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Eva Pattis: Langer, un eroe moderno

19.7.1995, da "Alto Adige", 19.7.95
"La mia vita si è fatta molto difficile negli ultimi mesi, sono - o mi sento - impegnato da tante parti e ciò ha portato con sé crisi e angoscie...Queste e altre circostanze interne ed esterne mi spingono in questo momento a stringere i denti, e per quanto possibile a portare a compimento quanto ho già iniziato senza caricarmi di nuovi pesi".

(Originale: "Mein Leben ist in den letzten Monaten sehr schwierig geworden; an zu vielen Ecken und enden bin ich bzw. fühle ich mich engagiert und das hat Beklemmung und Krisen ausgelöst...Dies alles und noch viele innere und äußere Umstände bewegen mich derzeit so gut als möglich die Zähne zusammenzubeiaen und schon übernommenes - wo irgendmöglich - zu Ende zu führen und aber keine neuen Bürden aufzunehmen".)

Questo fax di Alexander Langer del 21.10.1993 non mi ha preoccupato. Non mi veniva in mente che avrebbe potuto aver bisogno di qualcosa. Non gli ho risposto; e un anno e mezzo dopo, gli ho mandato a mia volta un fax, in cui gli chiedevo un favore, senza riferirmi alle sue frasi di allora.

Quanto più i "perché" e i "se" si presentano ossessivamente, tanto più sono inutili. Sono resistenze al comprendere, al "prendere con sé", portare nella mente Alex nei suoi ultimi giorni: quel'Alex che è andato in un negozio e - forse per la prima volta nella sua vita - ha acquistato qualcosa che doveva servire a se stesso. tutto quello che aveva posseduto fino a quel momento, il suo tempo, la sua forza, il suo intelletto, la sua pazienza, era per gli altri. Era lì, disponibile e apparentemente inesauribile.

Ora ha chiesto per se stesso di lasciarlo andare senza rancori. Nessuno di noi gli avrebbe mai concesso volontariamente: ci sembra una cosa crudele, violenta, inaccettabile. diciamo, piangendo, che non gli appartiene. E non riconosciamo che è sempre lui che è andato via in solitudine, ha scritto i biglietti con la devozione che invece conosciamo. Vogliamo dirgli no, urlargli di non farlo: non sei tu, non puoi essere tu, sei distorto dalla depressione, non ti appartiene! E invece lui questa volta non ascolta, lascia la macchina e va con la sua corda in mano alle tre del pomeriggio sotto il sole di luglio.

Non sappiamo chi è più solo: lui in quel giorno o noi adesso.

Gli eroi antichi sapevano quando dovevano morire. Ettore lo sapeva e non tornò indietro né per la moglie né per il figlio, pur sapendo a che destino crudele li abbandonava. Gli eroi muoiono giovani e di morte violenta. Tuttavia non tutti quelli che muoiono giovani e di morte violenta sono eroi. Noi uomini moderni abbiamo un bisogno tremendo di eroi, e il compito di un eroe moderno è forse inumanamente difficile.

Ho conosciuto Alexander 25 anni fa. Già allora si sentiva personalmente responsabile per le sofferenze e i mali di cui veniva a conoscenza. Non aveva scelto di essere così, ma sembrava avere una sensibilità etica al limite dell'umano. Ne soffriva continuamente. Forse avrebbe voluto andare anche lui in vacanza, ma non era possibile. In qualsiasi posto del mondo, fin dal primo giorno di vacanza avrebbe visto qualcuno che era trattato ingiustamente e avrebbe iniziato a opporsi. Prima o poi evocava sensi di colpa in tutti. Nessuno riusciva a seguirlo a lungo. I bisogni più semplici - sonno, fame, voglia di famiglia - divenivano alla fine più forti per tutti. Per lui no.

Ricordo Alexander Langer come insegnante al liceo classico. Aveva solo sei anni più di noi. La prima lezione di storia: non cominciò dalla preistoria, come era sempre stato fatto. Iniziò spiegando che la storia oggettiva è impossibile, due persone raccontano quello che hanno visto e i due racconti sono già diversi. Quanto alla disciplina, Alexander teneva la sua lezione di storia o filosofia: chi voleva ascoltava e partecipava, chi preferiva copiare i compiti, chiacchierare, scrivere biglietti, era libero di farlo. Non veniva rimproverato né trattato con distacco. Potevamo scegliere. Quello che, come me, si occupava spesso di altro, finiva col farlo con molta discrezione. La classe non era chiassosa nelle sue ore. Ricordo che ci divertivamo a pensare come avrebbe dovuto cambiare pettinatura e abbigliamento per essere più attraente per noi ragazze. (Avrebbe dovuto portare almeno dei jeans già prelavati e "consumati" come era di moda allora, non quelli rigidi e nuovi). Era come se non avesse un corpo, i suoi istinti non erano fisici, ma mentali. Rispondeva ai nostri sguardi di ragazze col primo rimmel con idee e ideali, cosa che ci sconcertava. Avevamo tutti, ragazzi e ragazze, un rispetto profondo per lui. Ci sentivamo in colpa sentendo che ci mancava un senso etico evoluto come il suo. Ma non avevamo paura di essere giudicati da lui, non c'era il rischio di non sentirsi presi sul serio. Non sapeva comunicare entusiasmo immediato come il professore dell' "Attimo fuggente", al contrario mancava forse di eros nelle sue esposizioni, anche se impressionava tutti con la sua preparazione. Ma lentamente faceva fermentare qualcosa di profondo: un bisogno di capire che cosa era vero. In quegli anni Alexander Langer fu oggetto di due denunce da parte del preside e del corpo insegnante. Da molti dei nostri genitori - famiglie della media e alta borghesia di lingua tedesca - veniva considerato un demagogo pericoloso, una specie di agitatore politico. Quando due alunni della nostra classe non vennero ammessi all'esame di maturità nonostante i buoni risultati scolastici, ci impegnammo in uno sciopero della fame. La cosa suscitò grande scandalo. Il consiglio di classe dovette riunirsi e rivedere la propria posizione. I due allievi furono ammessi. La responsabilità di tutto questo fu attribuita a Langer. Può darsi che ne avesse. Non come agitatore politico, perché non parlava mai di politica: tuttavia ci aveva dato fiducia e fatto crescere rivolgendosi a quella parte del nostro carattere che non era più infantile, ma che non sapevamo ancora di avere.

È stato detto che viveva nello spirito cristiano: ma nel Cristianesimo Alexander aveva interiorizzato i doveri e non il conforto. Credeva in quello che era il suo compito. Ma come uomo moderno - dopo Nietzsche - non poteva più credere in quello che avrebbe dovuto essere il compito di Dio. È stato detto che - almeno nel suo sentire - portava il mondo sulle spalle. come Atlante, come Cristoforo: ma non cercava di liberarsi dal peso con astuzia come Atlante e non sentiva la voce di Gesù bambino come Cristoforo, quando stava sprofondando. Era un uomo religioso senza Dio e senza chiesa. In questo mi sembrava un eroe moderno, ma anche in altro.

Pensiamo alla storia locale: potrebbe essere per essa un nuovo eroe, più moderno di quello ormai un po' arrugginito di Mantova? (Andreas Hofer n.d.r.). Un eroe moderno potrebbe non essere razionale, non appartenere a una sola etnia, potrebbe rinascere nel corso della sua vita in diverse forme. Pensiamo al ritmo della sua vita. La velocità, la fretta, la frenesia in cui essa si è consumata sono decisamente moderne. Non c'era tempo, tutto veniva troppo tardi: lui che aveva visto e predetto cosa sarebbe accaduto in Bosnia con un anno di anticipo non poteva perdere tempo.

E se doveva lasciarci un modello eroico di cui abbiamo un bisogno disperato, lo ha lasciato con la massima intensità e accelerando i tempi: se avesse potuto continuare sarebbe stato ostacolato e combattuto ancora per decenni: solo col tempo, forse solo dai nostri figli, il suo valore sarebbe stato riconosciuto. Invece con la sua morte ha anticipato quello che aveva da dare, lo ha dato tutto e subito. E forse c'è una ragione anche in questo: se oggi servono ancora degli esempi, servono davvero qui e subito.

Per inerzia mentale siamo abituati a vedere gli avenimenti in successione temporale: prima la vita, poi la morte. E se invece guardassimo la morte come qualcosa già presente fin dall'inizio ("daß man den Tod in sich hatte, wie die Frucht den Kern." come dice Rilke)? Se Alexander avesse vissuto la vita con la frenesia, l'angoscia e l'esasperazione etica di uno che è atteso da una morte inevitabile e precoce, non una qualsiasi, ma la sua morte di eroe moderno? Un eroe, il quale non ha neanche il conforto di sapere che la sua morte è decisa da un Dio, ma deve compiere anche questo gesto da solo: scegliere faticosamente il giorno, il luogo e trascinarsi con le poche forze rimaste a procurarsi anche lo strumento.
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