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Anna Puleo - Vivere più lentamente, profondamente e dolcemnete. Ricordando Alexander Langer

3.7.2015, sito di anna puleo

Situazioni di compresenza di comunità di diversa lingua, cultura, religione, etnia sullo stesso territorio saranno sempre più frequenti, soprattutto nelle città. Questa, d’altronde, non è una novità. Anche nelle città antiche e medievali si trovavano quartieri africani, greci, armeni, ebrei, polacchi, tedeschi, spagnoli… Le migrazioni sempre più massicce e la mobilità che la vita moderna comporta rendono inevitabilmente più alto il tasso di intreccio inter-etnico ed inter-culturale, in tutte le parti del mondo. … Ma non bastano retorica e volontarismo dichiarato: se si vuole veramente costruire la compresenza tra diversi sullo stesso territorio, occorre sviluppare una complessa arte della convivenza…

Così scriveva Alexander Langer in uno dei suoi ultimi scritti su un tema che aveva a cuore e sul quale più volte era tornato, quella della convivenza. Sono vent’anni esatti da quel 3 luglio 2015 in cui Alexander Langer ha deciso di togliersi la vita, lasciando dietro di sé un enorme vuoto ma anche un lascito importante.

Uomo senza patria e senza confini, abituato a pensare, esprimersi, sentire in due lingue (il tedesco e l’italiano) fin da bambino, plurilingue per scelta, abituato a valicare continuamente i confini, geografici, politici, sociali, mentali, Langer è stato testimone attento di un’epoca di passaggi cruciali e spesso cruenti, osservati con lucidità e sguardo penetrante. Uno che negli anni ’90 più volte aveva denunciato la miopia dei governi europei, attenti più ai singoli campanelli d’allarme (immigrazione incontrollata, integralismo islamico, traffici criminali) che a cogliere eredità e caratteri comuni ai popoli del bacino del Mediterraneo per la costruzione di una rinnovata fratellanza.

E sono sempre attualissime le “critiche al miraggio di uno “sviluppo” che l’esperienza ha dimostrato essere foriero di dipendenze e povertà alla lunga più feroci di quelle derivanti dal “sotto-sviluppo”” o l’analisi dei conflitti, grandi e piccoli, che da decenni scorrono nelle vene aperte del Medio Oriente, a iniziare da quello israelo-palestinese, abilmente manipolati dalle diverse parti sino a incancrenirsi nella assenza (o la sfiducia verso) di soluzioni politiche, anticamera delle attuali derive estremiste.

Per non parlare del riferimento all’”uso creativo dell’Europa” tra grandi opere  contrabbandate come dispensatrici di miracoli occupazionali e il silenzio assordante di politiche effettivamente ‘comuni’.

Alexander continua a far sentire alta e forte la sua voce che non ha cessato un attimo di parlare, a vent’anni di distanza, attraverso i suoi scritti, le interviste, i discorsi pronunciati dagli scranni del Parlamento europeo, di convivenza pacifica tra popoli e culture, di capacità all’ascolto e al dialogo, ma soprattutto di un presente –e di un futuro- amico vivendo fino in fondo una vita più lenta, profonda e soave.

“…credo che il primo e fondamentale messaggio ecologico che oggi si possa dare è semplicemente quello di una vita semplice, di una vita che consumi poco, di una vita che abbia grande rispetto di tutto quello con cui abbiamo a che fare, compresi gli animali, comprese le piante, comprese le pietre, compreso il paesaggio, cioè tutto quello che ci è stato dato in prestito e che dobbiamo dare agli altri. Parlando di un possibile futuro amico vorrei sottoporvi soprattutto due aspetti che penso siano importanti per renderci più amichevole, meno ostile, più vivibile il futuro e forse anche il presente.
Un primo aspetto che mi permetto di offrirvi come possibile contributo a un futuro amico ha a che fare con la conciliazione o con la convivenza. Ed è non la convivenza con la natura ma la convivenza tra culture, la convivenza tra diversi noi, cioè tra gruppi di persone che non si identificano, pur vivendo nello stesso territorio.
Oggi in Europa, e in particolare nelle grandi città, la compresenza di persone, di lingua, di cultura e di religione, spesso di colore della pelle diversa, sarà sempre meno l’eccezione e sarà sempre più la regola.


Io credo che – semplificando – abbiamo due scelte: una è quella che ultimamente è diventata famosa col termine epurazione etnica, cioè ripulire ogni territorio dagli altri, rendere omogeneo, rendere esclusivo, etnicamente esclusivo un territorio, e quindi dire che chi li non diventa uguale agli altri, perché vuole coltivare la sua diversità o chi semplicemente viene cacciato da lì, cioè non gli viene neanche permesso di integrarsi, se ne vada, con le buone o le cattive, fino allo sterminio.


L’altra possibilità è quella che ci attrezziamo alla convivenza, che sviluppiamo una cultura, una politica, un’attitudine alla convivenza, cioè alla pluralità, al parlarsi, all’ascoltarsi. Ora credo che finché non costava, finché era una moda, il plurie tnico, il pluriculturale, era anche bello, faceva chic. Per esempio l’Italia era un paese in cui tutti i grandi giornali erano pieni di sdegno sulla xenofobia altrui: gli svizzeri hanno fatto un altro referendum xenofobo, in Germania ci sono stati episodi di intolleranza xenofoba, in Francia ecc. Oggi ci accorgiamo che questo diventa tragicamente realtà anche da noi; forse per la semplice ragione che prima gli altri non li avevamo tra noi e quindi era facile sopportarli finché stavano lontani. Una volta che ci sono diventa meno facile. Allora credo che promuovere una cultura, una legislazione, un’organizzazione sociale, per la convivenza pluriculturale, plurietnica, diventa, oggi, uno dei segni distintivi della qualità della vita, una delle condizioni per poter avere un futuro vivibile.


… Penso che nella convivenza tra diversi noi sia molto importante che ognuno di questi noi non si senta in pericolo, cioè non si senta minacciato. Quando si sente minacciato è vicina la tentazione della violenza e non c’è conflitto più coinvolgente di quello etnico o razziale o religioso, che subito forma fronti, schieramenti difficilissimi poi da riconciliare. Quindi credo che oggi uno dei grandi compiti di chiunque abbia voglia di un futuro amico sia proprio quello di diventare in qualche modo, nel suo piccolo, pontiere, costruttore di ponti del dialogo, della comunicazione interculturale o interetnica. Se non c’è comunicazione interculturale, credo che andiamo incontro a una Jugoslavia generalizzata, per dirla con un telegramma forse un po’ pessimista ma temo non lontano dalla realtà. … Vorrei adesso diversi brevemente quattro piccole modalità che possono aiutare in questo.


La prima riguarda la credibilità delle parole. Io credo che oggi ci sia pochissima fede, giustamente, nelle parole, perché è difficile distinguere la notizia dalla pubblicità, la realtà dalla fandonia, che se ripetuta autorevolmente e televisivamente diventa realtà essa stessa.
È credibile chi può dire “Vieni e vedi”; è credibile chi ha un’esperienza da offrire alla quale ognuno può partecipare, che ognuno può condividere. Dove non c’è un “vieni e vedi” io sarei molto diffidente. In questo senso la televisione, è un vedi sì, ma è un vedi mediato, tanto che non ha nessuna verifica possibile.
Un secondo criterio, lo chiamerei il criterio dei cinque giusti e si rifà alla trattativa sulla distruzione di Sodoma e Gomorra. Vi ricorderete che Abramo tentava di non far distruggere Sodoma e Gomorra sostenendo che tanti giusti sarebbero morti nella catastrofe insieme ai malvagi. Allora comincia una lunga trattativa perché gli angeli dicono: forniscici un elenco credibile dei giusti almeno cinque tirali fuori, fuori i nomi perché altrimenti non ci crediamo.
Penso che se noi non vogliamo diventare prigionieri delle nostre illusioni, almeno una minima verifica sui cinque giusti dovremmo farla; una verifica se anche altri ritengono importanti le cose che a ognuno di noi sembrano importanti e mettersi insieme con altri che le condividano, prima di andare a urlare in televisione.


Un’altra modalità per costruire un futuro amico e paritario è quello di concludere anche magari molto formalmente dei patti. Io credo che oggi ci siano molte forme di patto, molte forme di alleanza che possono essere concluse e che restituiscono anche dignità e giustizia a chi apparentemente è il ricevente. Pensate alla grandiosa esperienza di Emmaus, dove dei cosiddetti scarti umani delle comunità di Emmaus, considerati tali da molti hanno imparato a restituire prima dignità agli scarti, ai rifiuti raccogliendoli, separandoli, riutilizzandoli, mettendoli in circolo, e quindi riguadagnando dignità anche loro. Credo che oggi il modello dell’alleanza del patto di una reciprocità, sia non solo una condizione molto importante ma possa essere perseguita molto concretamente perché siamo a un livello della comunicazione facilitata.
L’ultimo aspetto che oggi vedo molto sottovalutato riguarda la relazione tra nord del mondo rispettivamente col sud e con l’est. Oggi chi è di sinistra è molto tifoso del Terzo Mondo; chi viceversa viene da una tradizione più di destra, è invece più attento all’est perché è stato a lungo educato alla solidarietà con chi era oppresso dal comunismo.
Quindi oggi rischiamo di riprodurre, anche dopo la caduta del comunismo, queste solidarietà su binari differenziati o col sud o con l’est. Parlando di alleanze, di patti, credo che sarebbe una buona strada da seguire che noi, nelle cose che facciamo, cercassimo di avere partner all’est e al sud e che li facessimo anche conoscere tra di loro, anche perché spesso sono in competizione, perché entrambi ci corteggiano.


Sono arrivato alla chiusura e vorrei tentare il riassunto, con una variazione su un motto molto conosciuto. Voi sapete il motto che il barone De Coubertain ha riattivato per le moderne Olimpiadi, prendendolo dall’antichità: il motto del citius, più veloce, altius, più alto, fortius, più forte, più possente. Citius altius e fortius era un motto giocoso di per sè, era un motto appunto per le Olimpiadi che erano certo competitive, ma erano in qualche modo un gioco. Oggi queste tre parole potrebbero essere assunte bene come quinta essenza della nostra civiltà e della competizione della nostra civiltà: sforzatevi di essere più veloci, di arrivare più in alto e di essere più forti. Questo è un po’ il messaggio cardine che oggi ci viene dato. Io vi propongo il contrario, io vi propongo il
lentius, profundius e soavius, cioè di capovolgere ognuno di questi termini, più lenti invece che più veloci, più in profondità, invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che più forte, con più energia, con più muscoli, insomma più roboanti. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo.” (A. Langer, Quattro consigli per un futuro amico)

Dal sito di Anna Puleo

 

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