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Guido Viale: Alex per parole chiave

28.11.2005, La conversione ecologica - euromediterranea 2005
Interrogandomi sul contenuto della comunicazione che dovevo fare, mi sono chiesto che cosa significa “socialmente desiderabile”. Ho provato ad analizzare parola per parola, da un ipotetico punto di vista di Alex, il significato di questo titolo e qui mi sono fermato. E’ chiaro che di questa interpretazione del titolo di questo intervento di Alex porto interamente ed esclusivamente la responsabilità solo io.

CONVERSIONE
Alex sosteneva di preferire il termine conversione a parole come rivoluzione, riforma, svolta o ristrutturazione: non solo perché queste parole sono logore, ma perché il termine conversione rimanda sia alla trasformazione – macro - del contesto sociale che a quello – micro - delle coscienze e dei comportamenti individuali.
Questa assonanza tra il soggettivo e il sociale, tra il personale e la struttura, rimanda irrevocabilmente a un’altra assonanza: quella tra la crisi ambientale, gli squilibri economici planetari, l’impoverimento dei rapporti sociali, il peso crescente dell’aggressività e della guerra nella soluzione dei conflitti politici, la paura che accompagna tutti gli aspetti di questo panorama, da un lato, e il nostro modo di pensare, i nostri comportamenti individuali nel lavoro e nel consumo, la cultura in cui siamo immersi. Non c’è dubbio che lo scenario “macro” si radica nei nostri comportamenti quotidiani “micro” almeno quanto questi si radicano nei primi: basta pensare alla nostra sete quotidiana di petrolio, che è la causa principale di quasi tutti i conflitti degli ultimi quarant’anni, e forse dell’ultimo secolo.
Da un lato questa assonanza è la radice delle difficoltà che incontriamo nel perseguimento degli obiettivi di conversione ecologica, cioènel tentativo di imporre un diverso orientamento a un sistema di produzione e di consumo che ha una dimensione planetaria e che, per di più, si radica nel comportamento di milioni e nelle aspirazioni di miliardi di persone che ciascuno di noi non ha alcuna possibilità di raggiungere.
Dall’altro ci fornisce indicazioni ineludibili sulla linea di condotta da seguire: è nei nostri comportamenti, nella capacità di creare un contesto più favorevole a una vita meno dipendente dallo spreco di risorse, meno orientata a misurare il successo con il reddito e il consumo, meno governata dall’aggressività, che possiamo trovare le condizioni per una azione politica che persegua obiettivi, anche minimi, di trasformazione della società.

ECOLOGICA
Alex era perfettamente consapevole del fatto che l’ambiente non è la “natura”: che ciò che chiamiamo ambiente è il frutto di interazioni millenarie tra l’uomo e il suo contesto geografico, climatico e territoriale; cioè il frutto delle trasformazioni che l’uomo ha imposto al territorio, alla fauna, alla flora, alle risorse naturali. Qual è dunque il limite che il rispetto dell’ambiente – inteso in questa accezione, che include gli effetti della sua crescente antropizzazione – impone all’azione dell’uomo?
Secondo me - ma Alex su questo tema era ritornato più volte – questo limite va cercato nella dimensione temporale delle trasformazioni. Quelle dei processi naturali sono lente e, per lo più, graduali. Quelle generate dall’uomo sono sempre più rapide, tanto da correre il rischio di non essere più assimilate o assimilabili dai processi naturali; cioè di sconvolgerli senza lasciare loro il tempo per trovare un nuovo equilibrio compatibile con la ricchezza della diversità biologica e territoriale. E anche di sconvolgere i rapporti tra gli uomini, senza lasciare loro il tempo di assimilare le trasformazioni quel tanto che basta per governarle.
Siamo abituati dagli inventari ambientali – a cui peraltro Alex teneva molto – a considerare l’ambiente nella sua dimensione spaziale: l’ambiente è il territorio, con quello che contiene. Ma l’ambiente è anche e soprattutto un processo, con i suoi tempi geologici, biologici e storici.
Il richiamo di Alex al carattere ecologico della “conversione” non è quindi tanto un richiamo a una legge naturale, quanto al recupero di una scala temporale adeguata nell’interazione tra uomo e ambiente: un recupero della lentezza come condizione essenziale della convivenza sociale, in un rapporto, se non armonico, per lo meno non aggressivo ed esclusivamente conflittuale, con l’ambiente circostante.
Richiamando l’appello di Alex alla lentezza non si può fare a meno di evidenziare quello che è stato il paradosso di tutta la sua vita: una attività frenetica, una vera corsa contro il tempo, nel tentativo, spesso vano, di prevenire catastrofi, crisi, o anche solo la paralisi e l’insterilimento della vita politica di questo o quel raggruppamento.
E’ una contraddizione che ciascuno di noi rivive nel suo piccolo e che credo ineludibile: un segno dei tempi entro cui si svolge il nostro agire.

SOCIALMENTE DESIDERABILE
Desiderabile può voler dire molte cose. La conversione ecologica può e deve essere desiderabile da punto di vista morale – e questa, forse, è una pre-condizione – dal punto di vista economico, dal punto di vista della salute, dal punto di vista estetico. Cioè, la società che vogliamo deve soddisfare, almeno in parte, tutti questi criteri. E questo deve valere per tutti.
Ma che cosa significa “socialmente” desiderabile? La società non è, e non era, per Alex e per noi, una sommatoria di individui, di homines oeconomici che agiscono come automi per perseguire “razionalmente” il proprio interesse: una concezione che aveva spinto la Margareth Thatcher, vera espressione del mondo in cui viviamo, o ci hanno portato a vivere, a sostenere che “la società non esiste”. Se pensiamo questo, cioè che ciascuno non faccia che perseguire il proprio interesse economico, in una non-società del genere non c’è posto per alcuna trasformazione: meno che mai per una conversione ecologica. Il mercato aggiusta le cose automaticamente: basta lasciarlo lavorare.
La società non va dunque intesa come una sommatoria di individui, ma come l’insieme delle relazioni che gli individui hanno tra loro: in parte libere, in parte determinate; in parte costitutive della nostra esistenza, in parte risultato del nostro agire. Questo insieme di relazioni include il conflitto: “socialmente desiderabile significa anche desiderabile nel e attraverso il conflitto. Ma, comunque, per entrambe le parti in causa. Inoltre – e questa è la cosa più importante – non è vero che gli uomini sono tutti uguali: alcuni sono più liberi di altri.
C’è dunque qualche cosa da cercare diverso dal mero interesse economico, quello che dovrebbe comporre automaticamente e armoniosamente gli interessi di tutti: sia quando vogliamo spiegarci fenomeni come la guerra, le crisi economiche, le scelte politiche e amministrative di chi governa; sia quando cerchiamo le leve per intervenire e trasformare questi contesti. E’ un invito a essere meno schematici e più profondi nell’analizzare la complessità del mondo.

AFFERMARSI
Alex dice affermarsi e non vincere: indica un esito parziale e non totale, graduale e non puntuale, provvisorio e non definitivo, condiviso e non imposto. Se ci limitiamo alle motivazioni che determinano il conflitto non se ne esce: se una mediazione fosse possibile a queste condizioni, ci avrebbe già provveduto il perseguimento razionale dell’interesse di ciascuna delle parti in causa.
Per arrivare a una composizione, anche solo temporanea e provvisoria, delle “ragioni” e degli interessi in causa, occorre cambiare le regole del gioco; spostare il conflitto su un altro terreno; fare intervenire nuovi giocatori; mettere in campo altre poste: andare più in profondità nella complessità del contesto. I più importanti di questi giocatori, quelli da aggiungere alla schiera dei contendenti, sono le parti in causa non rappresentate; e, innanzitutto, le generazioni future.
Questo significa fare ricorso a risorse che le parti in conflitto tendono a ignorare, trascurare o soffocare. L’arte della negoziazione, che tiene conto della disparità delle forze in campo – e, quindi, non può mai portare a situazioni “ideali” - ma riesce in qualche modo a bilanciarle, ampliando o approfondendo, il che spesso è lo stesso, la gamma delle poste in gioco si compendia forse in questo.

APPARIRE
Dal punto di vista delle tecnologie già disponibili, e in parte persino della loro sperimentazione, molte delle soluzioni che permetterebbero di imboccare la strada della conversione ecologica sono ormai a portata di mano, solo che si investa in misura adeguata, non nella “ricerca” genericamente intesa, come ripetono tutti gli economisti, ma in una ricerca ecologicamente orientata.
Fonti energetiche rinnovabili, generazione diffusa, mobilità flessibile, rinaturalizzazione del territorio, riuso e riciclaggio dei prodotti dimessi e, per altri versi, rilocalizzazione, intesa come potenziamento delle risorse e delle produzioni locali, welfare municipale fondato sulla mutualità, ecc. sono tutte soluzioni che portano a un minor consumo di risorse naturali, a un minor saccheggio dell’ambiente, a una minore produzione di rifiuti e di residui della produzione e del consumo – prima tra tutte, la CO2 – a una maggiore valorizzazione delle relazioni interpersonali, che è anche l’unico modo per promuovere un riequilibrio tra Nord e Sud del pianeta, un’attenuazione delle disparità sociali all’interno dello stesso territorio, dello stesso paese, dello stesso continente; ma anche una vita più sobria, ma non per questo più sacrificata; una socialità più ricca; un benessere sia materiale che spirituale più alto.
Ma che cosa significa far “apparire” socialmente desiderabile tutto ciò? Non certo fare il marketing dell’ecologia, che è un’attività a cui troppo spesso tutti noi ci dedichiamo. Su questo terreno la battaglia dell’ambientalismo contro il consumismo e la pubblicità, cioè contro la cultura dominante della nostra epoca, è persa in partenza. Ma bisogna anche smettere di sostenere o di accettare la tesi secondo cui l’ecologia è un lusso di paesi, classi o persone ricche, e che i poveri non sanno che farsene. L’ecologia è un lusso solo per le persone deprivate delle necessarie informazione e, tra queste, molti giornalisti, insegnanti, amministratori e commentatori politici: grazie anche e soprattutto a chi fa di tutto per farla passare per tale.
Fare apparire vuol dire far comparire, fare emergere la desiderabilità di soluzioni più sobrie, più gradevoli, meno devastanti per l’ambiente e la convivenza, a partire da esigenze e bisogni insoddisfatti a cui il mercato e la cultura dominante non possono dare risposta. In una parola, aggregare una domanda sociale latente.
Aggregare domanda è un’impresa sociale che richiede competenze tecniche – per individuare soluzioni alternative a quelle attuali – capacità di muoversi sul terreno istituzionale – perché non si può pensare di cambiare il mondo a prescindere da un rapporto, anche conflittuale, con le istituzioni – e soprattutto spirito comunitario: capacità di condividere con i nostri vicini vita e problemi: di non vivere in una sfera troppo separata da quella di chi non condivide il nostro modo di vedere; di non frequentarci solo tra di noi e di non parlare solo a chi è già d’accordo con noi.
Aggregare domanda, di cose molto concrete e raggiungibili – mobilità alternativa, generazione diffusa, produzioni locali, welfare municipale, soluzioni orientate al riciclaggio, ecc. – e prospettare risposte praticabili è un’impresa sociale, che richiede il ricorso a uno spirito imprenditoriale (animal spirits non individuali, ma sociali e comunitari) e, in genere, anche a figure imprenditoriali. Ovviamente si tratta di un’impresa e di un’imprenditorialità intese in senso lato, sempre immersa e alimentata da un’ispirazione collettiva. Gli esempi positivi in tutti i campi che ho citato non mancano. Bisogna conoscerli meglio e valorizzarli di più.

Guiido Viale, Milano, saggista e ricercatore
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