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Martina Di Pirro: La lezione attualissima di Alexander Langer

3.7.2018, Il salto.net

Nonostante tutto «continuare in ciò che è giusto». La lezione attualissima di Alexander Langer ù.Amava definirsi un viaggiatore leggero, Alexander Langer. Uomo senza patria e con molte patrie, intellettuale che parlava cinque lingue e faceva della ricchezza linguistica e della necessità di dialogo tra culture le proprie armi dialettiche, anche per fermare le violenze nell’ex Jugoslavia. Scrittore, pacifista, ambientalista e insegnante, per tutta la vita non ha fatto altro che saltare muri, attraversare confini culturali, nazionali, etnici, religiosi. Un uomo che oggi farebbe da bussola a chi non ha voglia di arrendersi alla marea nefasta che ha invaso il nostro paese, tra retoriche di estrema destra e intolleranza diffusa. Se è nei momenti bui che bisognerebbe guardare la luce, la fermezza delle parole di Langer e il suo talento nel saper ascoltare l’altro da sé, sono il lume di cui oggi si sente più mancanza. Nato a Sterzing (Vipiteno) nel 1946, nonostante le tensioni tra la comunità linguistica italiana e quella tedesca in Alto Adige, fin da ragazzo si impegna a favore della convivenza inter-etnica nella sua terra, spendendosi per sgretolare le differenze tra italiani e tedeschi e aprendo, così, a una nuova dimensione delle relazioni umane, sociali e politiche. «Quando mi trovo di fronte a un conflitto di natura etnica, mi metto per prima cosa a vedere se esiste qualche gruppo che riesca a riunire al proprio interno persone dell’uno e dell’altro schieramento», afferma durante un intervento al Centro di studi e documentazione La Porta, a Bergamo. «L’esperienza di un gruppo interetnico, o se volete del gruppo pilota che accetta di sperimentare su di sé le possibilità e i limiti, i problemi della convivenza interetnica, per me rimane una cosa assolutamente determinante». Si espone ai temi cruciali del tempo: il cattolicesimo sociale, influenzato da Don Milani, conosciuto negli anni fiorentini, l’attivismo con Lotta Continua, la creazione del movimento politico della Federazione dei Verdi, con un nucleo anche tematico importato dal modello dei Grünen tedeschi, in grado di rinnovare in modo sensibile l’agenda politica della sinistra italiana degli anni Ottanta, di cui non fu leader per scelta, ma capogruppo al Parlamento europeo, luogo simbolo di una multiculturalità ancora tutta da costruire. Il rapido estendersi del conflitto in Jugoslavia, lo porta alla ricerca disperata di soluzioni a una guerra che appariva sempre più distruttiva. È tra i pochi politici italiani ed europei a impegnarsi, con tutto se stesso, per tentare una soluzione pacifica e tenere aperta la comunicazione tra chi si oppone al conflitto, dando vita, con altri, al Verona Forum per la pace e la riconciliazione nei territori dell’ex Jugoslavia. I suoi interrogativi radicali ci consegnano saggi bellissimi come il “Tentativo di decalogo per la convivenza interetnica” e “Conversione ecologica” in cui proponeva il motto Lentius, profundius, suavius (“più lentamente, più profondamente, più dolcemente”) in contrapposizione a quello olimpico del Citius, altius, fortius (“più veloce, più alto, più forte”), diventato il sunto perfetto del sempre più imperante metodo capitalista. «Nelle nostre società deve essere possibile una realtà aperta a più comunità, non esclusiva, nella quale si riconosceranno soprattutto i figli di immigrati, i figli di famiglie miste, le persone di formazione più pluralista e cosmopolita», scriveva nel 1994 nel Tentativo di decalogo per la convivenza interetnica. «La convivenza plurietnica, pluriculturale, plurireligiosa, plurilingue, plurinazionale appartiene e sempre più apparterrà, alla normalità, non all’eccezione. In simili società è molto importante che qualcuno si dedichi all’esplorazione e al superamento dei confini, attività che magari in situazioni di conflitto somiglierà al contrabbando, ma è decisiva per ammorbidire le rigidità, relativizzare le frontiere, favorire l’integrazione». Regionalismo, crisi della sinistra, della scuola e dell’impegno politico, problemi etici: tutti temi di discussione affrontati con l’idea di costruire ponti, con lo sforzo continuo di tradurre la teoria in pratica. Ma Alexander Langer è anche uno dei primi a parlare di conversione ecologica, anticipando temi che ancora oggi risultano urgenti. Avvertendo come cruciale anche il rapporto con gli operai e i sindacati, in difesa dei diritti dei lavoratori, sottolineando il tema di come la giustizia globale avesse immediatamente a che fare con l’ecologia e i modi di produzione, nel 1983 in Ecologia e movimento operaio, un conflitto inevitabile?, scriveva: «È tempo, dunque, che si infittiscano il dialogo e le iniziative esemplari tra ecologisti e operai (anche sindacalisti), ma anche tra ecologisti, operai e imprenditori, per esplorare concretamente, e non necessariamente solo in situazioni di conflitto, il terreno della comune lotta per la qualità ecologica, oltre che sociale e umana, del lavoro. Vorrà dire prendere per le corna il toro dell’alienazione, e lavorare per il disinquinamento non solo dell’ambiente, ma anche della vita di milioni di persone, dentro e fuori le fabbriche, gli uffici, i servizi, le campagne». «Ma esiste anche un’altra tradizione nel movimento operaio – scriveva ancora – quella che annovera la rivendicazione di fabbricare aratri invece che cannoni e di costruire case popolari invece che alloggi di lusso; quella che affermava che la nocività non si contratta e la salute non si vende; quella che si opponeva tout court alla logica del produttivismo (‘di cottimo si muore’, ‘no alla flessibilità e alla piena utilizzazione degli impianti’…). La tradizione di quei filoni della lotta dei lavoratori che pretendevano – giustamente – di pronunciarsi sulla qualità sociale del lavoro, sui suoi fini, sui limiti della vendibilità della forza-lavoro, oltre che sul suo prezzo. Utilizzando un’espressione oggi corrente nel dibattito sull’ecologia, si potrebbe dire che anche nel movimento operaio si ritrova il filone in cui prevale l’attenzione alla ‘quantità’ e quello, invece, più attento alla ‘qualità’: e se indubbiamente il sindacalismo si è avvicinato sempre di più alla mera contrattazione della quantità (di lavoro, di retribuzione, di tempo, di servizi e prestazioni sociali, eccetera), non va sottaciuta e rimossa tutta quell’altra faccia del movimento operaio e dello stesso sindacalismo che è intervenuta e continua ad intervenire sulla qualità (del lavoro e delle condizioni di lavoro, del prodotto, del tempo lavorativo o libero dal lavoro, della stessa retribuzione e delle prestazioni sociali connesse, eccetera)». Sembra l’anticipo del «continuare in ciò che è giusto», una linea che nel tempo si è persa, in questa Italia che apre le porte a nazionalismi, intolleranza, violenza. E chiude ogni sbocco ambientalista. Riconsiderare oggi il lavoro di Alexander Langer, per capire il suo percorso all’interno del cristianesimo del dissenso, nella nuova sinistra, nella galassia ecologista, nel pacifismo, e provare ad attuarne gli insegnamenti. I suoi scritti sono stati raccolti sul sito della Fondazione a lui intitolata. Il viaggiatore leggero (Sellerio) costituisce tuttora la raccolta più esaustiva di articoli e interventi. Quando, nel 1992, la leader verde tedesca Petra Kelly si tolse la vita Alexander Langer la ricorda con queste parole: «Forse è troppo arduo essere individualmente degli Hoffnungsträger, dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande l’amore di umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere». Tre anni dopo, il 3 luglio 1995, decideva di togliersi la vita a 49 anni, impiccandosi a un albero di albicocco di Pian dei Giullari, alle porte di Firenze: «I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più. Non rimane da parte mia alcuna amarezza nei confronti di coloro che hanno aggravato i miei problemi. Così me ne vado più disperato che mai, non siate tristi, continuate in ciò che era giusto».

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