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Alex e Srebrenica, 10 anni Presentazione

7.12.2005, Testimonianze 442, euromediterranea 2005
Presentazione del numero speciale di "Testimonianze" intitolato "Alexander Langer, traghettatore di speranze" che comprende gli atti di "euromediterranea 2005".
Curato per la Fondazione da Christine Stufferin e Edi Rabini. Tutte le foto sono di Paolo Gelmo.
Redatto per Testimonianze da Marco Bassetti

Per ottenere copie della rivista scrivere a : <testimonianze@associazioneculturaletestimonianze.191.it.
via Gaimpaolo Orsini 44 - 50126 Firenze, tel/fax 055 688180


Quest’anno il tradizionale incontro di Euromediterranea promosso dalla Fondazione è stato dedicato a due coincidenti decennali. Quello della strage genocidaria di Srebrenica, momento culminante e emblematico della crisi di convivenza che ha insanguinato l’ex Jugoslavia negli anni ´90, e quello della morte di Alexander Langer, con il desiderio di passare dal momento del ricordo commemorativo all’avvio di una riflessione sul suo patrimonio di buone pratiche, di relazioni e di idee, partendo da tre suoi testi altrettanto emblematici:
- L’Europa muore o rinasce a Sarajevo (1995)
- La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile (1994)
- Il tentativo di decalogo per la convivenza interetnica (1994)
Si tratta di tre testi in cui Alex, come gli era successo negli ultimi anni, ha provato a proporre una sintesi, una specie di bilancio di vita.
Siamo molto grati a Testimonianze che ci offre la possibilità di pubblicare i principali interventi delle giornate bolzanine, proprio sulla rivista che ha ospitato negli anni ’60 alcuni saggi del giovane Langer e che opera in quella Firenze che considerava decisiva per la sua formazione umana e politica.
Dopo Euromediterranea, dall’8 al 12 luglio, con un gruppo di 43 giovani venuti da diversi paesi d’Europa, siamo andati a Tuzla, la piccola città della Bosnia che era riuscita a mantenere, dentro e nonostante la guerra, spazi di dialogo e di convivenza e dove opera dal 1992 la psichiatra Irfanka Pašagić, impegnata a restituire speranza alle vittime, senza distinzione di etnia o religione.
Proprio dopo l’esplosione della bomba che il 25 maggio 1995 aveva tolto la vita a 71 giovani di Tuzla, Alexander Langer aveva rivolto, su invito dell’allora sindaco Selim Beslagić, un drammatico appello ai capi di stato e di governo riuniti a Cannes: “Intervenite con la forza per interrompere l’aggressione delle milizie serbe - aveva scritto - perché l’Europa muore o rinasce a Sarajevo.”
Alex veniva da una terra che si chiama in due lingue Alto Adige-Südtirol, che aveva vissuto in poco tempo due guerre mondiali, l’alleanza funesta di fascismo e nazismo, un doloroso episodio di pulizia etnica con le opzioni del 1939, il terrorismo separatista, un braccio di ferro etnico non ancora concluso.
Eppure dentro questi drammatici eventi è lentamente nata una capacità di convivenza tra i gruppi, non semplice e ancora problematica, e poi, da qualche tempo, per qualcuno perfino il vanto di poter vivere in una realtà plurilingue e multiculturale.
Alexander Langer ha deciso di togliersi la vita il 3 luglio 1995, pochi giorni prima della strage di Srebrenica dell’11 luglio.
Non c’è un rapporto diretto tra la tragedia bosniaca e il suo suicidio, eppure questa coincidenza dei due decennali ce la siamo trovata e ce la teniamo ben stretta. Perché troppo simili sono i dolori delle vittime. Per chi è sopravvissuto, sono lutti che non finiscono mai, che possono essere curati solo con il riconoscimento del dolore, con l’affetto e con la nascita di nuove ragioni di vita.
Una realtà che rimane in gran parte misteriosa. Così come rimane senza risposte adeguate la domanda sul perché, così rapidamente, dei normali vicini di casa, a Srebrenica come a Jedwabme, ad Auschwitz come in Ruanda, possono trasformarsi in così breve tempo in feroci carnefici.

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