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NATASA KANDIC, La Serbia e il suo “nemico interno”.

29.6.2004, UNA CITTÀ n. 106 / Agosto-Settembre 2002
L’integrità di alcune donne coraggiose.

L’ultimo attacco contro Sonja Biserko, (Helsinki Committee for Human Rights in Serbia, ndr), portato dalla penna dell’editore di Vreme (settimanale pubblicato a Belgrado, ndr), Dragoljub Zarkovic, apparso nel numero del primo agosto …, non mi permette di mantenere il silenzio sulle calunnie cui si assiste ormai quotidianamente in Serbia, oggi con molto più clamore, che prima della liberazione del paese dal regime di Slobodan Milosevic. In Serbia dalle strade e dai media “dipendenti”, gli attacchi e le minacce, in particolare contro alcune donne, si sono trasferiti ai media “indipendenti”. Le diffamazioni e le umiliazioni hanno assunto le proporzioni di una “caccia alle streghe”. Il tono non è più deciso dalla tv di stato o da Politika, bensì da quei “liberi intellettuali”, variamente patriottici, che sempre si sono vantati dell’indipendenza loro e dei loro organi.

Non si tratta della minaccia delle bombe e dei picchiaggi violenti, tanto più duri da sopportare perché provenienti da eserciti e gruppi paramilitari, i cui sforzi ora sono concentrati a cercare di preservare almeno la loro etichetta di “patrioti” e a coprire i crimini loro e dello stato. Si tratta degli abusi e delle denunce contro queste donne accumulati da quei media oggi supposti liberi dall’influenza di Milosevic.

Considerandosi i più meritori dell’uscita di scena dell’imperatore (che già era nudo, come chiunque poteva constatare, anche se pochi hanno osato anche solo sussurrarlo), questi media si arrogano oggi il diritto esclusivo di interpretare sia il passato che il futuro. Così investono tutte le loro energie a difendere questo diritto e non accettano di promuovere la necessità di confrontarsi col passato, anche assumendosi le responsabilità dei crimini commessi dal precedente regime. Non solo: non si sentono toccati nemmeno dalle posizioni critiche e davvero indipendenti provenienti dai loro stessi ranghi. Anzi, se qualcuno è così audace da denunciare i loro Sacrosanti Media, la loro politica editoriale passata e presente, e soprattutto la loro coscienza, sia professionale che in quanto esseri umani, diventa immediatamente elemento fastidioso e allontanato come “non gradito”.

Alle opinioni di Sonja Biserko sulla politica editoriale di B92 e di Vreme, espresse nelle colonne del settimanale croato Feral Tribune, costoro hanno reagito come governanti assoluti che, nel pubblico interesse, si impegnano a regolare i conti con quella particolare donna o altre come lei. Nel pubblico interesse -così come lo intendono loro- non avranno scrupoli a mentire, anzi l’hanno già fatto e continuano a farlo in modo deliberato. Nel gettare fango su Sonja Biserko sono andati così lontani da arrivare ad attaccare anche tutti quelli che sostengono che durante il bombardamento della Nato non c’era in realtà grande differenza tra B92, Vreme e la tv di stato nel riportare le notizie.
Uno sguardo a quanto prodotto da Republika e Radio Pancevo tuttavia rende subito evidente come questi due media siano stati le due sole eccezioni all’unanimità che prevalse in quei giorni. Non importa quanto ripetutamente e a voce alta lo ripetano: che Vreme e L’associazione dei Media Elettronici Indipendenti abbiano strenuamente lottato contro la censura durante l’intervento Nato resta una bugia bella e buona, e una distorsione dei fatti. Durante un incontro in Montenegro, nel settembre del 1999, Dragoljub Zarkovic ha descritto fin troppo bene la cosiddetta: “lotta passo dopo passo per aprire una finestra sulla verità e la resistenza”:
“Contattavamo i censori tutte le mattine per concordare i pezzi che sarebbero stati pubblicati. Portavamo loro i testi e più tardi sistemavamo il tutto per telefono”. Tutto questo per salvaguardare l’indipendenza dei media!

Sebbene questa ipersensibilità verso la verità abbia altre e importanti ramificazioni, non è senza significato che proprio un manipolo di donne in Serbia venga costantemente sottoposto a insulti, umiliazioni e minacce per il loro tentativo di avviare un processo di riconciliazione fondato sulla ricerca della verità e sull’accettazione della responsabilità per quanto accaduto. … Ciò che maggiormente mi preoccupa è che tutto questo stia accadendo nella Serbia del post-Milosevic. Avevo sperato di assistere al prevalere infine di un sobrio buon senso e di un generale accordo sul fatto che la priorità del governo e della gente, sarebbe stata di assumerci la nostra quota di responsabilità per i crimini commessi dal precedente regime, così creando il terreno per un processo di riconciliazione.
Invece i media si sono imbarcati con entusiasmo nell’impresa di plasmare l’opinione pubblica in direzione e addirittura nella stessa linea di Milosevic. Gli ex media indipendenti sono estremamente attivi a questo riguardo: stanno dipingendo il processo di Milosevic all’Aja come un confronto tra due parti ugualmente onorevoli. Non si preoccupano nemmeno di dissimulare il loro tifo per Milosevic. Da parte sua, Milosevic sta cinicamente usando il processo per dire in faccia alle vittime che stanno mentendo, una farsa oltraggiosa, destinata all’uso domestico in una Serbia sempre più sofferente. Mentre i suoi tentativi non hanno alcun effetto legale sulla testimonianza delle vittime, i nostri giornalisti, coraggiosamente e “indipendentemente” riportano come Milosevic sia riuscito a dimostrare per l’ennesima volta che i testimoni kosovari albanesi hanno reso falsa testimonianza.
Ebbene, in contrasto con questi giornalisti e con una vasta quota di politici e della popolazione serba, queste donne si rifiutano di applaudire e brindare a questa partita truccata tra Milosevic e gli albanesi. Insistono invece sulla difesa della dignità delle vittime e sulla necessità di far conoscere alla gente le atrocità commesse contro di loro, dalle uccisioni all’occultamento dei corpi, fino al tentativo di nascondere la verità e negare loro una soddisfazione morale e un giusto risarcimento. Questo ovviamente non entra a far parte dei resoconti provvisti dai nostri giornalisti, data la loro ostilità verso chi da anni è mobilitato per far prevalere la giustizia, la responsabilità e uno spirito di riconciliazione.

Una di queste donne ha rifiutato di porre la sua firma su una lettera promossa da 27 intellettuali, indirizzata alla comunità internazionale, in cui si chiedeva la fine dei bombardamenti sulla Yugoslavia. Diverse persone a cui era stata fatta la stessa richiesta, inclusi Filip David e io stessa, hanno declinato l’offerta, perché eravamo convinti che quella lettera avrebbe avuto senso solo se indirizzata in primo luogo a Milosevic, principale responsabile di quell’intervento, e l’unico in potere di porre fine ai crimini in corso, con la stessa facilità con cui aveva prima sottoscritto e poi rinnegato gli accordi di Rambouillet. Quelli che invece hanno firmato, tra cui i responsabili di radio B92 e Vreme, consideravano i bombardamenti un processo a Milosevic, o qualcosa di simile. In questo modo i nostri media indipendenti hanno di fatto sostenuto Milosevic, facendo un patto col diavolo, che perdura tuttora.

Tuttora infatti non c’è stata una cesura netta con il periodo che ha preceduto il 5 ottobre 2000. Il regime di Milosevic non è stato rovesciato per la sua responsabilità rispetto ai bombardamenti sulla Yugoslavia, o per i crimini commessi in nome della Terra per i Serbi. Tutti i suoi auto-dichiarati oppositori e critici anzi fin dall’inizio sono stati d’accordo sull’opportunità di non menzionare i crimini di guerra durante la campagna elettorale del 2000, nella considerazione che la gente comune non era ancora pronta a conoscere la verità. C’è stata allora una sola occasione in cui il nuovo governo ha messo in relazione il Tribunale dell’Aja e la necessità di processare i responsabili. Questo è avvenuto appena prima del trasferimento di Milosevic all’Aja, il 28 giugno 2001. Il ministro degli Interni ha colto l’occasione per denunciare l’esistenza di fosse comuni in Serbia e, in riferimento al coinvolgimento di Milosevic, ha anche menzionato incontri con lui in cui sarebbe stata presa la decisione di cancellare ogni traccia dei crimini commessi in Kosovo. La storia è durata solo fino all’arresto di Milosevic. Neanche quando un superiore della Polizia Serba ha rilasciato la sua testimonianza all’Aja, un anno dopo, sono state rese pubbliche ulteriori informazioni volte a dissolvere il sospetto che le fosse comuni fossero un’invenzione del nuovo governo ....

Che esista una sorta di patto tra gli “oppositori” di Milosevic e l’ex presidente risulta evidente anche dai semplici resoconti della testimonianza resa al Tribunale dell’Aja dall’ex capo della Sicurezza di Stato Rade Markovic. Si sono tutti stretti in un coro di preghiera di “non ammettere nulla”, vale a dire: di non tradire il capo.
Affascinati dalla fedeltà di Markovic verso Milosevic, i reporter di Vreme e Radio B92 e molti altri non hanno certo sentito il bisogno di chiedere ulteriori spiegazioni sui misteriosi incontri in cui era stato deciso di rimuovere e trasportare in Serbia i corpi degli albanesi uccisi. Tanto meno hanno prestato attenzione al fatto che Markovic ha mentito quando ha detto alla corte che non sapeva nulla dei resti nascosti in fosse comuni poste nei luoghi di addestramento delle unità di Polizia Speciale, di fatto sotto il suo comando diretto. Sono stati fatti i nomi di dozzine di ufficiali di polizia e dell’esercito e di governo durante il processo. Tutti questi oggi vivono in Serbia e Montenegro e sono quindi tranquillamente raggiungibili dai giornalisti, ma nessuno di loro ha fatto alcun tentativo per intervistarli sulla loro partecipazione ai crimini commessi in Kosovo.

Nessuno ha chiesto al generale Lazarevic, l’ex comandante delle unità attive a Pristina, di rendere conto dei 250 albanesi, civili, liquidati nel villaggio di Meja il 27 aprile del 1999, e del trasferimento dei loro corpi nel campo di addestramento di Batajnica, appena fuori Belgrado. Un testimone albanese, ex ufficiale nell’esercito Yugoslavo, ha fornito dettagli orribili sugli episodi avvenuti a Djavoca. Non c’è stata alcuna reazione dei media, che pure si dichiarano impegnati nella ricerca della “verità e responsabilità”.
Invece queste donne odiose continuano a insistere sulla necessità di un dibattito pubblico, e a chiamare in causa quelli che hanno ordinato e commesso quelle atrocità che hanno reso la Serbia il paradiso dei criminali e un cimitero per le loro vittime. Gli sforzi tenaci di queste donne per ricreare un sistema di valori e una società democratica in Serbia e Montenegro hanno guadagnato loro solo violente denunce in un’atmosfera di caccia alle streghe ….
Nonostante abbiano sostenuto lo scontro con l’ex presidente, nessuna di queste donne rivendica per sé alcun riconoscimento per la sua uscita di scena. Semplicemente continuano a svolgere il proprio lavoro, prese tra le nuove autorità, che pretenderebbero di avere una cambiale in bianco per ogni cosa che dicono e fanno, e una società civile emergente impantanata nei giochi di potere tra i vari partiti politici .

A mio avviso, l’atteggiamento primitivo verso le donne in generale e verso queste in particolare scaturisce dalla brutta atmosfera che sembra ormai prevalere in Serbia, in cui le espressioni di odio sono diventate parte di una “normale” modalità di comunicazione. Integrità morale, coerenza e coraggio certo non vengono apprezzati in tale atmosfera. Una continua fabbricazione di bugie e falsificazioni, l’apparizione di “saggi” che sermoneggiano su qualsiasi questione, diffamando chiunque non si allinei, e questa campagna contro le donne impegnate nella tutela dei diritti umani sono oggi ciò che caratterizza i media della Serbia post-Milosevic.

Non ho intenzione di rispondere a commenti e proteste del tipo di quelli avanzati rispetto a Politika per avermi concesso maggiore spazio, rispetto agli altri intervistati, sulla situazione della Serbia sotto il nuovo governo. Sono i classici commenti e proteste che dicono molto di più su chi li fa, che non sui loro bersagli. E tuttavia ho alcune domande per tutti quelli che platealmente non hanno alcun interesse per la dignità umana.

Dove eravate quando i Radicali si scatenavano in Vojvodina, con la benedizione di Milosevic, costringendo i croati locali ad andarsene e trasferendo nelle loro case i profughi serbi espulsi dalla Croazia? Io ero quotidianamente a Hrtkovci, Golubinci, Platicevo. Se davvero eravate contro quell’odiosa forma di fascismo, perché non avete espresso la vostra posizione?

Dove eravate quando i serbi della Slavonia occidentale e della Krajna cominciarono ad arrivare in colonne infinite ai nostri confini? Non ho visto nessuno di voi alla frontiera di Sremska Mitrovica, dove la polizia separava gli uomini e li rimandava indietro. Con un’altra donna, Branka Novakovic, eravamo là con pane e latte, nella speranza almeno di alleviare la fame dei bambini, lamentando l’indifferenza di Belgrado e della Serbia per il destino dei rifugiati. Allora lo slogan era: “il nostro Popolo unito nella nostra Terra” -ve lo ricordate?

Durante la guerra in Bosnia avete mai cercato di varcare il confine tra la Serbia e la Republika Srpska di Bosnia con un musulmano, per aiutarlo a raggiungere la sua casa a Bijeljina o Janja? Ecco, io ci ho provato e ciò che più mi ha ferito è stato scoprire che così pochi a Belgrado sembravano comprendere perché mi stavo esponendo a pericoli e umiliazioni per qualcuno che, già dal nome, si capiva non essere dei nostri. Ebbene, se pensate che invece questa gente valga quanto voi, perché non lo dite oggi, se allora non ne avete avuto il coraggio?

Qualcuno di voi si è chiesto cosa andassi a fare in Kosovo durante i bombardamenti, e cosa stesse accadendo là? Io ho scritto diversi resoconti, ma nessuno di voi ha voluto, o osato, pubblicarli. Uno dei vostri colleghi mi ha confessato di aver pianto leggendoli, aggiungendo che però non poteva pubblicarli perché i censori avrebbero bandito il suo giornale. Bene, qualcuno di questi testi può essere pubblicato oggi? Ma, per favore, basta lacrime.

In conclusione, desidero chiarire che non mi aspetto certo che improvvisamente cominciate ad apprezzare, rispettare e applaudire queste donne, me inclusa. Tutto ciò che chiedo è di smetterla di diffamarci. E non solo per il nostro bene, ma anche per il vostro.
Natasa Kandic, 29 agosto 2002
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