Da molto tempo si sono spenti i riflettori sui territori della ex-Jugoslavia, sulla sua decomposizione cruenta, che portò nello spazio di un decennio – tra il 1991 e il 2001 – a ridisegnare i contorni della regione balcanica mediante una lunga scia di lutti. A riflettori spenti, però, non è solo difficile parlare della storia passata, ma tuttora incerti appaiono gli esiti della «pace» monitorata da quell’Europa che prima, cioè all’indomani del crollo del sistema imperiale sovietico, non afferrò cosa si stava preparando nel vicinissimo oriente, e poi si dimostrò incapace di porvi tempestivo rimedio. Con una metafora: se non furono pochi gli occhi puntati, pochissimi erano quelli in grado di vedere.
Tra chi, al contrario, fu subito pronto a scorgere i pericoli inerenti il virulento ridestarsi del nazionalismo balcanico va annoverato Alexader Langer. In Alto Adige la figura del grande vipitenese è nota soprattutto in relazione alle sue battaglie per la convivenza inter-etnica nel contesto del complesso passaggio all’implementazione delle norme del secondo statuto di autonomia. Ma Langer era un politico (e uno scrittore) che si muoveva ponendo in costante relazione la dimensione particolare con quella universale. Dopo essere diventato parlamentare europeo, nel 1989, il suo impegno si concentrò quindi sempre di più a comprendere le conseguenze della dissoluzione della ex cortina di ferro, soprattutto in due paesi chiave come l’Albania (di recente l’editore alphabeta di Merano ha pubblicato una silloge dei suoi interventi e di quelli del giornalista Alessandro Leogrande dedicati proprio al paese delle aquile) e la Bosnia Erzegovina.
Chi volesse approfondire il notevole versante dell’attività di febbrile pacificatore dell’ultimo Langer – attività che si concluse proprio nell’anno cruciale in cui si ebbe l’eccidio di Srebrenica (11 luglio 1995) e l’accordo di Dayton – ha adesso a disposizione il bel volume curato da Edi Rabini e Sabina Langer, che raccoglie e contestualizza articoli e interventi scritti tra il 1991 e il 1995 (Alexander Langer, Quei ponti sulla Drina. Idee per un’Europa di pace, Infinito edizioni).
Come per ogni classico, purtroppo più citato che letto, anche nel caso di Langer è sufficiente scorrere una pagina qualsiasi per rintracciare la sua impronta stilistica inconfondibile, la commovente chiarezza dei presupposti con i quali indagava i fenomeni storici e politici a lui coevi. «Il conflitto jugoslavo – si legge per esempio in un breve articolo intitolato Disertori, tratto dal grande archivio ancora in parte inesplorato dei suoi appunti militanti – non portava iscritto, sin dall’inizio, in alcun codice genetico tutta la sua apparentemente inesorabile ferocia. Nel 1991 esistevano milioni di persone che si sentivano jugoslave o che comunque non si consideravano offese da questo termine, che non vedevano di per sé alcuna incompatibilità affinché serbi e croati, albanesi e serbi, sloveni, ungheresi e italiani ecc. convivessero sullo stesso territorio, in condizioni possibilmente democratiche». Purtroppo venne imboccata una strada ben diversa, e – come nota Adriano Sofri nella postfazione al volume – si mise in moto quella valanga che in tempi rapidissimi travolse ogni cosa.
Ma al di là dell’interesse che si può avere nel ripercorrere le vicende di quegli anni e di quei luoghi, i testi di Langer sono utilissimi soprattutto per riflettere su due contraddizioni di respiro più ampio. Esse riguardano, lo illustra ancora bene Sofri, l’opzione sovranità/ingerenza e la pratica della non violenza in relazione alla forza obbligante del diritto. Sempre guidato dalla paziente pratica della convivenza, ciò che a Langer soprattutto premeva era suscitare il dialogo fra tutti i «traditori della compattezza etnica» – si pensi, proprio in relazione alla ex-Jugoslavia, all’importantissimo lavoro svolto dal Forum di Verona –, traditori che poi sono i soli, sul lungo periodo, in grado di scongiurare soluzioni omogeneizzanti, basate quindi sulla nefasta preminenza di stati nazionali strutturalmente inadeguati a tutelare le minoranze.
Corriere dell’Alto Adige e Corriere del Trentino, 28 settembre 2020 (pubblicato col titolo Langer e i Balcani)