Alexander Langer Alexander Langer Racconti e ricordi

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Enzo Rutigliano: «Conoscevo Alex…»

5.10.2005, Equilibri (in corso pubb)
Per chi ha frequentato le università dell’Occidente alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, il film di Lawrence Kasdan, Il grande freddo, è un film di culto. Inizia con un funerale, il funerale di Alex, morto suicida, celebrato dai suoi vecchi compagni di università con i quali condivise le utopie che quegli anni resero per loro indimenticabili e che le radicali esperienze comuni avevano reso sospettosi del mondo e, nonostante le scelte molto diverse che ciascuno aveva fatto nella vita, essi riuscivano a fidarsi solo di loro stessi.

L’amico al quale è affidata la commemorazione funebre nella piccola chiesa di campagna inizia il suo discorso, interrottosi poi per l’emozione, con queste parole: “Conoscevo Alex…”.
Potrei anch’io iniziare questo breve ricordo di Alex Langer con le stesse parole se non fosse che la mia conoscenza non fu così intensa come avrei voluto, anche se mi rimase sempre l’impressione di aver sfiorato una persona pulita e di grande valore.
Le circostanze della nostra conoscenza si verificarono relativamente tardi. Pure, avevamo frequentato la stessa facoltà durante gli stessi anni e, comunque, lui da studente-lavoratore con già una laurea in giurisprudenza presa a Firenze. Ci laureammo in sociologia lo stesso giorno, il 5 luglio 1972 a Trento. Fu per lui la seconda laurea. Insomma, durante gli studi non c’eravamo mai incontrati anche se io sapevo chi era e avrei seguito poi le sue battaglie per l’integrazione linguistica in Alto Adige.
E fu proprio in seguito a quelle lotte che si verificarono le circostanze che diedero luogo al nostro incontro e alla nostra amicizia e simpatia reciproca.
Come si sa Alex aveva testimoniato il suo impegno per l’integrazione linguistica nell’Alto Adige rifiutandosi di censirsi in uno dei gruppi linguistici. Cosa obbligatoria per trovare o conservare il posto di lavoro.
Così perse il lavoro di insegnante di filosofia e dunque fece domanda al Provveditorato di Trento per essere “comandato” per qualche anno presso la facoltà di sociologia, dove fu ben accolto e dove lavorò a una sua ricerca.
Fu lì che la nostra amicizia inizio: avevamo i nostri studi sullo stesso piano. Ci incontravamo nei corridoi e davanti la macchina del caffè, e scambiavamo qualche impressione e le nostre opinioni su quanto allora accadeva.
Io insegnavo da qualche anno storia della sociologia e avevo deciso, proprio quell’anno, di tenere accanto al corso un seminario su un libro che avevo scoperto da poco e da cui ero rimasto affascinato: Massa e potere di Elias Canetti.
Così scrissi al futuro premio Nobel le mie intenzioni circa il seminario chiedendogli alcuni chiarimenti epistemologici. Canetti, contrariamente alle leggende che circolano sulla sua misantropia, mi rispose a stretto giro di posta e così iniziammo una corrispondenza scientifica ma, in seguito, anche, per certi versi più intima che durò per più di dieci anni.
Allora non ero sicuro del mio tedesco e, del resto, nemmeno oggi, così, sia per decifrare le lettere di Canetti la cui grafia era in alcuni casi pressoché indecifrabile, almeno per me sia per correggere le mie lettere a lui, chiedevo aiuto ad Alex il quale, tanto si appassionò alla vicenda che a volte, incontrandomi nel corridoi, mi chiedeva: “Si è fatto vivo Canetti?”. E, alla mia risposta positiva, andavamo nel mio studio a leggere la lettera ricevuta e a commentarla.
Così la nostra amicizia si consolidò all’ombra di Massa e potere e alle lettere mie e di Canetti.
Erano i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Poi Alex tornò a Bolzano e i nostri incontri si diradarono molto anche se la nostra stima reciproca rimase salda al punto che anni dopo, quando egli si presentò per essere eletto al parlamento europeo, nel 1994, mi volle come testimonial per la sua elezione. Conservo ancora con cura una fotografia che ci ritrae insieme dietro un tavolo mentre parliamo a un pubblico riunito al Teatro Santa Chiara di Trento.
Quando seppi del suo suicidio mi balenò alla mente una frase di Leopardi, un elogio delle persone come Alex: “…e bambini fino alla morte nell’uso del mondo che non riescono ad apprendere”.
Il mondo schiaccia chi non si rassegna ad apprenderne l’uso.
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