Alexander Langer Alexander Langer Racconti e ricordi

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Gabriele Colleoni: Fare la pace, ai tempi della guerra

14.7.2005, L'Arena 6.7.2005
A dieci anni dalla morte, un’antologia ripropone gli scritti di una figura di spicco e mai conformista del movimento ecologista europeo e italiano

L’attualità della riflessione e dei percorsi nonviolenti di Alexander Langer


Il 3 luglio di dieci anni fa, al culmine della più grave crisi bellica europea dopo il 1945 - quella dei Balcani - con un tragico gesto si rinchiudeva nel silenzio della morte una delle voci più alte che per porre fine a quella guerra fratricida aveva speso l’ultimo scorcio del suo impegno, della sua riflessione e della sua vita. Alexander Langer, europarlamentare verde e coscienza critica e creativa, mai conformista, dell’«arcipelago ecologista e nonviolento», si conged ò dagli amici con l’impegnativo messaggio «continuate in ciò che è giusto». Una settimana dopo a Srbrenica, l’enclave sotto protezione Onu in Bosnia Erzegovina, si sarebbe consumato la più spaventosa carneficina di civili di quella guerra.
Il massacro fu il macabro sigillo sulla deriva di un conflitto, che era stato seguito con dolorosa lucidità da qu el «cittadino dell’Europa e del mondo» quale Langer si era sentito fin dall’adolescenza nel suo Sudtirolo scosso dalle bombe e dalle tensioni tra le comunità tedesca e italiana. «Das Brücke/Il ponte» chiamò la prima rivista fondata, sedicenne, a Bolzano. In seguito, per costruire quella «cittadinanza universale» a cui idealmente aspirava, alla lingua madre tedesca e all’italiano, avrebbe affiancato la conoscenza di altre tre.
Nei dieci anni trascorsi da quel cupo luglio del ’95, in molti hanno raccolto - spesso al riparo del clamore delle cronache - l’imperativo messaggio d’addio di Langer. A cominciare dalla Fondazione che ne porta il nome e che ogni anno, con crescente autorevolezza, segnala a livello internazionale persone ed associazioni che abbiano costruito occasioni di dialogo e riconciliazione - dei «ponti» - nei luoghi dove si consumano i tanti conflitti del pianeta. Ultim a in ordine di tempo Irfanka Pašagic, la psichiatra di Srbrenica, che a Tuzla, altra città martire della Bosnia, ha fondato il centro Tuzlanska Amica il quale in 10 anni è riuscito a dare - grazie ad adozioni a distanza - una famiglia a 850 bambini, e ad offrire uno dei pochi spazi dove donne, bambini, uomini traumatizzati dagli orrori del conflitto, hanno ricevuto sostegno psicologico, ma anche assistenza medica, sociale e legale.
Il segreto dell’attualità e dell’autorevolezza, che ancora presentano le sue riflessioni, risiede forse nel fatto che Langer, lettore e scrittore quanto mai prolifico, definito «il più impolitico dei politici», rifuggì la tentazione di sistematizzare il suo pensiero. Il suo scrivere - fin dai tempi del giornalismo militante - si è sempre misurato nelle situazioni concrete, riflettendo a partire e in relazione ad esse, seguendone il divenire. In fondo, confessò in una breve autobiografia sollecitagli da una rivista, gli sarebbe piaciuto essere un maestro elementare, a contatto con la sfida feriale, ma fondamentale di alimentare quella speranza concreta di cui è portatrice sana ogni nuova generazione.
Si ritrovò a fare il giornalista, il traduttore, il professore, il politico. E poi il «saltatore di muri» (etnici, culturali e politici - cel ebre la sua provocatoria candidatura a segretario del Pds nel ’94). E soprattutto, il «costruttore di ponti» e il «viaggiatore leggero» tra frontiere e popoli diversi. Sempre nel segno dell’hoffnungträger, «portatore di speranza», che si era accollato la responsabilità (e il peso) di essere.
Nell’ultimo decennio della sua vita - un decennio fondamentale per l’Europa con quel fatidico 1989 a far da spartiacque - la sua riflessione trovò costante ospitalità su Azione nonviolenta. Nella fitta trama di interventi sul mensile fondato dal «padre» del movimento nonviolento italiano, Aldo Capitini, tra il 1984 e il 1995 si è delineata con più precisione, la scelta nonviolenta - laica e religiosa al tempo stesso - che stava a fondamento etico e culturale della sua azione politica, e più in generale del suo approccio alle persone e alle realtà, per complesse e contradditorie che fossero.
La raccolta antologica di quegli scritti, curata dal direttore della rivista, Massimo Valpiana, è stata ora pubblicata dall’editrice Cierre di Verona con il titolo, Fare la pace. Scritti su Azione nonviolenta 1984-1995. Nelle quattro sezioni - Dal pacifismo alla nonviolenza; Nonviolenza e riconciliazione; Nonviolenza per la decrescit a; Nonviolenza è politica - si dipana un percorso nel quale è possibile trovare un «metodo» che ha ancora molto da dire alle sfide del nostro tempo. E che parte dal «forte progetto etico, politico e culturale», sollecitato da Langer in una «lettera circolare» sei mesi prima della morte - un progetto «senza integralismi ed egemonie, con la costruzione di un programma e una leadership a partire dal territorio e dai cittadini impegnati, e non dai salotti televisivi o dalle stanze dei partiti».
Preciso l’obiettivo: «far intravedere l’alternativa di una società più equa e più sobria, compatibile con i limiti della biosfera e della giustizia, anche tra i popoli». E la sua speranza nasceva dal constatare che «da molte parti si trovano oggi riserve etiche da mobilitare che non devono restare confinate nelle "chiese" e tantomeno nelle sagrestie degli schieramenti». Un progetto che nonviolentemente non doveva né poteva però assurgere a totem/tabù intoccabile: no, come ogni progetto andava provato nei fatti, nei rapporti concreti, nelle dinamiche del reale. Non a caso, uno dei motti di Langer era solve et coagula, sciogli e ricomponi. Valeva per i «suoi» Verdi come per l’ambiziosa «Campagna Nord-Sud - Debito, biosfera, sopravvivenza dei p opoli» a cui diede vita insieme ad un movimento culturale e religioso trasversale a forze politiche e Chiese, per affrontare la crisi del debito estero dei Paesi poveri (tuttora irrisolto) e della distruzione ambientale e umana che esso alimentava.
Ma se «la nonviolenza ha bisogno sia di profeti che politici», riflette Valpiana nell’introduzione, «essere insieme profeti e politici è molto, molto complesso perché è "troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere"», come Langer scrisse nel 1992 quando la verde tedesca Petra Kelly morì suicida. Quella sintesi Alexander Langer la cercò, senza enfasi e senza retoriche. Così questi scritti risultano una sorta di nuovo passaggio del testimone. Perché le tracce di un percorso - esistenziale e politico - non vadano perse e possano, auspicabilmente, indicare varchi da cui intraprendere altri cammini del coraggio. Per «fare pace», se possibile, anche oggi.
Gabriele Colleoni




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