Alexander Langer Alexander Langer Racconti e ricordi

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Don Giordano Remondi, monaco di Camaldoli: Un Dio, tre religioni

8.11.1996, Forlì, intervento
Non è formalismo ringraziare il Comitato promotore per essere stato invitato in questa sede, e lo faccio in particolare verso gli altri membri di "Religione e ambiente" a cui partecipo come rappresentante della comunità monastica di Camaldoli.

Questi amici mi hanno supplicato di preparare l'intervento teologico, pur nei limiti dei tempi ristretti che avevo a disposizione. Mi sono subito sentito un nano in mezzo a giganti, ma tant'è: mi sono trovato in questa avventura un mese e mezzo fa per riconoscenza al Signore di avere incontrato Alex Langer - non solo io personalmente, ma anche alcuni confratelli sia della mia comunità sia di altri monasteri, a partire dall'Abbazia di Muri-Gries della sua Bolzano/Bozen.

Ricordo, a titolo informativo, la sua conoscenza di frati francescani e monaci anche quando non c'è traccia esplicita, ma ricordo pure che la sua tragica fine deve essere apparsa misteriosa, se le due esequie religiose sono state celebrate non già da parte di preti qualsiasi, bensì, il primo, da mons. Angelo Chiaroni, parroco a S. Maria delle Tosse in Firenze e delegato episcopale dell'ecumenismo, e il secondo, a Bolzano/Bozen, dal vescovo, il reverendo padre cappuccino Wilhelm Egger, il quale ha testualmente detto nell'omelia: "Il Vangelo ci riporta una frase di Gesù, una frase citata da Langer nel suo ultimo messaggio: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi" (Mt 11,28). Langer ha imparato questa frase da giovane. Tale frase di Gesù ha accompagnato Langer fino all'ultimo momento. Aveva l'intuizione che quella era una frase risolutiva".

Fin qui il debito verso tutti, e in particolare verso coloro che più da vicino hanno condiviso il grande impegno di Langer, negli ultimi mesi della sua vita, sul tema del Mediterraneo per il quale, in sua memoria, ci siamo riuniti qui oggi, per dibattere di "Coesistenza e confronto delle culture". Come procedo in questa relazione? Tre punti:

1) alcuni testi di Langer mi sembrano utili come approccio esistenziale al tema di "un Dio, tre religioni", tema verso il quale l'impegno l'impegno etico e politico può essere considerato insufficiente;

2) di qui il bisogno di scoprire in sintesi l'apporto dei tre monoteismi mediterranei (ebraismo, cristianesimo, islam) per comunicare a tutti gli uomini di buona volontà l'orizzonte o lo sfondo comune, o la prospettiva nella quale si assume l'impegno etico, al di là dei risultati conseguiti;

3) infine, alcuni brevissimi spunti concreti per una specie di decalogo di convivenza interreligiosa tra i popoli "figli di Abramo", cercando di parafrasare il decalogo scritto da Langer nel 1994 per una convivenza interetnica: andando oltre lui, in nome di lui, almeno lo spero, se fosse qui tra noi...

1) Insufficienza di un approccio etico al tema

Commenterò alcuni passi di Langer perché mi sono sembrati fecondi non solo per intravedere qualche barlume nel fitto mistero della sua "crocifissione" volontaria, del suo "sacrificio espiatorio" (forse dovuto in gran parte alle colpe e alle tragedie che aveva incontrato proprio nel Mediterraneo), ma soprattutto per scoprire, come domandava a se stesso già in appunti del 1990, "da dove prendere le energie per "fare" ancora", s'intende, per quel "fare" così impegnato senza risparmio che tutti abbiamo conosciuto.

La domanda è assolutamente centrale per ognuno di noi, qualunque sia la sua scelta, per non "sfinirsi" dentro nobili impegni nel corso degli anni, e per non "smarrirsi" nell'alternarsi di successi e delusioni. Domanda, tuttavia, che forse aveva ossessionato Langer negli ultimi tempi. Infatti ci ritorna proprio nel maggio 1995 a due mesi dalla morte, riordinando alcuni appunti dal titolo "A proposito di Giona" stesi nell'aprile del 1991 per una relazione tenuta su invito del medesimo vescovo di Bolzano/Bozen, sopra citato. Come spesso gli capitava, aggiunse alcuni brani in corsivo sottolineando il breve testo: "In memoria di don Tonino Bello". "Don Tonino", che amava lasciarsi chiamare così anche da vescovo di Molfetta, morì di tumore nell'aprile 1993, dopo una vita quasi parallela a quella di Langer, anche se spesa con metodi diversi affinché la Chiesa fosse in prima linea nella pace e nella convivenza fra i popoli in risposta al mandato del Signore di servire l'altro ("ministero/mistero dell'amore che lava i piedi"). Ebbene, ecco che cosa scriveva Langer due mesi prima della propria morte:

"Non so come don Tonino abbia deciso di fare il prete e il vescovo. Non so se abbia mai sentito forti esitazioni, l'impulso di dimettersi, una sensazione di inutilità del suo mandato. Probabilmente non aveva mai bisogno della tempesta e della balena (il riferimento è alla vicenda di Giona, n.d.r.) per essere richiamato alla sua missione. Forse sentiva intorno a sé una verità e una semplicità con radici profonde, antiche e popolari. Beati i profeti che non devono passare per la pancia della balena."

Per cogliere il significato delle allusioni che queste righe lasciano intravedere, rimando alla lettura dei pochissimi versi del libro di Giona nella Bibbia, anche se devo spiegare il perché ho scelto di citare il passo.

"Beati i profeti che non devono passare per la pancia della balena". Pur non avendo alcuna credenziale per interpretare il gesto tragico di Langer il 3 luglio 1995 sulle colline di Firenze, tuttavia mi sembra una frase così illuminante per superare lo shock di allora. Spero poi che la citazione sia utile per andare oltre l'impegno di Langer, che fu un impegno eminentemente etico sulla base di una ispirazione religiosa ebraico-cristiana che lo aveva animato da giovanissimo (e fu, in questo, simile a tante altre vite parallele nella sinistra cirstiana europea...).

Langer si identificava con un profeta che aveva smarrito il desiderio di esserlo e per questo venne lasciato in balia della tempesta, finendo per tre giorni e tre notti naufrago nel ventre della balena. Dalla quale poi il signore fece risalire Giona per il mandato profetico di richiamare tutti alla conversione in nome di un Dio misterioso e pietoso. Langer scriveva di sentirsi come Giona, un "profeta controvoglia", mentre don Tonino non lo era, secondo lui. Così almeno mi pare, se è vero che a Langer è "esplosa" l'identificazione della sua anima religiosa con la profezia, o per lo meno non sentiva più di essere alimentato dalla stessa ispirazione, che pure lo aveva spinto fin da ragazzo verso l'impegno di proporre la strada della convivenza nella sua terra sud-tirolese. Gli era, forse, diventata troppo stretta la chiamata del Vangelo alle scelte etiche "sacrificali". Così le aveva intese nel 1961, a soli 15 anni, scrivendo sul mensile di lingua tedesca "Offenes Wort":

"Vorremmo esistere per tutti, essere di aiuto ed entrare in contatto con tutti. Il nostro aiuto è aperto a tutti, così come per tutti vale la nostra preghiera. Venite a noi, e vi aiuteremo con tutte le nostre forze.

Ma che cosa ci spinge a farlo? L'amore per il prossimo. Dobbiamo prendere sul serio la tanto declamata carità cristiana, senza mezze misure. È più importante porre il tempo e il denaro, la preghiera e il lavoro, tutte le nostre forze e la buona volontà al servizio del prossimo, che non restare a casa a leggere un libro avvincente, sciupare il nostro tempo o trascorrerlo in occupazioni secondarie. È per questo che vogliamo impegnarci socialmente, anche se a livelli modesti. E chissà che un giorno i nostri sforzi non riescano a sortire qualcosa di più grande. Ecco perché ripetiamo: venite a noi, con fiducia, portandovi appresso tutti i vostri problemi, quali che essi siano. Caritas christi urget nos!.

Non c'è da sorridere 35 anni dopo: non è solo Langer, dicevo, ad essere un giovane simile. Le espressioni che usa sono paradigmatiche di quegli anni '60, tipiche di una prospettiva nobile, che attrasse tanti altri forse meno precoci di lui. Pedagogicamente è utile, ma destinata tuttavia a tramutarsi in intransigenza morale, finendo spesso per esaurire non solo le energie, ma anche la carica dell'impegno. Tutto si blocca se non viene tenuto acceso quel faro decisivo che è, per un cirstiano, la vicenda del Figlio di Dio, Gesù di Nazareth, il Messia atteso dalle Scritture ebraiche. Una vicenda interpretata come pasquale - salvifica, cioè, con la resurrezione del crocifisso - anche con quel segno di Giona che è stato per tre giorni e tre notti nel ventre della balena.

A questo punto possiamo davvero correggere Langer. Tutti passano, prima o poi, dal ventre della balena, se è vero che la parabola del profeta Giona diventa simbolo della condizione di ogni testimone di Cristo e, al limite, di ogni uomo (tra l'altro ritroviamo Giona, a brani scelti, anche nel Corano, come figura dell'inviato impaziente, diventato incapace di soffrire). Nessuno può essere esentato dal passaggio cruciale, decisivo per una testimonianza profetica che non sia solo prospettiva etica in anticipo sui tempi, nemmeno per invitare alla convivenza e alla pace. Ognuno è chiamato a diventare "profeta" mentre lotta contro la propria e altrui prepotenza, che è la "madre" di ogni idolatria perché conduce alla lontananza da Dio, in un abisso in cui uno si sente sprofondare. Chi riconosce questa prova viene poi fatto risalire, per accedere allo specifico della tensione monoteista. La quale, allora, non potrà consistere solo nel propugnare dottrine e pratiche morali, anche se, poi, a questa fatica etica di "giustizia e pace" deve dedicarsi con tutta l'anima colui che crede nel Signore Dio unico, sia che si chiami Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, o Padre di Gesù, o Allah. E con questo stiamo entrando nel 2° punto della relazione.

2) Il punto di contatto fra i tre monoteismi

a) Il mistero del legame religioso con un Dio unico

Può essere ancora utile un passo di Langer per focalizzare un tema così vasto. È tratto da un articolo di Langer sedicenne (1962), articolo che reca un titolo caro all'immaginario cristiano di anni appena successivi: Il cristianesimo rivoluzionario.

"Se ci fermiamo a considerare anche solo pochi esempi riportati nei Vangeli, non possiamo che renderci conto di quanto riduttiva sia la visione che abbiamo del cristianesimo! E quanto spesso la fraintendiamo! Quanti pensano che l'esistenza del cristianesimo consista nell'andare a messa la domenica ed eventualmente nel fare un po' di elemosina! Ma ciò che Cristo esige da noi non sono certo questi sacrifici apparenti, bensì la nostra vita e la nostra personalità. Cristo non chiede buone maniere e bigotteria, ma azione e decisione (corsivo nostro, n.d.r.). Penso che se esponessimo questa concezione del cristianesimo a molti che conosciamo, sarebbero allibiti dalla portata del messaggio cristiano. Ma se vogliamo essere cristiani, dobbiamo esserlo fino in fondo! Cristo non ci ha portato la verità e il suo vangelo perché continuassimo a dormire sonni tranquilli, indifferenti al prossimo, indifferenti a Dio e alla sua verità, ma perché vivessimo in Cristo da cristiani. Questo è stato l'insegnamento che ribalta l'ordine del mondo (non solo di allora, ma spesso anche di oggi) e indica all'umanità il vero centro della sua vita, che non è l'individuo e nemmeno il vantaggio materiale o il piacere, ma soltanto Lui, che ha il diritto di pretendere per sé tutta la nostra vita, e cioè Dio".

Sbaglieremmo, ripeto, se considerassimo queste righe delle ingenuità adolescenziali. Anzi, il testo è molto ricco e, direi, più maturo del precedente. Infatti tiene insieme, in un equilibrio precario ma chiaro, l'idea che religione e etica sono una cosa sola. Alla base c'è un Cristo - un Cristo letto come profeta esigente che, stando alla forma espressa, potrebbe essere sostituito con "Torah" o "Corano", suoi equivalenti, come vedremo - che spinge ad abbracciare un'etica non formale ma vitale. Ma se fosse questa un'identificazione involontaria in cui da tempo è incappata la Chiesa, non importa se oggi all'elemosina viene aggiunta l'istanza etica dell'efficacia politica o dell'intervento solidale continuo verso chi è nel bisogno? È in gioco l'identità della rivelazione del mistero di Dio dal quale nasce l'idea stessa di religione che non separa, ovviamente, in compartimenti stagni la fede, l'etica e i riti, ma che - almeno per noi oggi, forse "ammalati" di modernità, o da essa "vaccinati": non sappiamo...! - percepisce come una schiavitù ricorrere ad un messaggio rivelato per elaborare una proposta etica, anche se Caritas Christi urget nos...

È chiaro che le parole di Langer mi stanno servendo da "pretesto" per entrare nella prospettiva che mi sta a cuore e che formulerei con la domanda seguente: dal patrimonio immenso dei tre monoteismi dei figli di Abramo - come ormai tutti e tre si riconoscono -, è possibile porre l'accento su un quid che li accomuna e che dovrebbe consentire il rispetto reciproco nella convivenza, al di fuori della buona volontà e della conoscenza maggiore, insomma indipendentemente da un "dovere" richiesto per una politica di buon vicinato? In altre parole, la domanda è la seguente: è possibile uscire dal dovere di stare in pace "per convenienza"? Mi accorgo che sto esigendo molto dagli interlocutori, non solo perché sto semplificando, ma perché non abbiamo nemmeno una cultura vincente della convivenza "per convenienza"...Eppure, senza dimenticare le tenebre di questi ultimi anni tragici che hanno oscurato le luci di città come Sarajevo o Tuzla, città modello di coesistenza tra culture e religioni, devo elaborare una proposta di vasti orizzonti, avvertendo inoltre che non faccio una scelta di campo tra le confessioni cristiane (secondo l'ebraismo e l'islam ci sono tanti modi di essere ebrei o musulmani, per cui al massimo sono sorte delle "correnti").

(...)
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