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Sabina Langer, Nazario Zambaldi: a proposito dell'articolo "I verdi e la sinistra (1985) di Alexander Langer

2.7.2020, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Nell’articolo I verdi e la sinistra (1985) Alexander Langer analizza con lucidità il rapporto tra “verdi” e “rossi”, tra centro e periferie, tra intellettuali e “ruspanti”, interpretando categorie, partiti, politica come strumenti di una mediazione instancabile di un pensiero in azione. Il discorso di fondo dell’articolo sviluppa concetti presenti l’anno successivo nell’introduzione a La politica dei Verdi (F. Capra e C. Spertnak La politica dei Verdi. Culture e movimenti per cambiare il futuro dell’Europa e dell’America, Feltrinelli Milano 1986), una copia dell’edizione americana Green Politics. The Global Promise (E. P. Dutton, Inc., New York, 1984) con gli appunti di Langer è conservata presso la Fondazione Alexander Langer Stiftung a Bolzano.

L’attualità di questo discorso – tra realismo o fondamentalismo, sinistra o destra, conservatorismo o progressismo – mette in questione un’utopia rinchiusa nell’astrattezza intellettuale o ideologica e suggerisce invece un’apertura alle pratiche, all’esperienza. La polarizzazione che Langer intende superare rivela, oggi più che mai, il fraintendimento di culture, parole, categorie, concetti che traducono sinistra, destra, progresso, crescita, sostenibilità…

Individuando la matrice intellettuale e la base sociale del discorso ecologista nelle élite metropolitane, private dal rapporto diretto con la natura, Langer sottolinea come i Verdi possano scegliere “di caratterizzarsi come catalizzatori di una profonda riforma della politica, in nome della vivibilità del presente e del riguardo per le generazioni future o di ricadere nell’ambito dei movimenti effimeri che fanno una loro stagione e irradiano un qualche messaggio, ma poi non riescono a mettere radici durature nel tempo” (dalla citata introduzione del 1986). Proprio per poter cambiare paradigma – cambiare la politica anziché di politica – Langer guarda all’esperienza di quelle comunità che resistono allo sviluppo industriale e allo sfruttamento turistico per trovare valori, pratiche e relazioni da “conservare”.

Il suo pensiero sul rapporto con l’ambiente e tra le persone – oggi emergente nell’importanza della tutela dei “beni comuni” – sarà sistematizzato in La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile (1994). Qui come in altri scritti degli anni ’90, il motto olimpico citius, fortius, altius (più veloce, più forte, più alto) – che già negli anni ’80 Langer usava per caratterizzare la società capitalista – viene rovesciato in lentius, profundius, suavius (più lento, più profondo, più dolce) per attuare una conversione ecologica individuale e sociale e poter costruire un benessere reale basato sulla qualità anziché sulla quantità.

Già più di trent’anni fa, Langer affermava infatti che lo “sviluppo sostenibile” poteva sì sembrare la magica quadratura del cerchio, ma non era altro che la legittimazione di un nuovo ordine mondiale in cui i paesi del Sud dovevano imparare a usare le risorse con più parsimonia e razionalità, per permettere a quelli del Nord di mantenere il proprio stile di vita.

Per Langer invece, una crescita più umana, intesa come coscienza condivisa, sceglie modelli desiderabili, eco-logici o eco-nomici (etimologicamente normativi del rapporto esseri umani ambiente), intelligenti. Anziché il consenso basato sulla paura – della catastrofe apocalittica, del cambiamento climatico o della pandemia – propone un ethos dell’autolimitazione, della semplicità e, in definitiva, della vivibilità anche nel presente.

https://fondazionefeltrinelli.it/quale-ambientalismo-e-quale-compromesso-tra-sviluppo-e-natura/

 

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