Alexander Langer Alexander Langer Racconti e ricordi

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Francesco Palermo: L’eredità di Langer

7.7.2005, Alto Adige 3.7.2005
Nel suo ultimo romanzo, “Il complotto contro l’America”, Philip Roth descrive gli Stati Uniti nel 1940, alla vigilia della decisione storica sull’entrata in guerra. Le elezioni presidenziali non sono però vinte dal presidente uscente Roosevelt, ma dall’aviatore Charles Lindbergh, filonazista e antisemita, che tiene l’America fuori dalla guerra e la spinge verso posizioni isolazioniste, con conseguenze sociali e politiche devastanti che emergono lentamente ma con crescente angoscia nello svolgersi del racconto.

La fantastoria è un genere letterario piuttosto in auge, e anche da noi in molti vi si sono cimentati.
Immaginiamo per un momento la Bolzano del maggio 1995. A sorpresa Alexander Langer è eletto sindaco sulla base di un programma di depotenziamento del dato etnico, di amministrazione gentile, di innovazione ambientale. Il neo-sindaco annuncia da subito di non essere disponibile per un secondo mandato, vuole verificare se la svolta inattesa provocata dalla sua elezione sia stata solo il frutto di una congiuntura politica momentanea o se il suo messaggio di rottura pacifica, di innovazione non conflittuale, abbia gettato semi in grado di germogliare ben oltre l’esperienza singola di una elezione.
Molti guardano con sospetto a questo sindaco che cita la tragedia bosniaca nel suo discorso di insediamento, che porta per la prima volta dai tempi del fascismo un “tedesco” – votato dagli italiani – alla guida della città, che inaugura una giunta tecnico-politica, mantiene l’equilibrio e i toni bassi, distingue sapientemente tra politica ed amministrazione, non ha paura di esprimere dubbi, sa rispondere “non lo so, devo informarmi” quando non è sicuro. Il sindaco gentile scala con pazienza la montagna dei rapporti con la Provincia e la SVP, riesce gradualmente a superarne i pregiudizi, a collaborare. Anche la destra italiana, prima scettica, riconosce la disponibilità del sindaco ad ascoltare le posizioni, la capacità di convincere e di cedere quando necessario. E così la sinistra, non entusiasta di questa scelta ma prontamente convinta con i fatti dell’utilità di un’esperienza di transizione, dopo la quale nulla sarebbe più stato come prima. Persino i cattolici, in difficoltà di fronte a una persona profondamente religiosa ma poco dogmatica, ne apprezzano la scelta in favore della solidarietà.
Langer si impone attraverso il metodo. Niente certezze incrollabili, disponibilità all’ascolto, nessun nemico predefinito, non violenza (anche e soprattutto intellettuale) come credo politico. Dopo cinque anni di duro lavoro, nel 2000 lascia per tornare ad occuparsi di quello che più lo attira, la politica europea e internazionale, nella consapevolezza che un’esperienza di governo locale è fondamentale per realizzare lo slogan dell’ambientalismo americano degli anni ’70, quel “think globally, act locally” di cui da sempre aveva fatto una bandiera. La sua eredità politica è un metodo di governo che non rifiuta la complessità, ma la scompone, la metabolizza, la controlla. E con essa controlla le paure, l’irrazionalità della non conoscenza, la banalizzazione degli istinti. Bolzano e il Sudtirolo diventano un punto di riferimento non solo per la composizione dei conflitti, ma anche per la gestione della normalità.
Riapriamo gli occhi e torniamo alla Bolzano di oggi. Quella che ricorda il decennale della tragica fine di Langer con una amministrazione comunale nuovamente commissariata perché il conflitto etnico-politico non è risolto, ma continua a covare sotto la cenere. Un Sudtirolo che celebra il suo figlio più anomalo e nel contempo rappresentativo, in qualche caso con sopportazione, in altri con acriticismo agiografico. Certo, se le cose fossero andate diversamente dieci anni fa, oggi Bolzano e l’Alto Adige sarebbero molto diversi. E lo sarebbero anche se Langer non fosse stato eletto, ma non fosse comunque stato escluso dalle elezioni, anche se la legge (allora) era chiara nella perversione dei suoi effetti. E diverso sarebbe stato il quadro politico e sociale se almeno Langer non si fosse tolto la vita dopo pochi giorni, facendo di quell’esclusione l’ultimo atto di una tragica vita politica segnata dal sogno più che dalla realtà, e consacrata all’ideale della possibilità piuttosto che alla mera constatazione dell’esistente.
Langer ha rappresentato la negazione della Realpolitik, che ha compreso e sfidato in campo aperto. Ne è stato sopraffatto, ma non ha perso, dimostrando che si può fare politica anche in modo diverso da come normalmente accade. Facendo fatica, ma seminando. Anche e soprattutto per la sua formazione religiosa, ha sempre creduto “in ciò che era giusto”, non in ciò che era politicamente realizzabile in un dato momento. In questo stanno la sua grandezza e la sua fragilità. Langer era un politico inadatto alla politica. Un vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. Langer sta alla politica come san Francesco alla chiesa: ne ha rappresentato la parte più nobile, ma non sarebbe mai potuto diventare papa. Ha mostrato il lato povero della politica, quello più forte proprio per il fatto di non imporsi. La persuasione contrapposta al comando, la mitezza all’arroganza, la politica delle idee a quella del potere. La lentezza, la profondità e la dolcezza alla velocità, all’altezza e alla forza, come ci ricorda il suo celebre motto.
Langer comunicava parlando e scrivendo, non con gli slogan televisivi e le veline di partito. Sapeva di raggiungere meno, ma anche di raggiungere meglio, accettandone le conseguenze, in positivo e in negativo. Errante e inquieto, ha costruito e saltato ponti. Ha fatto della politica una scelta missionaria, faticosa, alla fine anche tragica. Il suo messaggio non è adatto ad essere insegnato nelle scuole di partito, non funziona per la politica che premia chi mostra solo forza e certezze, e punisce chi esprime dubbi e pensa di poter imparare più da un libro che da un comizio.
Chissà se sarebbe riuscito a governare Bolzano. E chissà se, continuando la sua attività politica, avrebbe contribuito a fare dell’Europa qualcosa di diverso da quella di oggi. Bolzano e l’Europa: due realtà in difficoltà, per motivi diversi; due obiettivi per le quali Alex Langer si è speso; due contesti politici che forse oggi potrebbero beneficiare dalla riscoperta di qualche ricetta del pensiero langeriano.
Cristiano suicida, meticcio culturale, pacifista interventista: Langer è stato uomo di contraddizioni, che ha saputo coniugare e sfidare. Le sue opere restano a spiegare che la politica può essere fatta di dubbi, che la debolezza a volte persuade più della forza, e che c’è spazio per il pensiero critico e tormentato. Per chi vuole, Langer è oggi un patrimonio di idee da rileggere, da ripensare, ovviamente anche da criticare. Per gli altri, è solo un debole che non ha avuto la forza di andare avanti. Anche in questo, vive la diversité. La diversità che Langer ha studiato, vissuto, incarnato, e che forse l’ha ucciso.

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