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Carlo Bertorelle: la morte di Alex e noi

30.9.1996, Trento S.Chiara
Sento qui oggi molte testimonianze, molti ricordi; ma forse per chi, come me, conosceva Alex da tanto tempo, è più difficile puntualizzare una memoria unica o ricordare un particolare episodio, perché è un lungo percorso della vita che torna alla mente. Ci eravamo conosciuti fin dal tempo del liceo, a Bolzano, quando lui scriveva un giornaletto ciclostilato, "Offenes Wort", e lo invitammo ad intervenire su un giornale studentesco in lingua italiana. Eravamo a metà degli anni Sessanta, c'era fra noi una comune sensibilità, un comune desiderio di impegnarci nel sociale.

Questo incontro di Trento, oggi, mi sembra nello stesso tempo troppo in anticipo e troppo in ritardo. È presto per un sereno approfondimento storico del ruolo e del profilo storico e politico di Alex Langer.

Ed è tardi per analizzare e confrontare assieme i problemi dai quali scaturà la sua scelta estrema; è troppo tardi, irrimediabilmente, per prevenire o precorrere quello svolgimento, quell'evento dei primi di luglio, che abbiamo ancora dentro, che ci tormenta.

Ho ancor oggi uno stato d'animo combattuto, quando ci penso, tra pena e rabbia; e confesso che non mi è facile consentire pienamente a quel perdono che lui ha chiesto. C'è in me qualcosa che resiste e che continua a chiedersi: perché l'hai fatto?

Quello stesso messaggio che ci ha lasciato "continuate in ciò che era giusto" contiene una indicazione che a volte mi sembra ambigua, equivoca nel suo sottrarsi a qualcosa che pure indica agli altri: perché "continuate voi" e non "continui anche tu"? se la strada è quella giusta...Ma poi anche: perché era giusto e non è giusto? C'è qualcosa di profondamente insondabile nella sua scelta finale, per cui preferisco paralre delle cose vive di Alex e non di quelle della morte o sulla morte. Ammetto anzi l'incompetenza a parlarne, anche se potremmo essere tentati di avvicinarci, e con qualche pertinente ragione, al mistero della sua morte. Ma dovremmo apirere un altro capitolo, quello dei nodi e dei grovigli profondi della personalità e della psicologia di Alex.

E non oso aprire questo capitolo.

Parliamo di lui come di uno di noi, senza santificarlo, senza metterlo sul piedistallo.

Siamo tuttora nella condizione di non poter capire la sua morte.

Non c'è coerenza tra il suo gesto e tutta la sua vita, i suoi valori, la sua morale. La contraddizione mi sembra totale: è non violento, parla dell'armonia e del rispetto del creato, di fraternità di vita. Invece compie un gesto violento, una frattura, uno strappo, fa una violenza spaventosa a se stesso e agli altri. Tutto ciò è razionalmente impossibile anche se è reale.

Ma resta inspiegabile, alla luce di quello che sappiamo di lui. Non è possibile parlarne.

Se guardo al nostro futuro, mi domando cosa rappresenta la morte di Alex per noi. Il discorso diventa storico e politico: dobbiamo fare un bilancio di quello che ha fatto, e noi con lui; allo stesso tempo anche una verifica per capire meglio come andare avanti. Sicuramente il suo patrimonio non è qualcosa di statico, di dato una volta per tutte, da venerare così com'è.

Come dicevo prima, non vorrei che diventasse un idolo od un santino; lo hanno appena detto anche altri. Fatte le debite proporzioni, e lo sottolineo fortemente, era uno come noi, dentro ad un cammino di ricerca, contorto, bello, ma anche non esaurito e in parte anche fatto di ombre. In questa ricerca lui era andato molto avanti e molto in fretta, in tappe successive rapidissime.

Ma non ce la faccio a parlare di profezia, a vederlo come un profeta. Se la profezia è rivelazione del futuro, per ispirazione divina o per presentimento, la sua morte non ha contribuito a darci una rivelazione, tanto meno sul nostro futuro, che rimane precario e fragilissimo.

Preferisco vederlo nella politica, con il significato migliore che ha questa parola. E sappiamo quanto avrebbe ancora potuto fare di bene se avesse potuto intraprendere una svolta di politica fatta dall'altra parte, come amministratore, come gestore di scelte dentro a situazioni concrete di governo.

Ci possiamo ritrovare invece, con lui, assieme alla sua ricerca, nella utopia. Anche l'utopia, nelle condizioni date della realtà, porta sempre alla sconfitta. Una sconfitta che può essere il rogo, o l'emarginazione o l'autodistruzione, ma lo scontro tra desiderio e progetto di perfezione e la realtà è uno scontro perdente. Solo l'utopia religiosa, avendo un orizzonte che va al di là della realtà, può sottrarsi a questo esito perdente.

Ma l'utopia concreta, quella di cui parla Bloch ad esempio nel suo "Principio speranza", appare necessaria, come espressione di un ideale verso cui muoversi, come fine ultimo dell'azione politica.

Pensare - dice Bloch - vuol dire oltrepassare. La tensione verso il futuro, il riferimento a ciò che non è ancora presente, dà al pensero la capacità di modificare la struttura oggettiva.

Questa molla, questa spinta ha visto Langer agire in modo incomparabile in alcuni campi, con una attività incessante. e in questi campi dobbiamo riprendere il suo patrimonio e portarlo avanti. Boato nella introduzione ha rapidamente sintetizzato alcuni passi fondamentali del suo impegno e della sua originale elaborazione teorica, e condivido pienamente le sue osservazioni. voglio mettere l'accento particolare sui seguenti aspetti.

In primo luogo il suo pensiero ha oltrepassato la realtà nella questione del rapporto tra uomo e radice nazionale. Alla base della convivenza ci deve essere l'uomo, anche nelle sue diversità, e non lo schema etnico e nazionale. Per lo meno dal 1966 aveva iniziato a rovesciare l'ottica tradizionale della contrapposizione, proponendo di abbattere i muri e di superare il pregiudizio. E questo in un contesto difficile, che poteva costare anche l'accusa di tradimento. Ddi qui scaturisce tutta la sua azione per un modello di convivenza, per un Sudtirolo indiviso, per una riforma dell'autonomia, contro la cristallizzazione in gabbie etniche. Di qui anche una visione nuova e diversa per ricomporre i conflitti di questo tipo anche a livello europeo (vedi ex Jugoslavia) e mondiale.

Il suo pensiero ha oltrepassato la realtà anche nella utopia della riforma della politica. Qui egli aveva conosciuto l'esperienza delle centralizzazioni politiche forti, dei nuclei dirigenti che si sentono interpreti della storia e della verità e l'aveva con forza superata. Ne era emerso con una visione corale della attività politica, basata sulla libera aggregazione di cittadini e gruppi, con forme sempre verificate di delega che potessero eliminare le degenerazioni e gli inaridimenti delle vecchie forme centralizzate ed illuministiche. L'individuo può crescere ed emanciparsi veramente se prende in mano il suo destino e la cura dei suoi interessi e delle sue speranze, non se le delega ai capi né se si appaga di appartenenze che possono diventare solo schieramenti sclerotizzati e lontani, ipocritamente, dalla realtà viva e vissuta; o che finiscono, ancor peggio, per essere comitati d'affari e lobbies di interessi.

Il suo pensiero ha oltrepassato la realtà anche nei rischi di totalitarismo del pensiero: le ideologie compatte e prive di dubbi, il dogmatismo. Anche nelle stagioni precedenti, contrassegnate da forte tasso ideologico, in lui era sempre comunque presente una forte tolleranza ed apertura alla verifica ed al dialogo. Ma poi, nel corso del tempo, nel suo orizzonte si sono mescolati e rielaborati diversi filoni di pensiero, diversi schemi analitici e scientifici, diversi valori di riferimento.

Non è possibile qui analizzarli in dettaglio, ma rappresentano nel loro insieme, anch'essi, un esempio di quello spirito curioso, critico ed utopico che gli ha permesso sempre di non irrigidirsi in alcun sistema fisso di pensiero, che avrebbe considerato nemico mortale di ogni trasformazione umana.

Trento - Centro S. Chiara
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