Prefazione di Sabina Langer al libro "Bosnia Express" di Luca Leone
PREFAZIONE
La Bosnia mi ha insegnato che la fiducia bisogna guadagnarsela.
Sono arrivata per la prima volta in Bosnia nel 1999 e ho immediatamente sentito di essere tornata a casa. Seppure i segni della recente guerra fossero molto più visibili di oggi, mi sono ritrovata nei luoghi e nelle persone. Quei visi, quegli occhi, quelle mani, quell’andatura fiera e dignitosa che caratterizza i bosniaci, uomini e donne, vecchi e bambini, mi sono entrati sotto la pelle. La generosa ospitalità e il bisogno di raccontare – nonostante allora non capissi nulla di quello che dicevano – mi hanno avvolto per ore ad ascoltare sorseggiando litri del loro caffè, che con pazienza ho imparato a bere e anche – più avanti – a preparare.
Lentamente la lingua mi è diventata meno estranea. Sono tornata innumerevoli volte e ormai non solo mi sento a casa, ma sento di avere una “famiglia” lì, per la quale nella lontananza provo nostalgia profonda.
Il desiderio di raccontare per esorcizzare la guerra, si è via via assopito, facendo spazio all’urgente bisogno di vivere il presente e di costruire un futuro: senza dimenticare il passato, nonostante la strada per costruire una memoria condivisa sia ancora lunga e tortuosa. Fortunatamente però esistono persone coraggiose e determinate a farcela – in particolare penso agli amici di Srebrenica assieme ai quali da anni Tuzlanska Amica e la Fondazione Alexander Langer Stiftung hanno avviato un percorso sulla memoria.
Per guadagnarmi la fiducia dei membri della mia “famiglia” bosniaca mi sono munita di pazienza e di voglia di ascoltare e di capire. Ho faticosamente imparato a mettermi da parte e a cambiare ritmo (non sempre ci riesco però!), ad aprire le braccia in un abbraccio che avverrà solo anni dopo. Ho imparato a cercare e a soddisfare la gioia per le piccole cose, un pacchetto di palloncini, una tavoletta di cioccolata, un fermaglio per i capelli finalmente lunghi… Ho imparato che fare è molto più importante che parlare. Ho imparato che è difficile salutarsi prima della partenza e che va superata la paura dell’abbandono, tornando molte volte, in modo da dimostrare che le promesse si mantengono.
La Bosnia mi ha aiutato a crescere e ringrazio ogni singola persona che ho incontrato sul mio cammino bosniaco, ma un grazie particolare va a Irfanka e ai membri di Tuzlanska Amica, e ad Amira e ai bambini dell’orfanotrofio di Tuzla.
Luca Leone parla di dinamiche e di giochi di potere in cui tutti loro sono costretti a vivere. Descrive Sarajevo utilizzando vividi flash esplicativi. Illustra il panorama religioso e gli interessi che sottostanno alla (ri)costruzione dei luoghi di culto e non solo. Traccia le linee della situazione politica dagli accordi di Dayton a oggi. Parla sia di interessi economici e di investimenti internazionali sia delle risorse naturali bosniache. Descrive le condizioni lavorative lecite e illecite come anche le condizioni e i tempi della giustizia. Motiva l’affermazione che la Bosnia e i Balcani siano “terra d’armi e d’armati”. Denuncia il separatismo che avviene perfino attraverso la lingua; il “genocidio culturale” perpetrato nei confronti dell’arte e il disinteresse per lo sviluppo del turismo.
Dal quadro complessivo tracciato sembrerebbe - come egli stesso afferma - che “la Bosnia non ha prospettive”, ma Luca Leone si corregge nelle riflessioni finali “la principale risorsa per la Bosnia sono le persone” - dalle quali tutti noi possiamo imparare moltissimo, aggiungo io.
Sabina Langer
[scheda del libro]
http://www.infinitoedizioni.it/
BosniaExpress120.pdf (150 KB)