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Davide Lerner: Isaraele, La strana storia di Uri Avnery (con riferimenti ad Alexander Langer)

12.3.2018, Prima comunicazione

"Servono traditori della compattezza etnica, che però non si devono mai trasformare in transfughi se vogliono mantenere le radici e restare credibili". La ricetta che l'intellettuale Alexander Langer aveva elaborato per i conflitti in Sud Tirolo e in Iugoslavia, quelli che gli stavano più di tutti a cuore, si applica anche all'ormai centenario conflitto Israelo-palestinese. E uno dei suoi interpreti più riusciti è Uri Avnery, il giornalista israeliano che si spinse fino a varcare frontiere militarizzate nella Beirut divisa dalla guerra civile per intervistare il leader dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina Yasser Arafat. "Ai tempi il guerrigliero palestinese era considerato quasi come un secondo Hitler in Israele, era il nemico numero uno", ricorda Avnery nel suo salotto di Tel Aviv, decorato con diverse foto dell'incontro con il Reis nel 1982. "Io volevo far capire agli Israeliani che Arafat era un essere umano, non un mostro, e che quindi ci si poteva fare la pace". Se in quell'occasione Avnery si spinse oltre i confini del tradimento tracciati da Alexander Langer, o se seppe interpretarli alla perfezione, è un quesito tornato d'attualità in Israele dopo la pubblicazione di un libro che rivela dettagli finora sconosciuti di quell’episodio. Secondo "Rise and kill first" (Alzati e uccidi per primo) di Ronen Berger, un giornalista del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, quel giorno il Ministro della Difesa israeliano Ariel Sharon diede ordine ai servizi segreti di seguire Uri Avnery e di eliminare Arafat anche a costo di sacrificare la vita del giornalista. In Israele vige una regola ferrea in ambito militare, cioè che quali che siano le difficoltà di un’operazione di recupero di un prigioniero di guerra e i rischi di nuove perdite umane, tentare di salvarlo rimane un imperativo categorico. Per Sharon, secondo il libro di Berger, Avnery era però divenuto un transfuga, e in quanto tale addirittura passibile di sacrificio per la causa nazionale. "Non mi stupisce che Sharon fosse arrivato ad ordinare un'operazione che poteva mettere a repentaglio la mia vita, era un uomo davvero capace di fare tutto", dice un ormai ultra-novantenne Avnery in un'intervista con "Prima" pochi giorni dopo la pubblicazione del libro di Ronen Berger. "Mi compiaccio che gli uomini del Fronte della Liberazione della Palestina avessero preso tutte le precauzioni necessarie per scongiurare pedinamenti o imboscate degli israeliani. D'altronde erano abituati a farlo: Beirut ovest a quei tempi era piena di spie dei cristiano maroniti, alleati degli israeliani". Avnery era riuscito ad ottenere l'incontro con Arafat soprattutto grazie a Imad Shakour, un arabo del villaggio di Sakhnin nell'alta Galilea che aveva curato la versione in arabo di Ha’Olam Hazeh, il giornale fondato da Avnery. Poi era sparito, e girava voce che fosse andato in Libano, dove era infatti divenuto responsabile degli "affari israeliani" per conto di Arafat. Avnery poté così organizzare l’intervista parlando in ebraico. La propose ad Arafat ponendosi più come "esponente politico" che come giornalista, spiega oggi, visto che era già stato parlamentare alla Knesset di Gerusalemme e rappresentava la frangia più pacifista della sinistra israeliana. "Fui il primo israeliano della storia ad avere un incontro con Arafat", racconta Avnery, "poi ovviamente si trattava anche di un grandissimo scoop giornalistico: il testo fu ripreso da The Times, Le Monde e molti altri ancora, in Italia credo dal Manifesto". A chi in Israele lo accusava di essere un “transfuga” poteva rispondere con un curriculum di decorato combattente non solo nella guerra d’indipendenza del 1948, ma anche nel movimento sionista "Irgun" ai tempi del mandato inglese. “Abbandonai il movimento sionista Irgun quando la linea cominciò a tramutarsi da anti-britannica ad anti-araba”, racconta Avnery, “me ne andai ben prima dell’arrivo del futuro Primo Ministro israeliano Menachem Begin, che proprio durante la guerra del Libano tentava invano di tenere sotto controllo Sharon”. Il pedigree militare di Avnery non bastò a temperare l'indignazione dell'opinione pubblica israeliana dopo l’intervista ad Arafat: basti pensare che la sua stessa madre, all'indomani dell'intervista, mise mano al testamento per diseredarlo. Quanto Arafat fosse demonizzato in Israele lo testimonia d’altronde il seguito dello stesso libro Ronen Berger. Sostiene che Sharon, oltre ad aver ordinato il pedinamento di Avnery per provare a scovarlo, sarebbe stato disposto a bombardare aerei di linea pieni di passeggeri sulla base di indiscrezioni secondo cui Arafat e i suoi uomini si trovavano a bordo. Avrebbe addirittura organizzato di far esplodere uno stadio a Beirut dove era previsto un raduno dell’OLP, salvo essere bloccato in extremis dal Primo Ministro Begin che da lì a poco sarebbe caduto in depressione anche a causa delle sue intemperanze. Il dubbio che alla fine Sharon ce l’abbia fatta, ad eliminare il suo nemico giurato, rimane dopo che i medici hanno cercato invano di spiegare la sua morte improvvisa nel 2004, quando Sharon era Primo Ministro. Il museo della Fondazione Arafat, nella sua Mukataa di Ramallah, dà per scontato che sia stato ucciso.

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Israele – La strana storia di Uri Avnery
Giornalista o spia? Direttore del settimanale israeliano Ha’OlamHaZeh’ che per primo intervistò il leader palestinese Yasser Arafat, Uri Avnery , oggi ultra novantenne, racconta a Davide Lerner come pago’ il prezzo di quello scoop, perseguitato dal governo israeliano di Sharom di cui svela le intenzioni segrete per far fuori Arafat…

 

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