pace sono la mediazione e il rafforzamento della fiducia tra le parti belligeranti, l’aiuto imanitario (ivi compresi gli aiuti alimentari, le forniture d’acqua, medicinali e servizi sanitari), la reintegrazione (ivi compresi il disarmo e la smobilitazione degli ex combattenti e il sostegno agli sfollati, ai rifugiati e ad altri gruppi vulnerabili), il recupero e la ricostruzione, la stabilizzazione delle strutture economiche (ivi compresa la creazione di legami economici), il controllo e il miglioramento della situazione relativa ai diritti dell’uomo e la possibilità di partecipazione politica (ivi comprese la sorveglianza e l’assistenza durante le elezioni)n l’amministrazione provvisoria per agevolare la stabilità a breve termine, l’informazione e la creazione di strutture e programmi in materia di istruzione intesi ad eliminare i pregiudizi e i sentimenti di ostilità, e campagne d’informazione e d’istruzione della popolazione sulle attività in corso a favore della pace. Nulla di tutto ciò può essere imposto direttamente alle parti, tuttavia la loro cooperazione può essere agevolata attraverso il sostegno politico proveniente dall’esterno.

La riuscita nell’adempimento di questi compiti dipenderà dal grado in cui il CPCE sarà capace di migliorare le relazioni tra gli aiuti umanitari, il rafforzamento della fiducia e la cooperazione economica. Il sostegno a questi settori non potrà avere un risultato positivo se non sarà messo in relazione agli altri; per esempio il successo degli aiuti umanitari e la ricostruzione dopo una guerra dipendono dal grado di fiducia che viene a crearsi tra le parti belligeranti. La ricostruzione materiale ha pertanto il compito di coinvolgere i belligeranti in progetti comuni.

Il CPCE dovrebbe essere un organo ufficiale, istituito dall’Unione Europea e operante sotto gli auspici della stessa. Con riferimento agli organi e agli Stati membri dell’UE, il CPCE dovrebbe garantire che:
· I fondi dell’UE siano utilizzati per progetti compatibili con gli interessi dell’UE;
· Il sotegno dell’UE sia reso visibile:
· Gli Stati membri dell’UE siano sotenuti nella preparazione e nell’assunzione del personale delle missioni;
· Il coordinamento tra gli Stati membri e gli altri attori beneficiari dei fondi per attività finalizzate alla pace sia agevolato e siano vietati i doppioni;
· I fondi dell’UE siano utilizzati in maniera efficiente.
Il CPCE opererà soltanto con un mandato sostenuto dall’ONU o dalle sue organizzazioni regionali: OSCE, OUA, OAS. Esso contribuirà a crreare i necessari collegamenti tra le attività diplomatiche, da un lato, e la società civile dall’altro. Quale organo a favore della pace, il CPCE svolgerà attività diverse da quelle svolte in tal senso a livello diplomatico. Le missioni del CPCE si baseranno sull’assenza di operazioni militari violente, su una specie di accordo di cessate il fuoco e sul consenso delle principali parti interessate. Quale organo ufficiale il CPCE si distinguerà dalle ONG. Le sue attività si baseranno tuttavia su un’efficiente ccoperazione con le ONG e rafforzerà e legittimerà il loro lavoro. L’attività del CPCE darà strutturata ed organizzata indipendentemente dagli organi militari, pur basandosi sulla cooperazione con i militari laddove le missioni del CPCE coincideranno con le operazioni per il mantenimento della pace.
PP.

PERSONALE E STRUTTURA
Il CPCE consisterà in due parti:
1.) un nucleo costituito da personale qualificato atempo pieno che svolgerà compiti di gestione ed assicurerà la continuità (vale a dire un segretariato con compiti di amministrazione e gestione, assunzione, preparazione, intervento, rapporto di fine missione e collegamento);
· un gruppo costituito da personale specializzato da destinare alle missioni (ivi compresi esperti, con o senza esperienza, tuttavia perfettamente addestrati), chiamato a compiere missioni specifiche, assunto a tempo parziale o con contratti a breve termine in qualità di operatori sul terreno (ivi compresi gli obiettori di coscienza su base volontaria o volontari non remnerati). Il reclutamento si baserà su una rappresentanza proporzionale tra gli Stati Membri dell’Unione Europea.

PREPARAZIONE GENERALE
Tutto il personale sarà preparato tenuto conto delle condizioni generali della missione (per esempio carenza di adeguate infrastrutture materiali, forti pregiudizi e sentimenti di ostilità, tendenza alla violenza, servizi sanitari inadeguati, sistemi di forniture che mettono a dura prova il personale e le sue capacità sociali, dovendo cooperare in scenario multiculturale alieno alla propria vita normale. La preparazione generale svilupperà le capacità di far fronte a condizioni estreme ed applicabili ad una vasta gamma di situazioni di conflitto. Avrà lo scopo di creare un terreno d’intesa comune che comprenderà l’apprendimento di un modo di comunicazione comune e fornirà un approccio generale per il personale dell’UE proveniente da esperienze professionali e culturali diverse, che gli consentirà di operare in paesi con popolazioni di diverse culture. Nel corso della preparazione generale, ai tirocinanti verranno impartite nozioni di base sulle attività intese a stabilire la pace e sulle organizzazioni interessate (ONU, OSCE, ONG).

PREPARAZIONE CON RIFERIMENTO ALLE FUNZIONI
Dato che il carattere multidimensionale dei conflitti rende molto ardue la loro comprensione e gestione, le esperienze professionali debbono riferise alle strategie per la trasformazione dei conflitti e alle specificità delle varie funzioni da svolgere. Indipendentemente dalla missione cui il personale sarà assegnato, esso dovrà ricevere una preparazione specifica e circostanziata relativa alle funzioni da svolgere su almeno uno dei principali compiti della missione.

PREPARAZIONE CON RIFERIMENTO ALLA MISSIONE
Il personale della missione dovrà essere messo al corrente delle condizioni specifiche in cui verrà a trovarsi in talune missioni e delle particolari funzioni che dovrà svolgere. Si rende pertanto necessaria una preparazione con riferimento specifico alla missione da effettuare, sia prima dell’intervento che sul terreno.


RAPPORTO DI FINE MISSIONE
Il rapporto di fine missione è importante per il personale e per il CPCE per valutare e integrare le esperienze e per migliorare la preparazione e le operazioni sul terreno.

ASSUNZIONE
Al fine di garantire che venga assunto soltanto personale qualificato è necessario che il CPCE stabilisca:
· una base generale di dati relativa al personale disponibile che comprenda organigrammi compatibili in tutti gli Stati membri e Istituzioni di formazione dell’UE;
· procedure generali di assunzione che consentano la trasmissione periodica di informazioni sul personale qualificato tra le istituzioni interessate;
· una base per l’assunzione negli Stati membri, tramite la pubblicazione dei vantaggi della partecipazione del CPCE agli sforzi intesi a creare la pace, e l’adozione di misure sul piano giuridico e finanziario per garantire la sicurezza del posto di lavoro e predisporre misure sanitarie in vista delle missioni.

INTERVENTO
E’ necessario provvedere all’organizzazione dell’intervento conformemente al mandato di una data missione. Il mandato deve essere definito in termini chiari e fattibili con riferimento alle risorse disponibili. Si deve altresì provvedere all’equipaggiamento necessario, alla copertura assicurative e all’organizzazione della dislocazione del personale.

FINANZIAMENTO
L’UE e i suoi Stati membri provvedono al finanziamento. Al fine di agevolare la creazione del CPCE in base alle risorse disponibili, da un lato, e far fronte all’insieme delle esigenze, dall’altro, è previsto un continuo ampliamento del CPCE, iniziando con un progetto pilota seguito da costanti operazioni di controllo e da adeguamenti perfettamente sincronizzati.

QUADRO ISTITUZIONALE
Il CPCE dovrebbe essere creato quali servizio specifico nell’ambito della DG I° della Commissione, con un direttore generale responsabile nei confronti del Commissario per gli Affari Esteri e dell’Alto rappresentante del PESC che dovrà essere insediato tra breve presso il Consiglio. Onde garantire la sua necessaria flessibilità operativa sarebbe opportuno strutturarlo sul modello di ECHO.

CONCLUSIONI
Il ruolo potenziale dei civili nel campo della prevenzione e della soluzione pacifica dei conflitti deve essere ancora valutato in tutti i suoi elementi. Al termine di una missione militare per il mantenimento della pace si registra spesso una recrudescenza del conflitto, in quanto le ragioni interne che sono state all’origine della violenza non sono state pienamente affrontate e risolte. La risposta militare, per qunto necessaria per porre fine al confronto violento, non è sufficiente a creare un’effettiva riconciliazione tra le parti. A tale riguardo, l’idea del CPCE dovrebbe essere presa in considerazione daal’UE quale ulteriore mezzo per accrescere e rendere la sua azione ancora più efficace. Agevolare il dialogo e riprestinare le condizioni di reciproca fiducia sono compiti troppo spesso trascurati che dovrebbero far parte di ogni missione di pace. Solo perseguendo un reale processo di riconciliazione si potrà raggiungere una pace durevole. La diplomazia civile, meno dura e più flessibile, dovrebbe essere usata per affiancare, continuare o concludere azioni militari per il mantenimento della pace. L’UE ha una straordinaria occasione di rafforzare la sua politica estera e di sicurezza comune creando un nuovo strumento pratico che potrebbe essere messo a disposizione delle parti belligeranti, prevenire l’escalation della violenza e apportare una soluzione pacifica alle crisi.


ALLEGATO B4 – 0791/98
RACCOMANDAZIONE SUL CORPO CIVILE DI PACE EUROPEO

Il Parlamento Europeo,
· visto l’articolo J.7 del traattato dell’Unione Europea,
· visto l’articolo 46 paragrafo 1 del suo regolamento,
· considerando che il Parlamento Europeo ha adottato varie risoluzioni concernenti l’eventuale istituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo,
· persuaso che tale Corpo di Pace possa contribuire positivamente alla politica estera e di sicurezza comune, ed in particolare rafforzare la capacità dell’Unione di evitare che i conflitti negli Stati terzi, o tra Stati terzi, degenerino in violenze,
· raccomanda al Consiglio:
· di dare seguito alla espressa richiesta del Parlamento di procedere senza indugio ad incaricare la Commissione Europea di realizzare uno studio fi fattibilità sull’istituzione di un Corpo di Pace Civile Europeo entro, al più tardi, la fine del 1999;
· di avviare, in caso di esito positivo del suddetto studio, un progetto pilota che costituisca il primo passo per l’istituzione di un Corpo di Pace Civile Europeo.
· incarica il suo Presidente di trasmettere la presente raccomandazione al Consiglio e, per conoscenza, alla Commissione.

28 gennaio 1999

















PARLAMENTO FRANCESE,
Parigi 26 - 27 ottobre 2000
· “L’intervention Civile: une Chance Pour La Paix”
di Alberto Labate; Berretti Bianchi

Si è tenuto a Parigi nei giorni 26 e 27 ottobre 2001 nella Sala Colbert del Parlamento Francese, un Convegno su “L’INTERVENTION CIVILE: UNE CHANCE POUR LA PAIX” (Intervento civile di pace: una opportunità per la pace). Il colloquio era organizzato dal Comitato Francese per l’intervento civile di pace, e dall’Istituto di Ricerca sulla Risoluzione Non-violenta dei conflitti. Quest’ultimo è un centro di ricerca diretto da J.M. Muller, ed al quale partecipano altri noti studiosi francesi come J. Semelin. Del Comitato fanno parte: il Comitato Cattolico contro la Fame e lo Sviluppo; il Coordinamento dell’Azione Nonviolenta dell’Arca (fondata da Lanza del Vasto); la Delegazione Cattolica per la Cooperazione; l’Associazione Democrazia e Spiritualità; le Squadre francesi per la Pace nei Balcani; l’Istituto di Ricerca per la Risoluzione Non-violenta dei Conflitti; il Foro di Delfi; il Movimento per una Alternativa Nonviolenta; Pax Christi; i Verdi. Aderiscono al progetto l’Azione Cristiana per l’Abolizione della Tortura; Le Brigate Internazionali di Pace, la Commissione Giustizia e Pace; la Rete Speranza. L’incontro è stato reso possibile grazie a contributi del Ministero degli Affari Esteri francese, e delle Fondazioni “Un mondo per tutti” e “C.L. Meyer per il progresso dell’uomo”.
Nel depliant di presentazione del colloquio si dice: “L’anno 2001 è il primo del decennio internazionale dell’ONU sulla “promozione di una cultura della non-violenza e della pace per i bambini del mondo” votato dall’Assemblea Generale, il 10 novembre 1998, in seguito ad un appello di premi Nobel per la pace. A livello internazionale resta ancora molto da studiare ed ancora di più da sperimentare in materia di regolamento dei conflitti. Ma la nozione d’intervento si è molto sviluppata dalla fine del XX secolo, con la “cannoniera” che ha lasciato sempre più il posto all’intervento umanitario e ad altre forme di ingerenza non militare, o poco militarizzata. Così è nato il concetto di “intervento civile non-violento” progressivamente sperimentato da più di 20 anni in America Latina e Centrale da ONG come le Brigate Internazionali di Pace (PBI), o come la Squadra di Intervento nei Balcani (Balkan Peace Team) nella ex-Jugoslavia, negli anni 90. Il colloquio si propone di fare il punto della ricerca in Francia su questo tema e di presentare gli impegni e la necessità di una formazione all’intervento civile di pace”.
Il colloquio si è sviluppato in tre diverse sessioni. La prima, il venerdì mattina, su “ Intervenire per la pace: ma a nome di chi e per quale ragione?; la seconda, il venerdì pomeriggio su “Natura e ruolo dell’intervento civile di pace”; la terza, nella mattinata del sabato, su “L’impegno per la formazione dei volontari e l’avvenire dell’intervento civile di pace”. Il colloquio si è concluso con una tavola rotonda su: “Quale posto per l’intervento civile: complementarietà, opzione o alternativa?”. I presenti erano soprattutto francesi ma c’era qualche ospite d’oltralpe come il sottoscritto, incaricato, nella seconda sessione, di parlare della situazione italiana sui corpi civili di pace (in allegato la relazione da me presentata), e come assistente di Luc Reychler, presidente di una nota organizzazione per la diplomazia di base del Belgio, incaricato di parlare su una architettura per una pace duratura; altri stranieri erano invece presenti in rappresentanza di vari organismi internazionali che hanno partecipato e contribuito all’iniziativa. Il colloquio è stato infatti contraddistinto da una partecipazione ed anche un dibattito molto chiaro e preciso tra le organizzazioni non governative organizzatrici , o invitate (Medici senza frontiere, Handicap Internazionale) all’incontro e le istituzioni sia francesi che internazionali che hanno contributo ad animare il convegno. Tra queste in particolare, il Ministero degli Affari Esteri, con la partecipazione di un membro della Commissione Parlamentare su questi temi, il Ministero francese della Difesa, che ha inviato due suoi esperti, la Comunità Europea, e l’OSCE che hanno inviato a relazionare due loro dirigenti. Non mi è possibile, per mancanza di tempo, dare atto di tutti gli elementi interessanti emersi dal dibattito che sarà pubblicato a cura degli organizzatori. Molte le valide esperienze presentate da organizzazioni impegnate in questo settore come quelle del BPT o delle PBI, ed estremamente interessanti anche l’analisi giuridica delle possibilità ed i limiti di questo tipo di interventi, o dei problemi psicologici che nascono nelle persone impegnate in questo tipo di attività. Interessante anche una tavola rotonda in cui alcune organizzazioni umanitarie ospiti si sono confrontate con quelle organizzatrici del colloquio per rimarcare le reciproche differenze e la separatezza tra questi due tipi di intervento (umanitario ed intervento civile di pace) ma anche la loro sempre più importante complementarietà.
Ma vorrei sottolineare solo alcuni elementi emersi dalle relazioni e soprattutto dal dibattito molto franco tra le componenti istituzionali e quelle delle ONG che mi sembrano molto istruttivi. Il Ministero della Difesa francese ha preso atto della importanza dell’intervento civile tanto da creare al suo interno anche un dipartimento sull’intervento civile-militare o militare-civile. Ma concepisce questo tipo di intervento come subordinato a quello militare. Nelle parole di un suo rappresentante “l’intervento civile è spesso fatto grazie a mezzi ed attrezzature messe a sua disposizione dai militari”. Mentre le ONG organizzatrici insistono sulla necessità di una completa autonomia dell’intervento civile da quello militare che partono, nelle parole di J.M. Muller, “da due logiche completamente diverse”, non escludendo una loro complementarietà e collaborazione, ma sullo stesso piano e non subordinando quelle civili a quelle militari. Questo problema è emerso chiaramente anche nel dibattito tra uno dei due esperti di questo ministero ed il pubblico. Nella sua relazione questi aveva detto chiaramente che nei momenti di crisi internazionale si possono ipotizzare tre fasi:
· la prima è quella dell’intervento armato;
· 2) la seconda quella della ricerca di soluzioni politiche;
· 3) la terza quella della ricostruzione.

L’intervento dei civili viene visto come importante soprattutto nella seconda e nella terza fase.
Alle rimostranze di alcuni dei partecipanti al colloquio sul fatto che così si metteva del tutto in secondo piano una delle fasi più importanti del conflitto, quella nel quale l’intervento di corpi civili di pace può essere più cruciale, e cioè la prevenzione dall’escalation del conflitto e dell’esplodere del conflitto armato, che deve venire prima delle tre fasi su delineate, l’esperto in questione prima non ha risposto, glissando sull’argomento; poi, sollecitato a voce dal pubblico presente a dire la sua su questo argomento, ha riconosciuto l’importanza del problema ma ha detto che questo è un problema politico che deve essere risolto in sede parlamentare e governativa. Ha anche aggiunto che, secondo lui, il dibattito politico sull’intervento militare o meno e sulla prevenzione dei conflitti armati è estremamente carente a livello del Parlamento Francese e che loro (i militari) avrebbero preferito un maggiore approfondimento di questa tematica che sembra invece messa in secondo piano anche dagli stessi politici. Se pensiamo al dibattito di ieri alla nostra Camera ed all’appiattimento del nostro Parlamento, a stragrande maggioranza, su posizioni di appoggio all’intervento del nostro paese nella guerra in Afganistan, non c’è che da dargli ragione e vedere la pochezza di questo dibattito anche nel nostro paese. Ma questa emarginazione del tema dal dibattito generale politico e soprattutto dalla volontà dei paesi europei è emerso anche dagli interventi dei rappresentanti della Comunità Europea e dell’OSCE. La Comunità Europea sta infatti lavorando nella messa a punto di un esercito europeo ed anche di una polizia europea di varie migliaia di persone, ma nessuno accenno alla proposta di Alex Langer, già approvata dal Parlamento Europeo nel 1995 e ribadita nel 1999, sulla costituzione di corpi civili di pace europei. Alla domanda, fattagli in privato per mancanza di uno spazio adeguato di dibattito pubblico in questa sessione, sul perché di questa assenza, il rappresentate della C.E. ha risposto che si era informato prima di venire al convegno su questo tema ma che gli era stato suggerito di glissare su questo argomento perché considerato, in questo momento, di secondo piano rispetto alla costituzione della forza militare europea e di quella di polizia. Anche qui sembra cioè emergere la volontà dei governi, e dei militari, di costituire prima l’intervento militare e quello della polizia e poi, in subordine, quello civile. Questo è stato ulteriormente confermato dalla rappresentante dell’OSCE che nella sua relazione non ha fatto alcun accenno alla delibera di Istambul dell’OSCE nella quale si insisteva sulla importanza della costituzione di corpi civili di pace. Questa informazione ci era stata data da Kessler, un ex giudice antimafia italiano che è stato vicedirettore del corpo OSCE di verificatori degli accordi di pace in Kossovo prima della guerra, e che ora è deputato alla Camera per l’Ulivo. Alla richiesta del perché di questa trascuratezza l'esperta in questione non ha risposto dando solo le coordinate per la ricerca in internet di questa delibera di cui lei è sembrata essere del tutto all’oscuro, almeno per gli aspetti riguardanti questo tema che era quello principale del convegno a cui era stata inviata.

In complesso si può dire che il dibattito è stato molto utile anche perché ha messo a nudo le resistenze dell’establishment nei riguardi di questo tipo di intervento che viene sì considerato sempre più importante (tanto da riconoscergli lo spazio di dibattito all’interno del Parlamento stesso), ma che viene anche subordinato a quello militare considerato come quello fondamentale che deve dirigere anche l’altro. E questo sottolinea il grande lavoro ancora da fare non solo in Francia ma anche nel nostro paese ed a livello europeo per far comprendere la necessità della autonomia e della non subordinazione dell’intervento civile a quello militare, che possono e devono sempre più collaborare reciprocamente, ma senza subordinare quello civile a quello militare come sottolineato ripetutamente dagli organizzatori del colloquio stesso. A questa sottovalutazione ed a questa mancanza di comprensione è da imputare anche il fatto emerso dal dibattito nell’ultima sessione che tutta la formazione dei volontari in questo campo è lasciata alle ONG, con grande impegno di energie umane ed economiche, mentre non c’è un finanziamento pubblico di questo aspetto come invece richiesto dagli organizzatori del convegno stesso. C’è solo da sperare che il franco dibattito emerso dal colloquio convinca le istituzioni francesi, in particolare il Ministero degli Esteri che è trai finanziatori ed organizzatori del colloquio, di accettare questa proposta e di dare maggiore importanza, in futuro, anche a questo aspetto.
Firenze 8 novembre 2000

PRIMO INCONTRO CORPI CIVILI DI PACE
Impruneta 26 - 27 gennaio 2001
· Discussione sulle Aspettative e gli Orientamenti

PAOLO BERGAMASCHI – Gruppo Verde del Parlamento Europeo
Dal 1995 abbiamo cominciato a lavorare con A. Langer nel Parlamento Europeo per una proposta di creazione dei Corpi Civili di Pace.
Dalla primavera del 1999 l’U.E. ha dato vita alla cosiddetta politica estera di sicurezza comune: incentrata all’inizio sugli aspetti militari, dopo le proteste dei 4 paesi neutrali e della sinistra la questione viene affrontata non solo da un punto di vista militare ma anche civile attraverso una serie di organi in via di definizione:
Un comitato militare, in quanto l’esercito UE non deve essere una duplicazione della Nato.
Un organismo per la gestione civile dei conflitti (politiche sociali economiche ecc.) che introduce il concetto di azioni strutturali in un quadro comune (è stata fatta una comunicazione della commissione dove non era prevista la costituzione dei Corpi Civili di Pace, ma è stata rispedita al mittente e dovrà essere integrata.

DAVIDE CAFORIO – Etieconomia
Sulla natura dei Corpi Civili di Pace, nella bozza si leggeva che era prevista una sorta di collaborazione con le autorità militari.

PAOLO ZAMMORRI – Berretti Bianchi
Costruiamo il nostro corpo civile o interveniamo sulla costruzione Corpi Civili di Pace istituzionali europei?

EDI RABINI – MIR
Sarebbe interessante passare dalle specificità di quello che è stato fatto finora a un progetto che si confronta con il mondo istituzionale che deve diventare proposta politica.

LISA CLARK – Beati i Costruttori di Pace
Essere ponte, due tipi di ponte:
Il ponte tra la teoria e la pratica, per evitare la scissione fra queste due cose. Il ponte tra le realtà diverse che già sono attive: ad esempio i GAN e il GLT nonviolenza della Rete Lilliput.

ODILLA DAL SANTO – Donne in Nero
Per gli obiettori di coscienza sembra essere prevista una figura gestita dai militari che potrebbe sovrapporsi ai corpi civili di pace come li intendiamo noi. Sorge la necessità di distinguersi e quindi avere una cosa come i GAN da cui partire

MAO VALPIANA – Azione non Violenta
Esiste il piano politico istituzionale ed esiste il piano delle esperienze personali. Non sono d’accordo a mischiare le cose, es. i GAN sono l’azione tradizionale delle Associazioni mentre una formazione specifica per Corpi Civili di Pace è cosa diversa. Diversamente si entra nella genericità. Sull’organizzazione dal basso della formazione, non dobbiamo inventare nulla, si parte dall’esperienza di quello che si è fatto in questi anni. Siamo in ritardo rispetto alle acquisizioni già realizzate in ambito politico.

SILVANO TARTARINI – Berretti Bianchi
D’accordo sul fatto che dobbiamo mantenere il vecchio, le istituzioni hanno fino ad ora odorato queste tematiche. Esiste l’esigenza di costruire qualcosa ma minimale, non siamo indietro siamo avanti. Le Organizzazione non possono essere escluse, facciamo uno sforzo comune: piuttosto dell’ipotesi bicamerale (coordinamento di GAN + coordinamento di ONG) vedo meglio un unico coordinamento che al suo interno veda rappresentanti dei GAN e delle ONG.

ALBERTO L’ABATE – Università di Firenze
I corpi civili sono qualcosa di strutturato e professionale mentre i Gan sono meno strutturati. Ma il fatto che esistono persone che istituzionalmente organizzano il corpo civile non impedisce la partecipazione del movimento di base.

LISA CLARK - Beati i Costruttori di Pace
Nelle missioni di osservazione (i facilitatori di pace) non sono Corpi Civili di Pace, ma perlopiù militari.

PAOLO BERGAMASCHI – Gruppo Verde del Parlamento Europeo
Essi sono stati inviati in modo lottizzato dai vari paesi europei, senza una formazione comune, e hanno svolto piuttosto un servizio di “spionaggio” per i rispettivi paesi. Ma si tratta comunque di esperienze sul campo riutilizzabili e riconvertibil.

EDI RABINI – MIR
Noi possiamo valorizzare quello che abbiamo fatto, non siamo più nel 1993, quando non si era mai sentito parlare di Corpi Civili di Pace. Adesso il livello di consapevolezza al livello di UE è alto. Per quanto riguarda i processi formativi, la formazione deve partire dalle regioni. A parte Germania e Austria, anche diverse università Italiane si pongono questo obiettivo, Pisa, Firenze, un master a Trento per la risoluzione dei conflitti nei Balcani.
I giovani, non vanno classificati anche involontariamente in buoni e cattivi se fanno o non fanno obiezione di coscienza. Occorre guardare all’importanza della formazione comune tra militari e civili. Guardare a chi fa professionalmente protezione civile.

MAO VALPIANA – Azione Nonviolenta
Non facciamo confusione tra interventi politici – umanitari e Corpi Civili di Pace. I Corpi Civili di Pace, in prospettiva, devono essere dei professionisti.

ALBERTO L’ABATE – Università di Firenze
Creazione di una struttura efficace che si occupi di Formazione.

SANDRO MAZZI – Centro Studi Difesa Civile
Creare una struttura efficace e snella che riesca a non impantanarsi nei processi decisionali, il Centro Studi Difesa Civile ha creato, nel 1999, una cooperativa che vuole fare formazione e presenta progetti presso gli EE.LL ed acquisisce esperienze nella ricerca di fondi e finanziamenti.
· Relazione del Coordinatore della Segreteria Tecnica
di Silvano Tartarini, Berretti Bianchi

Cari amici, vi invio questa mia relazione sull’incontro di Impruneta, fatta sulla base degli appunti di Enrico Euli, che ringrazio per tutto il lavoro interamente gratuito, che ha fin qui svolto. Preciso che ho solo cercato di mettere assieme quello che era sparpagliato nei vari interventi assieme alle decisioni prese.
C’è stata una introduzione di Alberto L’Abate, che ha chiarito le ragioni dell’incontro e quello che si intendeva promuovere, ricordando che da una precedente riunione a Perugia era nata l’esigenza di lavorare alla stesura di una prima bozza di statuto, di cui si era occupata Antonella Sapio. La bozza di statuto era stata inviata a tutti i partecipanti all’incontro per fornire una possibile traccia organizzativa su cui riflettere e discutere, poiché si avvertiva l’esigenza di una struttura interna che potesse fornire maggiori garanzie di buon funzionamento, in grado di contenere e valorizzare tutta la diversità delle presenze in Italia attive in questo campo. In sostanza si è rilevato che l’urgenza imposta dalla situazione di "guerra globale" richiede una sinergia tra le varie organizzazioni impegnate sui tempi della prevenzione e dell’opposizione alla guerra diretta alla realizzazione concreta di un primo Corpo Civile di Pace. Si intende lavorare ad una struttura efficace, in grado di costruire in pari tempo formazione e azione.
Su questa premessa si è aperto il dibattito che ha anche finito per fare il punto sulla situazione legislativa sul tema e ha dato informazioni sui rapporti e contatti istituzionali rilevando come già dal 1995, grazie ad A. Langer, si è cominciato a lavorare a una proposta sui corpi civili di pace.
Successivamente, dalla primavera del ’99, la UE ha dato vita alla cosiddetta politica estera di sicurezza comune incentrata all’inizio sugli aspetti militari, ma che, dopo le proteste dei 4 paesi neutrali e della sinistra, viene affrontata ora non solo da un punto di vista militare ma anche civile attraverso una serie di organi in via di definizione.
Rispetto al problema se costruire un Corpo Civile di Pace dal basso o intervenire sulla realizzazione dei Corpi Civili di Pace istituzionali, la decisione emersa è stata quella di partire dal lavoro fatto e dalla nostra specificità per arrivare a costruire una prima realtà operativa dal basso e una proposta politica in grado di confrontarsi con le istituzioni ai vari livelli, anche sul terreno della formazione. Qui va rilevato che è stata ipotizzata anche una formazione comune tra civili e militari. Poiché, i precedenti osservatori italiani in Kossovo per conto della OECE erano per lo più militari in borghese e dato che i militari tendono a vedere i Corpi Civili di Pace come subordinati alle loro direttive, e dal momento che non è possibile pensare a Corpi Civili di Pace che intervengano con la nonviolenza all'estero senza averla applicata anche nelle nostre città e nelle situazioni in cui viviamo normalmente si è ritenuto necessario lavorare anche allo sviluppo di Gruppi di Azione Nonviolenta (GAN), che operino sul territorio nell’ottica della costruzione dei Corpi Civili di Pace.







SEMINARIO NAZIONALE VERSO LA COSTRUZIONE DEI GRUPPI DI AZIONE NONVIOLENTA
Roma 27-29 settembre 2001

· Esperienze di Nonviolenza nei Movimenti Italiani di Cambiamento Sociale
di Alberto Labate; Berretti Bianchi

La relazione si è sviluppata in 7 considerazioni generali e quattro esempi concreti.

1. la prima considerazione riguarda la generale incultura della nonviolenza , che traspare da molti opinionisti, anche molto famosi, che confondono pacifismo e nonviolenza, e che continuano a considerare quest’ultima come passività, come accettazione supina delle ingiustizie, come vigliaccheria, ecc.

2. La seconda considerazione riguarda la distinzione tra movimento pacifista e movimento nonviolento. Come accennato prima spesso questi vengono considerati essere la stessa cosa. In realtà tra loro c’è una differenza notevolissima. Infatti il movimento per la pace è semplicemente re-attivo.. Si mette in moto quando si prevede o sta per iniziare una guerra. Allora molte migliaia di persone, che molto spesso prima non hanno mosso un dito per evitare che la situazione si incancrenisse, si mettono in moto, fanno grandi manifestazioni di massa, protestano e scrivono contro la guerra. Ma di solito, appena la guerra è iniziata, oppure si è conclusa, il movimento sparisce del tutto. Il movimento nonviolento è invece pro-attivo. E cioè si mette in moto molto prima (in numeri molto minori, e perciò meno visibili, ma in modo continuato e approfondito) per prevenire il conflitto armato, per cercare soluzioni nonviolente, oppure, durante la guerra, per interporsi in modo nonviolento e far terminare il conflitto armato, e mettere gli avversari ad un tavolo di trattative, oppure dopo la guerra, per ristabilire i rapporti umani tra i due contendenti, e trovare forme di riconciliazione tra di loro. La ragione principale di questa differenza è il fatto che nella nonviolenza ci sono due armi principali: l’azione diretta nonviolenta, che ci dà strumenti per contrastare quanto c’è di sbagliato (tanto) nella società attuale, ed il progetto costruttivo, che ci indica dove vogliamo andare, che tipo di società vogliamo mettere in vita, ecc. Le battaglie nonviolente vincenti hanno sempre utilizzato ambedue queste “armi”, o se non vogliamo usare una terminologia militare, “strumenti” di cambiamento sociale, in modo interrelato ed in simbiosi l’uno con l’altro.

3. Ci sono studiosi , come Bobbio, che pur molto simpatetico verso la nonviolenza, esprime dei dubbi sulla sua efficacia. In realtà ci sono moltissimi esempi di come questa, se ben utilizzata, possa essere molto efficace. Io ne citerò solo quattro, ma se ne potrebbero presentare molte di più:
3.1 Vari anni fa, a Genova, c’era programmata ogni anno una mostra navale bellica, per vendere meglio le armi prodotte dalle nostre industrie. Dalle organizzazioni di base di Genova fu organizzato un blocco alla mostra che, nella mattina, coinvolse svariate migliaia di persone, ma che, nel pomeriggio, vide la partecipazione ad una manifestazione nonviolenta (serpentone) di moltissime migliaia di persone. A mia conoscenza è stata una delle più belle manifestazioni nonviolente mai svolte in Italia. L’obbiettivo era quello di far chiudere quella che era stata definita, dai Genovesi “la mostra dei mostri”.. In effetti, dopo questa manifestazione, la mostra fu sospesa e trasferita in mezzo al mare, su una nave militare raggiungibile solo con elicotteri. Ma dopo qualche anno i costruttori di armi italiani tornarono alla carica, chiedendone di nuovo l’apertura a Genova. La loro argomentazione era che l’Italia, a causa di questa limitazione, era passata dal 5° posto tra i venditori di armi del mondo, al 13° posto. Non so se questo sia vero, ma è certo che se le nostre iniziative sono riuscite a ridurre talmente il nostro commercio di armi, non possiamo certo dire che la nonviolenza sia inefficace. Con quella argomentazione i costruttori e venditori di armi nostrane sono riusciti a far riaprire la mostra a Genova, ma dopo un secondo blocco, cui ha partecipato pure una buona parte della popolazione genovese, la mostra è stata riportata nella nave militare.
3.2 Il secondo esempio è preso dalla lotta e dal lavoro di Danilo Dolci in Sicilia. Dopo una serie di sue denuncie (si pensi al suo libro “Banditi a Partinico”) sul fatto che lo stato italiano spendeva soldi solo per la repressione di coloro che si “ribellavano” al loro stato di miseria (spendendo perciò notevoli cifre per l’apparato repressivo : carabinieri, polizia, militari, giustizia, carceri, ecc.) ma quasi niente per aiutare le popolazioni di quella regione a svilupparsi economicamente e social
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