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DOCUMENTO CONCLUSIVO GIORNATE DI STUDIO E INIZIATIVA SU INTERVENTI E CORPI CIVILI DI PACE BOLZANO/BOLOGNA, 29 NOVEMBRE – 1 DICEMBRE

2.12.2007, fondazione
Premessa: Considerando la nuova tipologia nonché la complessità dei conflitti esistenti riteniamo che la classificazione corrente dei termini di peacekeeping, peacemaking e peacebuilding sia difficilmente inquadrabile nelle singole fasi del conflitto.

Il peacekeeping, originariamente “mantenimento della pace” e sempre più inteso come

direttamente rivolto alla gestione della violenza, verrà inteso in questo documento come l’insieme

delle attività volte a inibire la violenza.

Il peacemaking, comunemente inteso come l’insieme delle attività che avvengono prima del

raggiungimento di un accordo di pace, viene qui inteso come l’insieme delle attività, che in diversi

momenti, concorrono al raggiungimento di tale accordo anche se non in forma tradizionale purché

esplicitato dalle parti.

Il peacebuilding, da molti collocato nella fase di ricostruzione post-bellica, in questo documento

farà riferimento a tutte quelle attività tese alla trasformazione nonviolenta del conflitto e al lavoro

sulle cause. Tali attività, per loro stessa natura, si collocano lungo tutto l’arco del conflitto violento,

da una fase più propriamente preventiva, a quella dell’escalation, fino al compimento di un

processo di riconciliazione.

In questi ambiti d’azione l’approccio che va utilizzato e promosso è quello oramai condiviso della

“trasformazione nonviolenta del conflitto”. Inoltre i Corpi Civili di Pace, pur nello sforzo di

coordinamento con gli altri attori presenti in loco, dovrebbero sempre essere intesi come parte di

un processo di smilitarizzazione dei conflitti teso a valorizzare sempre di più la componente civile.

Nel presente documento i Corpi Civili di Pace sono intesi come strumento di intervento sia in

ambito internazionale che nazionale.

 

 

1. Formazione e Profili professionali

Sui temi dei profili professionali e della formazione dei CCP vanno ricordate le ricerche già

effettuate sia a livello italiano che internazionale (Nonviolent Peaceforce Feasibility Study, Peace

Training Guide del progetto ARCA, Ricerca interregionale sui profili professionali dell’area

umanitaria / operatori di pace), ma va tenuto presente anche il lavoro che si sta svolgendo in

questo momento all’interno del tavolo di consulenza sui CCP presso il Ministero degli Esteri (studio

di fattibilità dei CCP, progetto INFO-EAS sulla formazione).

Analisi

· La prospettiva di fondo della formazione è il contatto con il lavoro sul campo. È

indispensabile costruire i curricula formativi sulla base di obiettivi chiari in termini di

qualifiche del profilo professionale e competenze necessarie a svolgere il lavoro.

· Il profilo professionale dell’operatore di pace dovrà essere unitario, con delle articolazioni

interne sulla base dei diversi ambiti di attività

· È necessario restringere il campo del profilo professionale dell’operatore di pace,

differenziando con i profili esistenti, identificandone i punti di sovrapposizione, ma non

duplicando gratuitamente.

Caratteristiche generali del profilo di riferimento

Persone che vanno ad operare in situazioni di

1. conflitto latente;

2. crisi prolungata o cronica;

3. violenza diffusa ed organizzata (crisi);

4. scenari di transizione e del cosiddetto post conflitto violento.

Differenti ipotesi di articolazione del profilo:

· articolazione per macroaree di intervento (democratizzazione, peacekeeping civile, diritti

umani, ecc.);

· articolazione per fase del processo (1, 2, 3, 4);

· articolazione per tipologia dello scenario (grado di complessità della situazione, grado di

polarizzazione, lunghezza temporale, ecc.)

· articolazione per funzioni o compiti specifici (monitoraggio, reporting, mediazioni).

Non è realistico pensare a una figura generalista, per cui una soluzione potrebbe essere

strutturare le competenze in competenze di base e competenze specifiche a seconda dei criteri

suddetti.

Raccomandazioni – prossimi passi

a) sul contesto

· Occorre favorire il dialogo tra formazione accademica (master universitari), formazione

professionale, educazione non formale offerta dalle organizzazioni che promuovono i CCP

· E’ necessario lavorare alla definizione di standard condivisi sulla base delle esperienze di

formazione fatte e dei feedback provenienti dalla pratica del lavoro di pace

· I percorsi offerti dai diversi attori saranno poi differenziati in base agli approcci formativi,

alle filosofie di intervento, alle tipologie di attività previste, ai contesti del conflitto nei quali si

realizzeranno gli interventi

· La formazione dovrà tenere conto sia delle esigenze di coloro che intendono diventare

operatori di pace professionisti, sia del potenziale di coloro che intendono dare un

contributo al peacebuilding a partire da un proprio percorso professionale e personale già

sviluppato.

· In quest’ultimo caso sarà utile sfruttare le risorse finanziare europee a disposizione delle

iniziative di educazione degli adulti (EDA).

· È indispensabile un riconoscimento ufficiale delle qualifiche che determinano il profilo

professionale. Nell’iter burocratico per il riconoscimento, in fase di avvio, è indispensabile

che oltre agli attori pubblici, partecipi anche la società civile con le sue esperienze e

competenze.

b) sulle pratiche formative

· Poiché occorre lavorare per la pace a livello operativo, la formazione deve garantire questo

approccio: non una formazione accademica di tipo tradizionale;

· L’obiettivo generale è di sviluppare competenze richieste per soddisfare i bisogni delle

persone che vivono il conflitto;

· Alla prospettiva di genere deve essere riservata una particolare attenzione anche

attraverso percorsi formativi specifici;

· È importante pensare alla formazione non come separata dalla pratica, ma come parte di

un continuum dall’esperienza in aula al lavoro sul campo. In particolare occorre basare la

formazione sulle lezioni apprese dalla pratica; pensare a una formazione continua, che

abbracci il prima, il durante e il dopo l’intervento; orientare la formazione sui principi della

ricerca-azione

· Una dimensione di particolare interesse è l’apprendimento attraverso la gestione costruttiva

dei conflitti e delle tensioni a livello locale

· La formazione deve articolarsi in diverse dimensioni: sapere; saper fare; saper essere in

relazione con se stessi, con il gruppo a cui si appartiene, con i partner e i destinatari locali

dell’azione; saper divenire: favorire un’idea di sviluppo continuo dell’individuo

· Nella formazione è centrale l’apprendimento basato sull’esperienza: lavoro

sull’autobiografia, metodologie di training, e cicli di azione-riflessione (tirocini, ecc.)

· La selezione dei partecipanti all’ingresso deve avvenire attraverso un orientamento e

accompagnamento alla scelta basati sulla crescita dell’autoconsapevolezza, e su momenti

di assessment;

· Le agenzie formative devono dichiarare con chiarezza i propri obiettivi formativi e

contenuti, sottolineando che il titolo conseguito non garantirà necessariamente l’entrata nel

mondo del lavoro;

· E’ importante che il percorso formativo incoraggi il passaggio d un’idea di lavoro “per” le

persone a un approccio di lavoro “con” le persone

· Nella formazione è indispensabile lavorare sulla “meta-comunicazione” sui conflitti, in

particolare per gestire i conflitti interni all’equipe di lavoro

· Il lavoro formativo deve anche familiarizzare i futuri operatori con esperti in altre funzioni

che si incontreranno successivamente sul campo (compresi i militari);

Per arrivare al riconoscimento della figura professionale è indispensabile un raccordo tra i diversi

soggetti della formazione, e tutti gli stakeholders.

 

2. Prospettive di azione nelle diverse fasi del confitto

Riteniamo necessario che le funzioni dei CCP qui di seguito proposte, siano declinate in modo

chiaro per via legislativa. Inoltre vanno definite le modalità di attivazione dall’allarme tempestivo

alla selezione, alla missione. A nostro avviso queste modalità dovrebbero essere ben definite ma

dotate di elasticità allo scopo di garantire il coinvolgimento di tutti i soggetti, in particolare la società

civile locale ed internazionale. Per quanto riguarda l’invio e l’operatività ravvisiamo la necessità di

attivare meccanismi di coordinamento ed integrazione fra i differenti settori istituzionali come ad

esempio forze armate, protezione civile, enti locali etc. Al loro interno i CCP dovrebbero poter

contare su una struttura non gerarchica che valorizzi la partecipazione dal basso. Non è pensabile

una struttura composta esclusivamente da professionisti o esclusivamente da volontari. Nel primo

caso non ci sarebbe la possibilità di valorizzare l’esperienza ed il contributo del mondo del

volontariato col rischio di eccessivo tecnicismo. Nel secondo caso, si rischierebbe di avere una

struttura poco sostenibile dal punto di vista pratico e scarsamente autorevole.

Peacekeeping

L’intervento di peacekeeping ha come obiettivo fondamentale l’inibizione della violenza esplicita,

diretta. Può essere attuato nelle varie fasi del conflitto, ma con intensità diversa. Inibendo la

violenza, contribuisce al miglioramento della sicurezza. Il peacekeeping civile si esplicita nelle

seguenti funzioni:

Presenza. Oltre ad avere un effetto deterrente rispetto alla violenza diretta, la presenza dei CCP

rappresenta un riconoscimento dell’importanza della situazione locale conferendo dignità alle

popolazioni locali. Inoltre funge da stimolo per l’informazione e l’attenzione dell’opinione pubblica.

Accompagnamento

Interposizione

Monitoraggio

Negoziazione umanitaria. Facilita per esempio il passaggio di convogli umanitari

Funzioni trasversali. Informazione e facilitazione. La facilitazione può essere intesa come punto di

passaggio dal peacekeeping al peacebuilding.

Peacebuilding

Le attività di peacebuilding hanno come obiettivo fondamentale la creazione di una pace

sostenibile a lungo termine e sono quindi presenti in tutte le fasi del conflitto. Per questo, lavora

anche sulle cause della violenza, diversamente dal peacekeeping e dal peacemaking.

Il peacebuilding si esplicita nelle seguenti funzioni:

- capacitazione della società civile

- creazione di rete fra le persone

- favorire i flussi di informazione

- creazione di spazi di dialogo

- promozione del dialogo

- facilitazione della riconciliazione

- monitoraggio della fase di riconciliazione

- monitoraggio e diffusione di rapporti

- mediazione

- diplomazia parallela ai diversi livelli

- coordinamento con altri attori sul campo (nel caso di interventi internazionali: cooperazione,

aiuto umanitario, forze armate; nel caso di interventi interni: servizi sociali, comitati cittadini,

forze dell’ordine)

Peacemaking

L’intervento di peacemaking ha come obiettivo la realizzazione di un accordo esplicito fra le parti. I

CCP in questo rappresentano uno degli attori che può assumere responsabilità, una significativa

voce in più.

 

 

 

 

 

 

 

 

3. Relazioni con altri attori: militari e cooperazione internazionale

Il gruppo di lavoro sui rapporti tra CCP, mondo della cooperazione e mondo militare, che vede

presenti anche due rappresentanti del corpo degli Alpini, concorda sull’obiettivo generale di

migliorare il livello di conoscenza reciproca, nel reciproco interesse di ottimizzare la rispettiva

presenza, attraverso un più intenso scambio su vari livelli.

Per quanto riguarda l’interazione e lo scambio tra CCP, cooperazione e militari sia prima che

durante che dopo un conflitto, il gruppo concorda sulla necessità, in linea generale, per i CCP di

cercare l’interazione sia con la cooperazione nelle sue varie tipologie (istituzionale, ONG,

ecclesiale) che con il mondo militare. I distinguo riguardano in entrambi i casi la concreta modalità

operativa e di lavoro adottate da questi attori.

I presenti, militari inclusi, concordano sulla necessità di sostenere congiuntamente l’istituzione di

un Albo professionale e delle competenze dei futuri CCP, con cui stringere rapporti e relazioni. Se

anche dal mondo militare viene sostenuta questa necessità, l’istituzione diventa molto più

probabile.

Si propone una più intensa collaborazione tra operatori della cooperazione, Forze Armate e CCP

nell’ambito dei corsi di formazione, in un’ottica di co-pianificazione delle missioni di ogni attore

civile e militare, ma anche attraverso incontri tra i rappresentanti dei contingenti delle FFAA e gli

operatori del settore umanitario, società civile, CCP.

Fermo restando il dibattito attuale circa il ruolo e le caratteristiche dei CCP, la specificità che

contraddistingue i CCP rispetto alla cooperazione da un lato e agli interventi militari dall’altro in

scenari di crisi è l’intervento di early warning in una fase pre-conflitto finalizzata alla de-escalation

e alla prevenzione dello scoppio del conflitto violento. In una fase di escalation pre-conflitto

violento e in una fase di ricostruzione e riconciliazione post-conflitto la presenza più fruttuosa per

lavorare nella direzione della diminuzione delle tensioni è quella civile, non quella militare.

 

 

4. Lezioni apprese nei diversi scenari di intervento

Ci sembra, infine, importante segnalare l’importanza di riflettere sulle esperienze di terreno e di

promuovere e alimentare occasioni di scambio e di confronto sulle esperienze e gli apprendimenti

dalle pratiche. Fin d’ora è possibile trarre dalle prassi, sistematizzate e non, alcuni elementi di

particolare rilievo:

- Il riconoscimento istituzionale delle organizzazioni della Società Civile che operano o

opereranno in zone di conflitto;

- il riconoscimento delle relazione con le altre forze in campo improntate al rispetto reciproco

di una completa autonomia, e aperte alla comunicazione ed allo scambio;

- la cura della prospettiva di genere negli interventi nei luoghi di conflitto; e in tal senso

promuovere attività formative specifiche per i progetti;

- il considerare fondamentali le richieste della popolazione e della società civile locale per

ogni intervento;

- l’operare sulla base di mandati chiari e di progetti definiti;

- salvaguardare la natura super partes dei CCP;

- le attività di peacebuilding non devono essere trattate come i progetti di cooperazione, in

quanto hanno una propria logica e devono avere un proprio iter amministrativo

adeguatamente distinto;

- sottolineare che debba esistere un coinvolgimento attivo tra l’impegno di rafforzare la pace

sul terreno nazionale e gli interventi dei corpi civili di pace e di altri operatori nei luoghi di

conflitto;

- la cooperazione allo sviluppo deve essere sensibile ai contesti conflittuali e deve

promuovere le dinamiche di pace locali;

- la necessità di provvedere al monitoraggio e al sostegno psicologico degli operatori

impegnati nelle operazioni di pace.

Conclusioni

Non è superfluo in questa sede ribadire l’importanza di una visione sistemica del problema. Lo

strumento CCP perderebbe di validità se non fosse inserito in un processo di ricerca-azione

capace a sua volta di orientare e ri-definire le policies. Sottoponiamo pertanto questo documento al

Ministero degli Affari Esteri, al Ministero della Solidarietà Sociale, agli Enti Locali e tutti quegli

organismi che a vario titolo possono contribuire a realizzare i Corpi Civili di Pace.

pro dialog