Euromediterranea Euromediterranea 2009: equal rights Iran relatrici relatori

2003: peace/guerra Frieden 2004: Europa 25-es.Polonia 2005: Langer/Srebrenica 2006: Anak Indonesia 2007: Aids - Sudafrica 2008: Ayuub - Somalia 2009: equal rights Iran
info stampa relatrici relatori
link
2010: memoria attiva 2011 haiti alive 2012 - Arabellion - Tunisia 2013 - L'arte del prendersi cura 2014 - Borderlands 2015 - Da Langer a Srebrenica 2016 Euromediterranea 2017 - Andare oltre 2018 - Una terra in dialogo 2019 - Pro Europa 2022 - Legami Beziehungen 2023: Olga Karatch
2005 10 anni con Alex (15) 2005 Brindisi per Alex (7) 2005 euromed - Sarajevo (6) 2005 Ricordi (5) 2006 Children of Memory (13) 2006 euromed-Ibu award (14) 2012 Arabellion! Donne in cammino (0) euromed 2005 - Brenner/o (11) euromed 2005 - Convivenza (12) euromed 2005 - ecologia (12) euromed 2005 - Hallo Ibrahim (2) euromed 2005 - Landtag (5) euromed 2005 - musica (19) euromed 2005 - srebrenica (17) euromed 2005 - srebrenica 2 (18) euromed 2005 - srebrenica 3 (17) euromed 2005 - srebrenica 4 (14) euromed 2005 - summerschool (18) euromed 2005 - summerschool 2 (19) euromed 2005 - summerschool 3 (6) euromed 2009 - Iran (58) euromed 2013-donatori musica (46) Euromed 2015-alex/Bosnia (40) euromediterranea 2011 - Haiti alive (14) EUROMEDITERRANEA 2014 BORDERLANDS (2) EUROMEDITERRANEA 2016 (21) Euromediterranea 2022 - Legami Beziehungen (2)

Giuliana Sgrena: Il prezzo del velo

10.6.2009, Feltrinelli ed

Giuliana Sgrena per capire cosa c’è dietro il velo si cimenta in un reportage a tutto campo. Intervistando donne che hanno posizioni importanti nella società marocchina e algerina. Ma anche esplorando la Tunisia, la Serbia, l’Iraq, l’Arabia saudita, la Francia, l’Iran e la Bosnia-Erzegovina con una vera e propria inchiesta sul terreno per cercare i punti in comune ma anche le tante differenze che esistono tra le diverse realtà.

Il libro
Il velo rappresenta, e non solo simbolicamente, l’oppressione della donna nel mondo islamico. Dietro la sua imposizione non si nasconde solamente il tentativo forzato di reislamizzazione condotto dalle forze islamiche più tradizionaliste. E’ in atto una vera e propria guerra contro le donne, contro il loro corpo, visto come terreno di battaglia su cui affermare principi e consuetudini che in molti casi risalgono addirittura a ben prima della tradizione islamica, ma che si incrociano perfettamente con un “nuovo” ritorno all’ordine maschile e reazionario. Più dei carri armati americani, sono le donne, e le loro organizzazioni, come dimostra l’esperienza algerina, a poter fermare l’imponente ondata illiberale che sta per prendere il sopravvento nei paesi islamici. Si gioca qui la vera sfida democratica dell’altra sponda del Mediterraneo.

Il machismo delle banlieue (pag.56 da www.tecalibri.it)

Il tabù della verginità insegue le donne anche nei paesi di emigrazione. E viene tramandato anche alle nuove generazioni nate in Europa. Dopo le lotte femministe degli anni ottanta le immigrate delle banlieue francesi avevano conquistato maggiore libertà, ma gli anni novanta hanno segnato un penoso ritorno al passato. Fino ad allora gli immigrati, la maggior parte di origine algerina, avevano sperato di trovare un proprio ruolo all'interno della società francese: i genitori cercavano di garantire ai figli un'istruzione perché potessero avere un futuro migliore e le speranze venivano condivise da tutta la comunità. Ma alla fine degli anni ottanta la crisi del mondo del lavoro e la conseguente disoccupazione hanno provocato un forte degrado dei quartieri, mentre il venir meno di valori di riferimento di sinistra e progressisti ha generato un sensibile arretramento culturale. È in questa situazione che l'islamismo radicale - proprio mentre si stava imponendo il Fronte islamico di salvezza (Fis) in Algeria - ha costituito per i giovani delle periferie un'alternativa alla ghettizzazione e al senso di ingiustizia. I Fratelli musulmani, improvvisando moschee in locali comuni - cantine, garage ecc. - hanno cominciato a fare proseliti e a diffondere la loro interpretazione fondamentalista e machista del Corano, incentrata sull'intolleranza. All'inizio le famiglie degli immigrati, che temevano una deriva delinquenziale dei figli, hanno incoraggiato la loro frequentazione delle moschee. Anche le autorità, per tenere sotto controllo le banlieue, hanno dato a questi nuovi imam il ruolo di interlocutori, dando loro quindi maggiore autorità.

"L'islam era diventato una nuova morale regolatrice che evitava a questi giovani disoccupati di cadere nella delinquenza. [...] I poteri locali, gli eletti delle amministrazioni territoriali e soprattutto i sindaci, di qualunque tendenza politica, li hanno riconosciuti come interlocutori privilegiati. Per i militanti della mia generazione che rifiutavano il fatto che un 'religioso' si occupasse di questioni politiche è stato terribile," spiega Fadela Amara, militante femminista, nel suo libro Ni putes, ni soumises.

Quando si è cominciato a manifestare l'effetto nefasto di queste pratiche integraliste ormai era troppo tardi. Le prime a pagarne le spese sono state le famiglie stesse: i genitori, a Parigi come ad Algeri, venivano messi a tacere con l'accusa di essere ignoranti, di non conoscere l'islam, il "nuovo islam" nella versione wahabita. In nome della reislamizzazione i giovani imponevano nuove regole di comportamento soprattutto alle donne, prima a quelle della famiglia e poi a quelle della comunità e del quartiere. Chi non si adattava alla nuova situazione veniva accusata di essere "miscredente" oppure una "poco di buono".

Le banlieue la sera sono deserte, a parte qualche giovane che controlla la situazione. Ero stata a La Courneuve, uno dei quartieri più caldi della periferia parigina, nel dicembre 2005, nei giorni in cui si celebrava il centenario della Dichiarazione sulla laicità. Al dibattito organizzato da Mimouna Hadjam, famosa animatrice del centro culturale Africa, uno dei più impegnati nelle questioni degli immigrati, non c'era nessuna donna del quartiere. Avevano paura. "La maggioranza delle donne, che non lotta, non ha mai provato il potere della libertà, non crede a una liberazione. Crede che a guidare il mondo sia un oscuro destino. Allora si rifugia in un contro-universo: la fede, la religione e la maternità," scriveva nel 2001 la Hadjam. La situazione non sembra cambiata. Anzi.

"La crescita della violenza, la decomposizione sociale, la ghettizzazione, il rifugio nella comunità, la discriminazione etnica e sessista, il ritorno in forza delle tradizioni, il peso del mito della verginità..." sono ben descritti nel Livre blanc des femmes des quartiers della sociologa Hélène Orain. Su queste tematiche si concentra anche il lavoro di "Ni putes, ni soumises", che da slogan si è trasformato in manifesto e poi in petizione e libro nel 2002.

La sessualità nelle banlieue è sempre stata un tabù, ma ora l'imperativo della verginità pesa sulle ragazze più di vent'anni fa: sanno che se la perdono la pagheranno cara. Peraltro, con il controllo esercitato dai maschi sul quartiere tutto quello che succede viene reso noto immediatamente. Quindi tutti i rapporti devono avvenire in un modo assolutamente clandestino, meglio se fuori dal quartiere, da dove spesso le ragazze escono con il velo per non essere importunate, ma lo tolgono non appena valicano i limiti territoriali. A volte non basta nemmeno l'hijab per evitare la violenza e gli stupri di gruppo, che però non sono certo una prerogativa delle sole banlieue e neppure degli immigrati. Per proteggersi, le ragazze si sono costituite a loro volta in bande, come i ragazzi. I maschi considerano i sentimenti come segni di debolezza, considerano le ragazze alla stregua di oggetti e per dimostrare la propria superiorità arrivano anche a cedere la fidanzata agli altri del gruppo. Le ragazze sperano nel matrimonio come via d'uscita, e per questo si sposano molto giovani. Il padre, per evitare sorprese, fa redigere un certificato di verginità. "E nelle banlieue," è ancora Fadela Amara a raccontare nel suo libro, "ci sono medici specializzati nella redazione di certificati di verginità. [...] Molti lo fanno perché sanno che solo certificati falsi possono salvare le ragazze da rappresaglie terribili."

Come salvare allora la verginità nonostante la pressione dei ragazzi che insistono per avere rapporti sessuali? Facendosi sodomizzare; non provando alcun piacere. Ma alla fine questa costrizione diventa insopportabile!

"Lo scarto che c'è tra la mia generazione e la loro mi sembra vertiginoso. Noi ci siamo battute per avere il diritto di vivere la nostra sessualità. Anche se la materia era tabù, i rapporti che avevamo con i nostri compagni erano tacitamente accettati nelle famiglie," conclude Fadela Amara.



 

pro dialog