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Commissione per gli affari esteri, i diritti dell'uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa del Parlamento Europeo 2001 o
29.6.2004, pe
relazione di Joost Lagendijk sulla comunicazione della Commissione concernente la prevenzione dei conflitti
PARLAMENTO EUROPEO
1999 2004
Documento di seduta
9 novembre 2001
RELAZIONE
sulla comunicazione della Commissione concernente la prevenzione dei conflitti
Commissione per gli affari esteri, i diritti dell'uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa
Relatore: Joost Lagendijk
INDICE
Pagina
PAGINA REGOLAMENTARE 4
PROPOSTA DI RISOLUZIONE 5
BREVE GIUSITIFICAZIONE 12
PARERE DELLA COMMISSIONE PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE 16
PAGINA REGOLAMENTARE
Con lettera del 25 aprile 2001 la Commissione ha trasmesso al Parlamento una comunicazione concernente la prevenzione dei conflitti: integrazione e cooperazione regionale, prevenzione a breve termine .
Nella seduta del 12 novembre 2001 la Presidente del Parlamento comunicherà di aver deferito tale comunicazione alla commissione per gli affari esteri, i diritti dell'uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa per l'esame di merito e, per parere, allacommissione per lo sviluppo e la cooperazione (C5-0458/2001)
Nella riunione del 28 maggio 2001 la commissione per gli affari esteri, i diritti dell'uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa ha nominato relatore Joost Lagendijk.
Nelle riunioni del 9 ottobre e del 5-6 novembre 2001 ha esaminato la comunicazione della Commissione e il progetto di relazione.
In quest'ultima riunione ha approvato la proposta di risoluzione con 43 voti favorevoli e 1 contrario.
Erano presenti al momento della votazione Elmar Brok (presidente), Baroness Nicholson of Winterbourne (vicepresidente), Catherine Lalumière (vicepresidente), Jan Joost Lagendijk (relatore), Alexandros Baltas, Bastiaan Belder, Andre Brie, John Walls Cushnahan, Rosa M. Díez González, Robert J.E. Evans (in sostituzione di Gary Titley, a norma dell'articolo 153, paragrafo 2, del regolamento), Giovanni Claudio Fava (in sostituzione di Klaus Hänsch), Monica Frassoni (in sostituzione di Daniel Marc Cohn-Bendit), Per Gahrton, Alfred Gomolka, Bertel Haarder, Glenys E. Kinnock (in sostituzione di Magdalene Hoff), Christoph Werner Konrad (in sostituzione di The Lord Bethell), Armin Laschet (in sostituzione di Gunilla Carlsson), Cecilia Malmström (in sostituzione di Pere Esteve), Franco Marini, Pedro Marset Campos, Hugues Martin, Linda McAvan, Philippe Morillon, Sami Naïr, Arie M. Oostlander, Reino Kalervo Paasilinna (in sostituzione di Emilio Menéndez del Valle), Doris Pack (in sostituzione di Ingo Friedrich), Hans-Gert Poettering, Jacques F. Poos, José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, Jacques Santer, Amalia Sartori, Elisabeth Schroedter, Ioannis Souladakis, Francesco Enrico Speroni, Ursula Stenzel, Hannes Swoboda, Johan Van Hecke, Geoffrey Van Orden, Demetrio Volcic (in sostituzione di Pasqualina Napoletano), Jan Marinus Wiersma, Matti Wuori e Christos Zacharakis.
Il parere della commissione per lo sviluppo e la cooperazione è allegato.
La relazione è stata depositata il 9 novembre 2001.
Il termine per la presentazione di emendamenti sarà indicato nel progetto di ordine del giorno della tornata nel corso della quale la relazione sarà esaminata.
PROPOSTA DI RISOLUZIONE
Risoluzione del Parlamento europeo sulla comunicazione della Commissione concernente la prevenzione dei conflitti (COM(2001) 211 – C5-04558/2001 – 2001/2182(COS))
Il Parlamento europeo,
vista la comunicazione della Commissione ),
– vista la sua raccomandazione del 10 febbraio 1999 sull'istituzione di un Corpo di pace civile europeo ,
- vista la sua risoluzione del 15 giugno 2000 sull'instaurazione di una politica europea comune in materia di sicurezza e di difesa, in vista del Consiglio europeo di Feira ,
- vista la sua risoluzione del 30 novembre 2001 sull'instaurazione di una politica europea comune in materia di sicurezza e di difesa dopo Colonia ed Helsinki ,
- vista la sua risoluzione del 15 marzo 2001 sul rafforzamento delle capacità dell'Unione nella prevenzione dei conflitti e nella gestione civile delle crisi ,
- vista la sua risoluzione legislativa dal 17 gennaio 2001 sulla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un dispositivo di reazione rapida (COM(2000) 119 – C5-0272/2000 – 2000/0081(CNS) ,
- viste le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Göteborg che ha approvato il programma dell'UE per la prevenzione dei conflitti violenti nonché la cooperazione UE-ONU nei settori della prevenzione dei conflitti e della gestione delle crisi,
- visti la decisione del Consiglio del 22 maggio 2000 che istituisce un comitato per gli aspetti civili della gestione delle crisi e lo sviluppo nel corso della Presidenza svedese di obiettivi concreti per la gestione delle crisi civili in materia di polizia, Stato di diritto, amministrazione e protezione civile,
- viste le decisioni del Consiglio del 22 gennaio 2001 che istituisce gli organi permanenti della PECSD, in particolare il CPS (Comitato politico e di sicurezza), che svolgerà un ruolo centrale nella definizione di una crisi nel seguito della risposta dell'Unione europea ad essa ,
- visto il regolamento del Consiglio (CE) n. 381/2001, del 26 febbraio 2001 che istituisce il meccanismo di reazione rapida ,
- visto l'articolo 47, paragrafo 1, del suo regolamento,
- vista la relazione della commissione per gli affari esteri, i diritti dell'uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa e il parere della commissione per lo sviluppo e la cooperazione (A5-0394/2001),
A. considerando che il Parlamento europeo ha già espresso in molte posizioni ufficiali i punti principali delle proprie idee sulla prevenzione dei conflitti e che la maggior parte di esse continuano ad essere valide,
B. considerando che l'entità di qualsiasi possibile conflitto nel mondo moderno evidenzia la necessità di mantenere un approccio al contempo globale ed europeo,
C. considerando che nella comunicazione della Commissione non è presente alcun riferimento all'impatto conflittuale che numerose politiche comuni dell'Unione europea potrebbero avere sull'origine e lo sviluppo dei conflitti locali in determinate aree,
D. considerando che la proposta del Parlamento europeo, presentata alla CIG del 1996, volta ad istituire un Corpo di pace civile europeo, non è ancora stata oggetto di commenti da parte della Commissione o del Consiglio, pur essendo stata sottoposta ad esame in occasione della suddetta CIG del 1996 e appoggiata da alcuni paesi,
E. considerando che la dipendenza esclusiva dalle risorse tradizionali, legata alle strategie politiche, diplomatiche o militari risulta inadeguata ai fini della prevenzione dei conflitti e che è necessario un approccio globale per la costruzione della pace, comprendente assistenza umanitaria, cooperazione allo sviluppo e politiche commerciali, estere e di sicurezza, ripristino e mantenimento della legalità interna, costruzione o ricostruzione dell'apparato amministrativo, dialogo interetnico e forme alternative di gestione dei conflitti,
F. considerando che al mondo d'oggi sicurezza e solidarietà sono sempre più spesso due facce della stessa medaglia e che pertanto nell'ambito dell'UE va accordata priorità ad un vasto programma promosso dalla comunità internazionale per l'eradicamento della povertà,
G. considerando che è essenziale identificare come potenziali cause di conflitti, tra gli altri, i contrasti etnici e religiosi, il terrorismo associato al nazionalismo e al fondamentalismo, la criminalità organizzata e il traffico di droga, la mancanza di democrazia nonché il degrado dell'ambiente e le questioni relative alle acque,
H. considerando che in un periodo post-bellico tali interventi devono contribuire alla riabilitazione e alla riconciliazione con la massima partecipazione possibile di tutti gli attori della società civile, alla previsione o alla risoluzione dei conflitti con strumenti non militari, come la gestione civile delle crisi e le azioni post-belliche,
I. considerando che gli interventi tesi alla prevenzione dei conflitti devono essere coordinati a livello internazionale, corrispondenti ai bisogni delle popolazioni che vivono nell'area in conflitto, compatibili con la società civile e gli altri soggetti interessati, non violenti e non coercitivi, flessibili e pratici e, infine, capaci di contrastare le escalation di violenza a uno stadio iniziale e con tempestività,
J. considerando che, in tale settore, è quanto mai sentita la necessità di rafforzare i rapporti e il coordinamento istituzionale esistente sia con il sistema delle Nazioni Unite che a livello regionale, con particolare riferimento alle attività e agli organi dell'OSCE e del Consiglio d'Europa,
K. considerando che, al fine di assicurare l'efficacia dell'approccio dell'Unione alla prevenzione dei conflitti adottato dall'Unione, è necessario evitare il verificarsi di sovrapposizioni di competenze fra la Commissione e il Consiglio,
L. considerando che l'Unione europea dispone di ampie possibilità per arginare il flusso di armi verso le regioni interessate da conflitti, come previsto dal suo codice di condotta sulle esportazioni di armi e dai suoi programmi relativi alla non proliferazione di armi di piccolo calibro; rammenta in proposito la propria risoluzione del 15 marzo 2001 sulla recente Conferenza dell'ONU concernente tutti gli aspetti del commercio illegale di armi leggere e di piccolo calibro e, in particolare l'esortazione ad elaborare un codice di condotta vincolante comprendente il divieto di trasferire armi a governi ed organizzazioni extra-governative che sistematicamente violano i diritti dell'uomo o il diritto umanitario internazionale,
M. considerando che la Carta delle Nazioni Unite è un documento di valore universale e, sul piano politico e del diritto internazionale, fondamentale per garantire la sicurezza internazionale e la sicurezza politica dell'Unione europea e dei suoi Stati membri,
1. accoglie favorevolmente la recente comunicazione della Commissione concernente la prevenzione dei conflitti, ritenendola un sostanziale passo avanti che individua come rendere più coerente e informata la politica dell'UE fissando obiettivi in materia di prevenzione dei conflitti;
2. ritiene, tuttavia, che la comunicazione non affronti adeguatamente le rigidità dell'attuale struttura a pilastri del sistema di prevenzione dei conflitti, la necessità di rafforzare la cooperazione interistituzionale e superare le politiche frammentarie impostate sui pilastri, le difficoltà di assicurare la cooperazione fra gli Stati membri, le diverse scadenze dei programmi civili e militari, la necessità di un significativo potenziamento interno della capacità e la mancanza di un reale coordinamento strategico ed operativo con le ONG e gli altri soggetti che operano nell'ambito della società civile, tanto per citare alcuni ostacoli;
3. giudica positivi i progetti della Commissione di lavorare a stretto contatto con il Consiglio per individuare e sorvegliare le potenziali zone di conflitto; esorta entrambe le parti a utilizzare le informazioni raccolte da terzi, quali le ONG specializzate e il mondo accademico;
4. rileva che la comunicazione non chiarisce se la Commissione valuta sistematicamente l'impatto delle azioni dell'UE finalizzate a prevenire i conflitti in specifiche regioni di tensione, oppure se la Commissione fa ricorso alla vasta gamma di studi analitici prodotti da terzi;
5. invita a rimettere in discussione la stessa struttura a due pilastri - e la conseguente incoerenza della politica estera europea - in occasione della dichiarazione di Laeken e della successiva Convenzione;
6. sottolinea che la prevenzione dei conflitti sia a lungo che a breve termine richiede un maggiore impegno e una direzione politica da parte degli Stati membri, dal momento che i soli strumenti comunitari non sono sufficienti a risolvere tutte le possibili fonti di conflitto, e il rafforzamento delle delegazioni della Commissione per far sì che la prevenzione dei conflitti sia integrata in tutti i programmi dell'UE; è persuaso della necessità di incrementare il budget per le politiche esterne dell'UE, onde consentire all'Unione di realizzare le proprie ambizioni;
Programma UE per la prevenzione dei conflitti violenti
7. accoglie favorevolmente il programma per la prevenzione dei conflitti violenti deciso dal Consiglio europeo di Göteborg del 15 e 16 giugno 2001; plaude in particolare al concetto di "cultura della prevenzione" espresso in tale programma;
8. invita le future Presidenze, la Commissione e il Segretario Generale/Alto Rappresentante a prestare maggiore attenzione alle proposte presentate dal Parlamento europeo, compresa la proposta che richiede l'istituzione di un Corpo di pace civile europeo, e a garantire sì che siano stanziati finanziamenti a tale scopo;
9. si compiace della nuova posizione comune sulla prevenzione, gestione e risoluzione dei conflitti in Africa adottata dal Consiglio "Affari generali" nel maggio 2001 e raccomanda l'adozione di un approccio analogo in ciascuna area geografica in cui si manifestano rischi di conflitto;
10. invita gli Stati membri a rispettare tassativamente il codice di condotta sulle esportazioni di armi e ad adoperarsi per dare quanto prima a tale codice un valore vincolante;
Eventuali conseguenze negative delle politiche comuni dell'UE - Necessità di una valutazione della prevenzione dei conflitti
11. ritiene necessario assicurare che le decisioni connesse alle politiche comuni dell'Unione europea non abbiano un impatto indesiderato e perfino dannoso sui conflitti locali, alterando, se non annientando, tanto il mercato quanto l'assetto economico, sociale ed ecologico dei paesi terzi;
12. osserva, pertanto, che andrebbe esaminata con maggiore attenzione sia la proposta di rendere il concetto di prevenzione dei conflitti una tematica trasversale a tutte le politiche comuni dell'Unione europea (ambiente, commercio, agricoltura, energia, ecc.), sia la proposta di integrare maggiormente gli indicatori di conflitto e gli obiettivi relativi alla prevenzione dei conflitti, al fine di inserirla nell'attività di pianificazione dei Programmi di aiuti esterni della Comunità;
13. ritiene che si debba rivolgere attenzione alla perniciosa influenza esercitata dalle imprese pubbliche e private in territori caratterizzati da instabilità, introducendo disposizioni legali vincolanti e sanzionatorie per quelle imprese che contribuiscono all'insorgere di conflitti;
14. propone di eseguire una "Valutazione della prevenzione dei conflitti" al momento di esaminare le principali decisioni concernenti le politiche comuni dell'Unione e di varare qualsiasi tipo di programma nei paesi terzi, allo scopo di stabilire l'eventuale impatto che tali decisioni o programmi potrebbero avere dal punto di vista della prevenzione dei conflitti;
15. sottolinea l'importanza di integrare l'analisi politica e gli obiettivi di prevenzione dei conflitti nei documenti di strategia nazionale;
16. ricorda, come ulteriore contributo alla prevenzione dei conflitti, la sua risoluzione sull'assistenza e l'osservazione elettorale dell'UE in paesi terzi e, in particolare, l'attenzione prestata alla necessità di completare la partecipazione dell'UE nel paese interessato mediante un appoggio duraturo e sostenibile al processo democratico;
17. ritiene che l'UE necessiti di un'adeguata struttura che preveda un'unità di reazione rapida non militare al fine di selezionare, oltre a una forza di polizia ben addestrata, tecnici ed economisti che abbiano ricevuto una formazione specifica per intervenire in tutti i settori appropriati, dalle attività di prevenzione alle operazioni tecniche;
Instaurazione di un Corpo di pace civile europeo
18. si rammarica del fatto che né la recente comunicazione della Commissione, né il Consiglio o il Consiglio europeo hanno dato seguito alla proposta presentata dal Parlamento nella risoluzione approvata il 17 maggio 1995 , alla vigilia della CIG del 1996 e nella sua raccomandazione del 10 febbraio 1999 , volta all'instaurazione di un Corpo di pace civile europeo;;
19. ribadisce la necessità di istituire un Corpo di pace civile europeo nel quadro del Meccanismo di reazione rapida della Commissione europea, cui spetterebbe il compito di attuare misure pratiche per la pace, quali arbitrato, mediazione, distribuzione di informazioni imparziali, detraumatizzazione e ripristino di un clima di fiducia fra i belligeranti, aiuti umanitari, reintegrazione, riabilitazione, ricostruzione, istruzione nonché monitoraggio e miglioramento della situazione dei diritti umani, comprese le relative misure di accompagnamento;
20. insiste a questo proposito affinché il Consiglio e la Commissione utilizzino in modo ottimale l'esperienza presente negli organi dell'UE; invita il Consiglio ad effettuare una piena valutazione critica del lavoro della Missione di vigilanza dell'Unione europea (EUMM) che ne evidenzi le prospettive future, le possibilità di un'azione comune efficace e flessibile degli osservatori UE in collaborazione con quelli di altre organizzazioni internazionali, in particolare quelli dell'OSCE, le lacune e i possibili nuovi compiti in merito alla costituzione di un Corpo di pace civile europeo e a trasmettere tale valutazione al Parlamento;
21. precisa che i compiti del Corpo di pace civile europeo sarebbero di natura esclusivamente civile e finalizzati ad impedire che le situazioni di crisi degenerino in violenza, ricorrendo in modo incondizionato alle risorse offerte dalla società civile;
22. sottolinea, a tale proposito, la necessità che le ONG specializzate nella prevenzione dei conflitti e nella gestione delle crisi, sia a livello internazionale che regionale, svolgano un ruolo centrale nelle azioni per la prevenzione dei conflitti con il sostegno della Commissione e in piena cooperazione con le iniziative del Consiglio per la gestione civile delle crisi;
Rafforzamento dei rapporti con le Nazioni Unite e l'OSCE
23. raccomanda la massima cooperazione con i meccanismi di prevenzione dei conflitti delle Nazioni Unite, nonché con i vari programmi e organi istituiti dall'OSCE in tale settore; rivolge un pressante invito agli Stati membri affinché si impegnino e contribuiscano ad una riforma delle Nazioni Unite e in particolare del Consiglio di sicurezza in senso più democratico e partecipativo;
24. si compiace delle conclusioni del Consiglio "Affari generali" presentate al Consiglio europeo di Göteborg in merito alla cooperazione UE-ONU per la prevenzione dei conflitti e la gestione delle crisi e raccomanda vivamente di adottare un approccio analogo, al fine di attuare le condizioni per rafforzare la cooperazione fra l'Unione europea e l'OSCE nelle stesse aree;
25. raccomanda di rafforzare i rapporti di collaborazione esistenti fra le varie istituzioni e gli organi che svolgono un ruolo di prevenzione dei conflitti nell'ambito del quadro istituzionale dell'UE, e il meccanismo REACT dell'OSCE, l'Alto commissario dell'OSCE per le minoranze nazionali, l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani, il Rappresentante dell'OSCE per la libertà dei media e il Centro di prevenzione dei conflitti dell'OSCE;
Altre iniziative
26. propone di ricorrere ulteriormente in modo estensivo alle conoscenze e alle competenze messe a disposizione dall'accademica Rete di prevenzione dei conflitti (CPN); ricorda che la CPN è stata proposta dal Parlamento e realizzata nel corso degli ultimi cinque anni; ritiene che, in linea con il progetto originale, la CPN debba assistere non solo la Commissione ma anche il Parlamento e il Consiglio, fornendo un approccio interistituzionale coerente in vista di una politica di prevenzione dei conflitti ambiziosa e positiva; sottolinea, pertanto, la necessità che in futuro essa estenda le proprie attività, fornendo inoltre l'appoggio auspicato tramite l'attuazione ottimale delle politiche di prevenzione e il monitoraggio dei loro esiti;
27. ribadisce che la proliferazione di armi leggere e di piccole dimensioni costituisce un fattore cruciale per l'instabilità in tutte le regioni di crisi e invita pertanto l'UE a continuare a chiedere un efficace controllo delle esportazioni di armi, che comprenda licenze di produzione, accordi industriali di cooperazione nonché l'intermediazione nel settore delle armi; ribadisce a tal fine la necessità di rendere vincolante il codice di condotta europeo sull'esportazione di armi;
28. chiede che si presti maggiore attenzione all'istruzione come strumento chiave per la prevenzione dei conflitti e, a tal fine, invita la Commissione a contribuire alle attività del Decennio delle Nazioni Unite per una cultura di pace e non violenza promuovendo l'introduzione nei programmi scolastici di tutto il mondo, ed in particolare nelle aree specifiche di conflitto quali i Balcani e il Medio Oriente, del consolidamento della pace e della formazione sulla non violenza, il rispetto reciproco e il superamento dell'odio;
29. chiede alla sua Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai parlamenti degli Stati membri nonché ai Segretari generali delle Nazioni Unite e all'OSCE;
BREVE GIUSITIFICAZIONE
I Introduzione
L'obiettivo della presente relazione non è affatto quello di ripetere ciò che il Parlamento ha più volte ribadito in merito a tale importante problematica. Il PE ha sempre dato assoluta priorità alla gestione civile dei conflitti, pur riconoscendo che, in taluni casi, il ricorso alle armi è inevitabile. Il Parlamento europeo ha comunque sempre appoggiato l'idea che la prevenzione dei conflitti, oltre a rappresentare una soluzione più economica in termini di vite umane e danni materiali, fosse preferibile e più semplice rispetto alla loro risoluzione. Alla luce di tale considerazione, le diverse proposte inserite nella recente comunicazione della Commissione sono sul punto di essere favorevolmente accolte, conformemente alla recente decisione del Consiglio europeo di varare un programma comunitario per la prevenzione dei conflitti violenti. Malgrado ciò, il Parlamento ha intenzione di fornire maggiori spunti di riflessione e proposte pratiche in questo campo. A tal fine, nel presente testo sono inserite una serie di raccomandazioni e proposte specifiche e, in certi casi, ben note. Per quanto concerne la recente comunicazione della Commissione, si potrebbe affermare che, in termini generali, la Commissione fornisce un ampio inventario degli strumenti e delle politiche comunitarie, che potrebbero essere adottati ai fini della prevenzione dei conflitti e presenta un elenco composito di raccomandazioni, affrontando sia la prevenzione dei conflitti a breve termine che il sostegno a lungo termine finalizzato al conseguimento della stabilità strutturale. Purtroppo, la comunicazione risulta molto più laconica e meno innovativa laddove si affronta la questione relativa al monitoraggio, all'attuazione e alla valutazione dell'impatto della politica di prevenzione dei conflitti adottata dall'UE.
II. Radici dei conflitti e aspetti trasversali della politica di prevenzione dei conflitti dell'UE: prevenzione delle eventuali conseguenze negative delle politiche comuni dell'UE
Il Consiglio europeo di Göteborg del 15 e 16 giugno 2001 ha riconosciuto che la prevenzione dei conflitti rappresenta uno dei principali obiettivi di politica estera dell'Unione e che andrebbe integrata a tutti i livelli, compresi la politica europea in materia di sicurezza e di difesa, la cooperazione allo sviluppo e il commercio. Il Parlamento europeo non può che condividere tale approccio. Il relatore ritiene tuttavia che sarebbe possibile fare un ulteriore passo avanti valutando e prevenendo il possibile impatto che determinate decisioni di grande rilevanza, adottate nel quadro delle politiche comuni dell'Unione, potrebbero avere quali cause dirette o indirette di determinati conflitti locali, dato che, nella fattispecie, sono in grado di alterare o persino annientare la struttura sociale ed economica dei paesi più poveri. Il mainstreaming della prevenzione dei conflitti implica, ad esempio, l'attento esame, da tale punto di vista, delle conseguenze che i livelli delle sovvenzioni agricole stanziate dall'UE hanno per i paesi colpiti da situazioni di crisi oppure l'eventuale ricorso agli organismi geneticamente modificati (politica agricola); il rifiuto ad aprire i mercati comunitari a buona parte dei prodotti più sensibili (compreso riso, zucchero e banane) provenienti da molti paesi che presentano un potenziale rischio di conflitto (politica commerciale); la disponibilità ad effettuare transazioni commerciali con paesi che, di fatto, non rispettano né gli standard comunitari in materia di ambiente sostenibile (politica ambientale) né i valori democratici dell'Unione (diritti umani), ecc. L'obiettivo finale è di salvaguardare il principio di coerenza fra le diverse politiche dell'UE e dare concretezza al concetto di stabilità strutturale proposto dalla Commissione, mantenendo un approccio integrato per quanto riguarda lo sviluppo economico sostenibile, il rispetto dei diritti umani, la validità delle strutture democratiche e condizioni sociali sane. Naturalmente tale principio è applicabile anche nei confronti di determinate misure e politiche di carattere nazionale che hanno un chiaro impatto sull'azione esterna dell'UE, specialmente nel campo dell'esportazione delle armi, per evitare, in particolare, che i militari provenienti dagli Stati membri dell'UE e operanti in strutture per il mantenimento della pace, si trovino nuovamente di fronte ad armi fabbricate e fornite da aziende dell'UE.
III Programma UE per la prevenzione dei conflitti violenti
Il Consiglio europeo di Göteborg del 15 e 16 giugno 2001 ha approvato il programma comunitario per la prevenzione dei conflitti violenti, teso al miglioramento della capacità dell'Unione di eseguire in modo tempestivo e coerente le operazioni di allarme, analisi e azione. Le future Presidenze, la Commissione e il Segretario Generale/Alto Rappresentante sono stati invitati a presentare una serie di raccomandazioni volte al suo ulteriore sviluppo. Tale programma mira a stabilire chiare priorità politiche per la prevenzione delle azioni, a migliorare gli allarmi iniziali, l'azione e la coerenza politica, a rafforzare lo strumento a disposizione dell'Unione per la prevenzione a lungo e breve termine e a costruire un partenariato efficace per la prevenzione. Il programma è sul punto di essere favorevolmente accolto. Ciò nonostante, esso non ha risolto alcune delle debolezze istituzionali insite nel sistema di prevenzione dei conflitti adottato dall'UE, fra cui l'attuale centralizzazione e il meccanismo di comitatologia in vigore. Nello stesso tempo, non ha risolto il problema di come evitare conflitti inutili fra il ruolo primario svolto dalla Comunità in materia di prevenzione dei conflitti e il secondo pilastro interparlamentare relativo alla gestione delle crisi. Inoltre, gli aspetti finanziari del programma non sono trattati con sufficiente attenzione, il problema della possibile sovrapposizione di compiti fra la Commissione e il Consiglio rimane irrisolto e il ruolo del PE risulta ancora una volta trascurato.
IV Miglioramento degli strumenti di prevenzione dei conflitti tramite l'istituzione di un Corpo di pace civile europeo
Nella relazione "Bourlanges/Martin", approvata dal Parlamento europeo il 17 maggio 1995, il PE suggerisce per la prima che "un primo passo per contribuire alla prevenzione dei conflitti potrebbe consistere nella creazione di un Corpo civile europeo della pace (che comprenda gli obiettori di coscienza) assicurando la formazione di controllori, mediatori e specialisti in materia di soluzione dei conflitti". Da allora, il Parlamento europeo ha, in numerose occasioni, ribadito tale affermazione e sviluppato il concetto di Corpo di pace civile europeo (ECPC), in particolare nella relazione Gahrton del 28 gennaio 1999 (Doc. A4-0047/1999). Nella presente relazione, il Parlamento europeo ribadisce ancora una volta tale richiesta. È perfettamente ipotizzabile che applicando, ad esempio, l'esperienza della missione di monitoraggio della Comunità europea (ECMM) nell'ex Jugoslavia, e inserendola nel progetto ECPC, che prevede la partecipazione di molte ONG specializzate e di civili ben addestrati forti di un'esperienza specifica e prolungata sul campo, potrebbe rivelarsi relativamente agevole creare il nucleo iniziale dell'ECPC. In tal caso, sarebbe sufficiente una struttura organizzativa non molto ampia e piuttosto flessibile, mentre l'ECPC potrebbe successivamente specializzarsi nell'attuazione di misure pratiche per la realizzazione della pace, quali l'arbitrato e la creazione di un clima di fiducia fra le parti belligeranti, aiuti umanitari, reintegro (attuando, tra l'altro, il disarmo e la smobilitazione degli ex-combattenti), riabilitazione, ricostruzione, monitoraggio e miglioramento della situazione dei diritti umani. In termini operativi, spetterebbe al Consiglio e alla Commissione esaminare e identificare i casi in cui ricorrere all'ECPC.
La sopraccitata relazione dell'on. Per Gahrton riporta inoltre un elenco molto dettagliato di raccomandazioni riguardanti i possibili obiettivi, il personale, la struttura, la preparazione, l'arruolamento, la distribuzione, il finanziamento e il possibile quadro istituzionale da applicare all'ECPC. La maggior parte di queste proposte sono tuttora valide. Spetta a questo punto sia alla Commissione che al Consiglio prendere in seria considerazione la raccomandazione presentata dal PE e adottare provvedimenti adeguati. La creazione di uno strumento civile per la prevenzione dei conflitti, potenzialmente dotato di estremo potere, è al banco di prova.
V. Cooperazione internazionale: intensificazione delle relazioni con l'ONU e l'OSCE
Come il PE ha già sottolineato nella sua raccomandazione al Consiglio del 10 febbraio 1999 sull'instaurazione di un Corpo di pace civile europeo, l'ECPC non va in nessun caso interpretato quale alternativa alle missioni di mantenimento della pace, né deve produrre sovrapposizioni con organizzazioni, quali l'OSCE e l'UNHCR, da tempo attive nel settore in questione. Esso dovrebbe piuttosto costituire, laddove è necessario, un complemento alle azioni militari di prevenzione dei conflitti eseguite in collaborazione con l'OSCE e l'ONU. Si nota con rammarico, ad esempio, che, al momento, uno dei principali problemi mostrati dal meccanismo di prevenzione dei conflitti nell'ambito dell'UE è dato dal fatto che i tempi di reazione e la capacità di distribuire il personale e l'assistenza in modo rapido risultano bassi se paragonati, ad esempio, agli standard dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). È ovvio che un maggiore coordinamento con quest'ultima organizzazione gioverebbe ad entrambi e, in particolare, potrebbe migliorare le attuali carenze del sistema adottato dall'UE. Ulteriori sfide sono poste dal fatto che, per essere efficace, la prevenzione dei conflitti dovrebbe essere integrata dalla gestione delle crisi, mentre gli ambigui confini geografici di quest'ultima, se paragonati all'attenzione internazionale riservata al concetto di prevenzione dei conflitti, rischiano di portare l'Unione europea all'isolamento, a meno che essa non si muova in stretta relazione con il sistema dell'ONU e a un livello regionale adattato ai casi specifici, ponendo l'OSCE in cima all'elenco delle organizzazioni che agiscono sul piano regionale.
È ben noto che l'OSCE si ritiene uno strumento primario per l'avvertimento precoce e la prevenzione dei conflitti, al punto che le sue strutture e le missioni che svolge sul campo presentano obiettivi di carattere preventivo. L'OSCE riunisce forze di polizia civili e altri esperti civili per realizzare le proprie operazioni in maniera integrata. Di recente il sistema REACT (Rapid Expert Assistance and Cooperation Teams) dell'OSCE è diventato operativo. REACT è una struttura tesa alla rapida mobilitazione del personale civile in dodici settori che vanno dallo sviluppo mediatico dei diritti umani, all'amministrazione, agli aiuti e alle forze di polizia civili dispiegate in missioni sul campo. In termini generali, la missione sul campo operata dell'OSCE offre un'ampia gamma di competenze, compresa l'assistenza tecnica per il mantenimento e il ripristino dell'ordine pubblico, l'addestramento delle forze dell'ordine, la mediazione, il monitoraggio dell'ordinamento di pace, la gestione delle elezioni e la riabilitazione post-bellica. Inoltre, anche se l'OSCE non è in grado di realizzare operazioni per il mantenimento della pace, esso svolge comunque un ruolo politico molto utile, assicurando il mandato giuridico e fornendo esperti civili alle operazioni pluridimensionali per il mantenimento della pace. Par tali ragioni, si raccomanda quindi vivamente di creare collegamenti operativi molto stretti fra le diverse istituzioni e i diversi organi che svolgono un ruolo nella prevenzione dei conflitti nell'ambito del quadro comunitario esistente, agendo in collaborazione con il succitato meccanismo REACT dell'OSCE e con l'Alto commissario per le minoranze nazionali dell'OSCE, con l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani, con il Rappresentante dell'OSCE per la libertà dei media, nonché con il Centro di prevenzione dei conflitti dell'OSCE. Ulteriori vantaggi per l'Unione derivano dall'alto numero di aderenti all'OSCE, che si estende da Vancouver a Vladivostock, dal fatto che gli Stati membri dell'OSCE possono trattare questioni che influiscono sulla sicurezza euro-atlantica partendo dalla medesima base, nonché dal fatto che l'assenza di strutture politiche rigide consente all'OSCE di rispondere in modo rapido e flessibile all'irrompere degli eventi politici. Anche se le decisioni prese dall'OSCE sono assunte per consenso, è altresì vero che, una volta prese, tali decisioni hanno ottime possibilità di attuazione effettiva. Per ciò che concerne le relazioni UE-OSCE, il programma UE per la prevenzione dei conflitti violenti non risulta molto concreto, dato che esso si limita ad affermare che l'UE intende intensificare lo scambio di informazioni e la cooperazione pratica con l'OSCE. Dal nostro punto di vista, ciò implicherebbe comunque una maggiore collaborazione delle istituzioni e degli organi comunitari con l'Alto commissario per le minoranze nazionali facente capo all'OSCE, con l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani, con il Rappresentante dell'OSCE per la libertà dei media, nonché con il Centro di prevenzione dei conflitti dell'OSCE.
16 ottobre 2001
PARERE DELLA COMMISSIONE PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE
destinato alla commissione per gli affari esteri, i diritti dell'uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa
sulla comunicazione della Commissione concernente la prevenzione dei conflitti
Relatore per parere:Hans-Georg Modrow
PROCEDURA
Nella riunione del 25 giugno 2001 la commissione per lo sviluppo e la cooperazione ha nominato relatore per parere Hans-Georg Modrow.
Nelle riunioni del 13 settembre e 11 ottobre 2001 ha esaminato il progetto di parere.
Nell'ultima riunione indicata ha approvato le conclusioni in appresso all'unanimità.
Erano presenti al momento della votazione Joaquim Miranda (presidente), Lone Dybkjær (vicepresidente), Margrietus J. van den Berg (vicepresidente), Hans Modrow (relatore per parere), Teresa Almeida Garrett (in sostituzione di Stavros Xarchakos), Marie-Arlette Carlotti, Nirj Deva, Concepció Ferrer (in sostituzione di Vitaliano Gemelli), Roger Helmer (in sostituzione di Hervé Novelli), Karin Junker, Bashir Khanbhai, Glenys Kinnock, Karsten Knolle, Wolfgang Kreissl-Dörfler, Paul A.A.J.G. Lannoye, Miguel Angel Martínez Martínez, Didier Rod, Francisca Sauquillo Pérez del Arco, Bob van den Bos, Anders Wijkman (in sostituzione di Domenico Mennitti) e Jürgen Zimmerling.
BREVE GIUSTIFICAZIONE
Lo sviluppo è possibile solo laddove le persone vivono in condizioni di sicurezza. Quando conflitti violenti, crisi e guerre frustrano tutti gli sforzi tesi allo sviluppo economico e sociale, la cooperazione allo sviluppo deve compiere, anche nel proprio interesse, tutti gli sforzi possibili per prevenire le crisi e contribuire a una soluzione pacifica delle controversie. È più sensato prevenire le crisi e le guerre che porre rimedio alle emergenze e riparare i danni che ne conseguirebbero.
Dall'inizio degli anni novanta, non solo il numero di conflitti è aumentato, ma questi conflitti hanno anche tendenza ad acutizzarsi, a fare più vittime e a causare maggiori distruzioni. Emergono contrasti caratterizzati da profonde radici storiche e interessi contrapposti.
Nella seconda metà degli anni novanta gli artefici della politica di sviluppo hanno pertanto cercato di valutare quale contributo la cooperazione allo sviluppo può apportare alla prevenzione delle crisi e alla risoluzione dei conflitti. Al termine di un ampio dibattito accademico, nella primavera del 2001 la presidenza svedese ha ufficialmente posto la prevenzione dei conflitti al centro della discussione e, alla luce dei problemi esistenti nell'Africa centrale, la presidenza belga intende ora trasformare l'obiettivo programmatico in un programma di azione concreto.
La comunicazione della Commissione rappresenta, in questo contesto, un punto di partenza utile, a condizione di sviluppare in modo più concreto le possibilità di cooperazione tecnica come contributo al mantenimento della pace. Gli strumenti utilizzati dalla politica di sviluppo non possono evitare con certezza la guerra, ma sarebbe opportuno non sottovalutare il potenziale di certe misure specifiche della politica di sviluppo per porre rimedio alle cause che impediscono la pace.
L'articolo 11 dell'accordo di Cotonou si pone nella stessa prospettiva. Per la prima volta la prevenzione delle crisi figura nel testo di un accordo.
Nella sua comunicazione la Commissione illustra il modo in cui l'Unione può promuovere la stabilità nei paesi in via di sviluppo, includendo la prevenzione dei conflitti, mediante una politica di sviluppo coerente, nei programmi relativi alla politica di sviluppo e, in particolare, nei documenti di strategia nazionale. La Commissione dimostra che il sostegno alla democrazia, allo Stato di diritto e alla società civile costituisce un elemento essenziale per la prevenzione dei conflitti. Il dialogo politico con i paesi in via di sviluppo e il miglioramento della cooperazione con gli altri paesi donatori e con le organizzazioni internazionali devono costituire, secondo la Commissione, il presupposto alla preparazione durevole ed efficace di una serie di misure preventive. Per quanto concerne le politiche settoriali, la Commissione intende tenere in maggiore considerazione le misure di prevenzione adottate in materia di lotta contro la droga, abolizione delle armi leggere, equo sfruttamento delle risorse naturali, migrazioni delle popolazioni e politica sanitaria. L'idea di introdurre le misure di prevenzione dei conflitti in tutte le politiche, vale a dire di procedere a un mainstreaming invece di istituire un nuovo settore per la "prevenzione delle crisi", comporta però il pericolo di non condurre ad alcuna azione che possa essere valutata. Inserendo in tutti i progetti una piccola dose di politica ambientale, di politica delle pari opportunità tra uomini e donne o di prevenzione delle crisi non si ottiene alcun miglioramento degli obiettivi specifici della politica di sviluppo. Tale approccio è quindi solo in parte condivisibile.
La comunicazione della Commissione contiene un elenco dettagliato di raccomandazioni per l'applicazione del mainstreaming nelle politiche in questione. E' opportuno accogliere favorevolmente queste raccomandazioni, sebbene in alcuni ambiti siano troppo vaghe e manchino proposte di applicazione concreta. La commissione per lo sviluppo e la cooperazione propone pertanto di porre maggiormente l'accento sui seguenti settori al fine di giungere rapidamente a programmi d'azione applicabili.
Si tratta essenzialmente dei seguenti settori:
- ricerca sulle cause dei conflitti e sulla pace
- sostegno alla democrazia e allo Stato di diritto
- riforma del settore della sicurezza
- gestione dei conflitti e della fase post-bellica
- mainstreaming delle questioni di genere
- ulteriore approfondimento della problematica delle armi leggere a livello internazionale
- CIMIC e cooperazione con programmi di aiuto umanitario.
CONCLUSIONI
La commissione per lo sviluppo e la cooperazione invita la commissione per gli affari esteri, i diritti dell'uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa, competente per il merito, a includere nella proposta di risoluzione che approverà i seguenti elementi:
- si congratula con la Commissione per l'iniziativa di inserire la prevenzione dei conflitti nei documenti di strategia nazionale e per l'elaborazione, in questo quadro, di un manuale di prevenzione dei conflitti entro la fine del 2001;
- ritiene necessario, alla luce degli attentati perpetrati negli Stati Uniti, analizzare in modo più approfondito di quanto sia stato fatto finora, conformemente alle sue risoluzioni, le cause e le connessioni del terrorismo internazionale, rafforzare le necessarie disposizioni di sicurezza e combattere fattori che potrebbero essere causa di conflitti quali l'ingiustizia sociale, la repressione e la limitazione violenta di diritti sovrani;
ritiene che il dialogo politico nel quadro delle strategie nazionali per paese costituisca un elemento chiave della prevenzione dei conflitti in quanto consente una conoscenza delle cause soggiacenti agli stessi che risulta imprescindibile al momento di mettere a punto e avviare strategie di prevenzione dei conflitti; chiede pertanto alla Commissione di porre particolare enfasi sull'analisi di quei fattori che costituiscono, o possono costituire, motivo di tensione o conflitto, quali la mancanza di strutture democratiche, la lotta per il controllo delle risorse naturali o la povertà;
- sottolinea l'importanza che rivestono, in quanto strumenti di prevenzione dei conflitti, gli aiuti di emergenza, la riabilitazione e la cooperazione allo sviluppo e appoggia il proposito della Commissione di fornire, già nell'ambito dei documenti di strategia nazionale, un'analisi dei potenziali conflitti; esprime ciò nondimeno preoccupazione per la tendenza consistente nel trasferire i fondi per le azioni esterne dai paesi in via di sviluppo alle regioni più vicine all'UE, anche in considerazione del fatto che la maggior parte dei conflitti nel mondo ha luogo precisamente nei paesi in via di sviluppo, e più in particolare nei paesi meno sviluppati; sostiene pertanto un approccio equilibrato in virtù del quale gli aiuti a una determinata regione non vadano a scapito di un'altra regione;
- nel tentativo di rafforzare le misure giuridiche internazionali volte alla prevenzione e alla composizione dei conflitti invece di privilegiare l'escalation militare, invita il Consiglio e la Commissione a lanciare una campagna internazionale per l'immediata ratifica da parte di tutti i paesi dello statuto di Roma che istituisce il Tribunale penale internazionale;
- alla luce dei recenti avvenimenti, invita il Consiglio a presentare urgentemente una posizione comune e un'azione comune in vista di una sostanziale riforma degli organi delle Nazioni Unite;
- sottolinea l'importanza che occorre accordare all'integrazione degli obiettivi politici e di prevenzione dei conflitti nelle strategie di sostegno ai paesi; ritiene necessario garantire che la loro progettazione e attuazione rientrino in un processo onnicomprensivo che tenga attivamente conto dei pareri di un'ampia serie di ONG nazionali e locali e della società civile, composta di organizzazioni e associazioni, istituzioni religiose e mezzi di comunicazione di massa, nonché degli interessi economici;
- chiede con insistenza la definizione di meccanismi per consentire una consultazione regolare e uno scambio con gli attori statali e non statali e ampliare il processo di consultazione nazionale garantendo che alcune di tali consultazioni si svolgano al di fuori delle capitali nazionali e coinvolgano una vasta gamma di organizzazioni comunitarie;
- sottolinea la necessità di promuovere la democrazia e i principi dello Stato di diritto nonché la riconciliazione e l'integrazione e giudica a tal fine essenziale una cooperazione con le associazioni di cooperazione locali, le ONG (internazionali) e le organizzazioni di donne; chiede alla Commissione di sviluppare meccanismi concreti per assicurare la partecipazione della società civile ai progetti e ai programmi;
- ritiene necessario che gli aiuti alla cooperazione allo sviluppo siano destinati soprattutto alle zone in cui si registrano le situazioni di maggiore povertà, al fine di promuovere uno sviluppo socioeconomico equilibrato di cui beneficino anche i ceti più poveri della popolazione, indipendentemente dalla loro etnia;
- invita la Commissione e il Consiglio a orientare i negoziati commerciali internazionali in un senso che preservi il diritto effettivo degli Stati di regolare le attività delle imprese transnazionali nei propri territori e rilanciare in seno alle Nazioni Unite le iniziative necessarie per obbligare tali imprese a rispettare i diritti dell'uomo;
- chiede con insistenza alla Commissione di collaborare con gli Stati membri dell'UE al fine di aiutare i paesi in via di sviluppo a formare e ristrutturare le loro forze di sicurezza, in modo da garantire il rispetto dei diritti dell'uomo, dello Stato di diritto, dei principi di buon governo e degli standard democratici e che le conoscenze e le analisi siano condivise, al fine di porre termine al traffico di armi e stupefacenti, alla corruzione, al contrabbando di diamanti, ecc., che hanno un notevole peso nel determinare una crisi, nell'aggravarla o nel prolungarne la durata;
- invita la Commissione a studiare diversi modi di distinguere tra la prevenzione dei conflitti e la gestione della fase conflittuale e di quella post-bellica, dato che, di fatto, la distinzione è difficile da fare; ritiene indispensabile favorire progetti concreti in materia di smobilitazione e reinserimento sociale dei soldati regolari, dei ribelli e, in particolare, dei bambini soldato, progetti che, favorendo il superamento del lutto e la riconciliazione, sarebbero in grado di consentire un processo di stabilizzazione duraturo; ritiene, in tal senso, di particolare importanza realizzare, nelle zone che escono da una situazione di conflitto, azioni non strutturali e altre azioni dinamiche - come i programmi di educazione per la pace - che consentano di cambiare l'atteggiamento mentale e psicologico delle popolazioni vittime di un conflitto armato;
- insiste sulla necessità di fare delle società civili una leva di pacificazione associando l'insieme del settore privato (ONG, imprese private, sindacati, mezzi di comunicazione di massa, chiese, associazioni femminili o giovanili) mediante un'autentica "pedagogia della pace"; sottolinea a tal fine l'importanza dei movimenti femminili per la pacificazione delle regioni in conflitto e invita pertanto la Commissione ad associare risolutamente le donne alla propria strategia di pace, in particolare per l'istituzione di zone di pace ("peace constituencies"), i colloqui di pace e il disarmo dei guerriglieri. Sarebbe opportuno sostenere l'utilizzo mirato del potenziale costituito dalle donne sia nella prevenzione delle crisi che nella risoluzione dei conflitti aperti e nelle situazioni post-belliche con l'elaborazione di progetti adeguati, dato che le donne hanno in varie occasioni dimostrato che non intendono più essere vittime passive, ma sono in grado di intervenire attivamente e positivamente in un conflitto, il tutto senza dimenticare l'attenzione prioritaria di cui necessitano, dato che costituiscono uno dei gruppi più fragili, che subisce le conseguenze del sottosviluppo;
- invita la Commissione a promuovere il ruolo della donna in quanto elemento essenziale delle società dei paesi meno sviluppati mediante politiche efficaci che tutelino i diritti della donna, la sua istruzione in tutti gli ambiti e la sua salute;
- ricorda l'importanza della distruzione sistematica delle scorte di armi di un conflitto per interrompere il ciclo di violenza che fa sì che le armi di un conflitto che finisce vengano riciclate per alimentare altri focolai di conflitti;
- ribadisce la convinzione che siano necessari maggiori sforzi per stabilire disposizioni comunitarie per quanto concerne il controllo UE del commercio legale di armi di piccolo calibro e armi leggere, nonché controlli UE efficaci intesi a combattere e sradicare il commercio e il contrabbando di tali armi, in modo che il flusso di armi e attrezzature (illegali) dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo venga ridotto e il disarmo, attuato nei paesi in via di sviluppo possa, per analogia ad esempio con il programma "cibo in cambio di armi" nel Mozambico, condurre a un sensibile miglioramento della sicurezza pubblica nei paesi interessati; chiede un sostegno per la gestione delle scorte e i programmi per la distruzione delle eccedenze;
- si compiace dei progressi compiuti verso il rafforzamento delle politiche degli Stati membri in materia di controllo degli armamenti conformemente al codice di condotta adottato dell'Unione europea nel 1998 e invita la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri a intervenire con tutto il loro peso per l'adozione di un codice di condotta internazionale in materia di transazioni di armi sotto l'egida delle Nazioni Unite; insiste affinché tale dossier venga sistematicamente iscritto all'ordine del giorno del dossier transatlantico;
- chiede alla Commissione, al Consiglio e agli Stati membri di prendere una parte più attiva nella lotta contro le mine antiuomo, impegnandosi risolutamente a favore dell'universalizzazione della Convenzione di Ottawa del 1997 (oggi firmata da 141 Stati e ratificata da 119) per bandire l'utilizzazione, la produzione, lo stoccaggio e il trasferimento di mine terrestri antiuomo;
- raccomanda alla Commissione non solo di collaborare a livello globale con altre organizzazioni internazionali, in particolare con gli organi specializzati delle Nazioni Unite, le istituzioni di Bretton Woods, compresi la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, e le agenzie di sviluppo degli Stati membri dell'Unione europea, ma anche, come primo donatore mondiale, di assumere la posizione guida che le spetta (con l'OCHA e l'UNHCR) al fine di sviluppare modelli di cooperazione concreta in loco, in particolare congiuntamente alla collaborazione civile e militare (CIMIC) e in cooperazione con le organizzazioni di aiuto umanitario, per evitare frizioni e conflitti di competenze e promuovere sinergie;
- invita la Commissione a tenere maggiormente conto dell'esperienza delle organizzazioni civili internazionali e locali nella definizione e realizzazione dei suoi programmi di mantenimento della pace e di ricostruzione;
- richiama l'attenzione sulle situazioni conflittuali collegate allo sfruttamento delle risorse naturali quali il petrolio, le foreste, ecc. e si compiace dell'attenzione accordata dalla Commissione alle risorse idriche, ma sottolinea la necessità di fornire sostegno a programmi locali, regionali e nazionali per prevenire conflitti sulle risorse e invita a compiere maggiori sforzi per garantire uno sviluppo sostenibile e a prestare la doverosa attenzione alle riforme agrarie;
- constata con preoccupazione che le guerre civili in Africa sono finanziate dalla vendita di diamanti provenienti dai paesi in guerra e chiede alla Commissione e agli Stati membri di sviluppare strumenti adeguati a livello internazionale, europeo e nazionale che rendano possibile la certificazione, l'identificazione e il controllo indipendente dell'importazione di diamanti; manifesta parimenti la sua inquietudine per le constatazioni effettuate in recenti relazioni delle Nazioni Unite per quanto riguarda l'uso di risorse naturali quali petrolio, coltan e legni duri tropicali per finanziare i conflitti in Africa;
- esorta la Commissione a pubblicare regolarmente un elenco "positivo" dei casi in cui la prevenzione dei conflitti ha avuto successo;
- chiede alla Commissione di promuovere un codice di condotta internazionale per le imprese e i gruppi finanziari transnazionali che esercitano la loro attività in Europa nonché in territori che sono teatro di conflitti, codice che riguarderebbe la relazione tra le attività di tali imprese nelle zone in questione e il sostegno diretto o indiretto ai conflitti;
- constata che in vari casi i programmi di istituzioni finanziarie internazionali quali l'FMI e la Banca mondiale hanno avuto un effetto destabilizzante nei paesi in via di sviluppo e chiede alla Commissione e agli Stati membri di fare in modo che la prevenzione dei conflitti diventi parte integrante dell'analisi e della pianificazione di tali istituzioni.