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Andrea Lollini: Dalla disobbedienza civile al Sudafrica democratico. Il ruolo del giudice Albie Sachs

24.6.2007, Fondazione

Non è facile immaginare che accanto a chi divenne icona internazionale della lotta all’apartheid come Nelson Mandela, Oliver Tambo, Albert Luthuli e Steven Biko ci furono anche cittadini sudafricani che non appartenevano alla black people.

 Donne e uomini che pur essendo cresciuti in un paese che aveva fatto della discriminazione razziale l’ideologia fondante dello Stato e pur appartenendo a famiglie di origine europea furono capaci di consacrare la loro vita alla battaglia per l’affermazione dei diritti fondamentali. Molti i “bianchi” dunque che non esitarono a rifiutare la mitologia della segregazione istituzionale cavalcata dai governi afrikaner scegliendo, invece, l’utopia di un Sudafrica multirazziale e democratico.Albie Sachs, nato da una famiglia d’origine britannica e cresciuto a Cape Town, fu uno di questi; uno degli uomini, e delle donne, che in giovane età si unirono alla lotta di neri, indiani e coloured per il riconoscimento dei diritti umani.Avvocato, giovanissimo, Albie Sachs iniziò negli anni ‘50 a lavorare per l’affermazione dei diritti civili difendendo cittadini sudafricani neri davanti ai giudici di Cape Town, partecipando alle campagne di disobbedienza civile e avviandosi, contestualmente, sulla strada dell’attività politica nelle file dell’African National Congress. A metà degli anni cinquanta fu tra coloro che parteciparono al Congress of the People a Kliptown in cui venne redatta e adottata la Freedom Charter.  La carta della libertà Vero e proprio manifesto politico della lotta anti-razzista, la Freedom Charter riuniva tratti del ghandismo e del costituzionalismo liberal-democratico. Questo documento conteneva principi che sarebbero stati ufficialmente riconosciuti solamente 40 anni dopo dalla nuova costituzione democratica post-apartheid del 1996. Tra questi, i più importanti, erano il principio di democrazia maggioritaria, il diritto alla proprietà della terra, il divieto di discriminazione su base razziale, etnica o sessuale e il principio fondamentale dell’unità nazionale tra bianchi e neri. Quest’ultimo è stato l’elemento più importante che ha caratterizzato la nascita del nuovo Sudafrica democratico, la pietra angolare che ha permesso di gettare le basi di un difficile cammino verso la pacificazione interrazziale. Infatti, fin dalla redazione della Freedom Charter, i movimenti di liberazione avevano espresso l’idea secondo cui, abolita l’apartheid, il Sudafrica sarebbe comunque divenuto uno Stato democratico e multirazziale in cui avrebbero vissuto neri e bianchi. Questo principio è espresso oggi nella metafora con cui s’identifica la nuova nazione sudafricana chiamata, appunto, rainbow nation (la nazione arcobaleno).Il prezzo dell’attivismo politico e giuridico che Albie Sachs ha pagato fu assai elevato. Le forze di sicurezza sudafricane in molteplici occasioni hanno disposto nei suoi confronti provvedimenti restrittivi della libertà di movimento, venne arrestato e incarcerato in due circostanze e infine indotto all’esilio nel 1966. La prima destinazione fu l’Inghilterra, ma undici anni dopo fece ritorno in Africa, in Mozambico, dove continuò l’attività di professore di diritto.  A costo della vita Durante questo soggiorno si consumò tuttavia uno degli episodi più importanti e drammatici della vita di Albie Sachs. Era il 1980, in Sudafrica il livello dello scontro interno aveva raggiunto livelli di grande durezza. Gli effetti dei boicottaggi internazionali al regime segregazionista avevano innescato una profonda crisi economica e le azioni anche molto violente dei movimenti di liberazione nazionale avevano scatenato la brutalità delle reazioni dello Stato. Sono in molti, in questo periodo, a parlare di guerra civile. In questo contesto Albie Sachs fu vittima di un attentato dinamitardo. Come sarebbe stato appurato chiaramente negli anni successivi, le forze di sicurezza sudafricane specializzate nelle “operazioni politiche” (ovvero l’eliminazione sistematica degli oppositori) collocarono un ordigno nella sua auto, a Maputo. Nell’esplosione perse un braccio e un occhio.Paradossalmente fu proprio negli anni successivi all’attentato che Albie Sachs intensificò l’attività politica attraverso lo strumento giuridico. Scrisse una serie di testi in materia di diritti umani e lavorò alacremente a un progetto che poteva sembrare a tratti utopico: quello di una nuova costituzione democratica per il Sudafrica. I tempi del cambiamento sarebbero rapidamente maturati; nel febbraio del 1990 il neo presidente del Sudafrica F. De Klerk pronunciò davanti al parlamento il celebre discorso in cui si prendeva atto dell’ineluttabile: caduto il Muro di Berlino, il sistema d’apartheid andava riformato in profondità. Contestualmente De Klerk comunicò al Sudafrica ed al mondo l’imminente liberazione di Nelson Mandela. Lo Stato si preparava alla lunga fase di negoziati con i movimenti di liberazione nazionale; il rientro dei numerosissimi esuli politici era ormai improcrastinabile. Tra questi anche Albie Sachs, che rientrò in Sudafrica nel 1990 divenendo immediatamente delegato dall’ANC per il Constitutional Committee che avrebbe negoziato la nuova costituzione. Una costituzione avanzata Seguirono gli anni convulsi della transizione alla democrazia. Pur nella ferma decisione di continuare il dialogo, l’establishment politico del vecchio regime e i movimenti di liberazione nazionale (ormai pienamente riabilitati) non si risparmiarono colpi bassi. In un contesto di violenza politica diffusa furono in molti, nel mondo, a preannunciare l’esplosione della vendetta dei neri sui bianchi che venne tuttavia scongiurata. La nuova costituzione venne scritta progressivamente e a tappe, cosa questa che consentì l’inclusione nei negoziati di un numero elevatissimo di attori politici.Già nel 1995, prima ancora dell’adozione della costituzione definitiva, venne istituita la Corte Costituzionale. L’anno precedente si erano tenute le prime storiche elezioni universali e multirazziali che avevano portato Nelson Mandela alla presidenza della repubblica. Per Albie Sachs cominciò da quel momento una nuova forma di lotta, diversa nei metodi ma identica nella sostanza: quella per l’affermazione concreta dei principi sanciti dalla costituzione. La lettera del diritto, senza gli strumenti e gli uomini che si impegnano per la sua applicazione, non ha forza. Questa è la ragione che ha condotto al fallimento numerose dichiarazioni internazionali o testi costituzionali adottati in paesi dell’Africa. Le parole, seppur importanti, non hanno forza demiurgica intrinseca. Di questo il Giudice Sachs è stato sempre pienamente cosciente e da qui cominciò la storia giurisprudenziale della Corte costituzionale sudafricana oggi impegnata, da ormai dodici anni, sul difficile terreno di mediazione tra i principi costituzionali e la complessa realtà sociale ed economica del nuovo Sudafrica.   La storia del Sudafrica forse insegna proprio questo. Non esistono “vie brevi” o colpi di mano attraverso la violenza. I cambiamenti si producono attraverso il dialogo e il confronto tenace tra le parti, con un costante bilanciamento tra principi e diritti, in un contesto reso favorevole da istituzioni aperte alla differenze di interessi e istanze.  

 

Andrea Lollini insegna diritto costituzionale comparato all’Università di Bologna ed è docente nel Master “Operatore di pace nei conflitti internazionali” realizzato dal Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna e dalla Formazione Professionale Italiana della Provincia Autonoma di Bolzano. Nel 2005 ha pubblicato con la casa editrice Il Mulino il saggio “Costituzionalismo e giustizia di transizione, il ruolo costituente della Commissione sudafricana verità e riconciliazione”.

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