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NATASA KANDIC, QUEI CONVOGLI FRIGO...

una città: 102 marzo 2002
Lo shock della scoperta di 800 corpi di albanesi in fosse comuni alla periferia di Belgrado, ma poi di nuovo il silenzio sulle complicità, corresponsabilità. Un’accettazione passiva del Tribunale dell’Aja, considerato il prezzo da pagare per poter ricevere gli aiuti internazionali. Quando arriveranno in Serbia gli incartamenti dell’Aia cosa faranno i magistrati serbi? La paura delle richieste di risarcimenti. Intervento di Natasa Kandic.

Il Tribunale dell’Aja: prima e dopo
Per un certo tempo, nel periodo seguente il cambio al governo di Serbia e Yugoslavia, i nuovi leader non sono stati disturbati dal Tribunale dell’Aja. La comunità internazionale si è mostrata comprensiva con la spiegazione avanzata, ossia che il Tribunale dell’Aja non poteva essere una priorità nell’immediato, nel senso che non c’era dubbio che la reintegrazione del paese nella comunità internazionale, la riammissione alle Nazioni Unite e nell’Osce avevano la precedenza. E tuttavia, una volta che questo è avvenuto, è riemersa la questione dell’adeguamento della Yugoslavia rispetto ai suoi obblighi.
A livello internazionale, il Tribunale dell’Aja è un obbligo che deve essere assolto, se le autorità di Serbia e Yugoslavia vogliono provare un loro effettivo impegno per un governo democratico, per il ripristino della legalità e la tutela dei diritti umani.
A livello nazionale, invece, viene percepito come una costrizione, una sorta precondizione per accedere agli aiuti economici e per entrare nelle varie organizzazioni intergovernative. Nessuno dei leader di Serbia, Montenegro e Yugoslavia ha infatti ancora detto alla nazione perché il Tribunale dell’Aja sia così importante, né ha spiegato perché le autorità precedenti non hanno voluto la condanna dei leader di Serbia e Yugoslavia, perché Milosevic è stato consegnato al Tribunale dell’Aja.

L’apertura di fosse comuni
e la resa dell’ex presidente iugoslavo
In tali circostanze, la popolazione è rimasta molto colpita dall’ammissione del governo serbo dell’esistenza nel nostro paese di fosse comuni contenenti i resti di kosovari albanesi uccisi durante l’intervento della Nato.
Per la prima volta la gente poteva verificare da sé le prove dei crimini commessi dalle forze serbe, e l’esistenza di quei convogli-frigo pieni di corpi di donne e bambini si è imposta come questione primaria. L’ammissione delle autorità che le fosse, scavate in luoghi a loro noti, contenevano i resti di circa 800 kosovari albanesi è suonata come un’accettazione delle proprie responsabilità.
In questa fase di svolta, poi, la consegna dell’ex presidente iugoslavo Slobodan Milosevic è sembrata confermare che il nuovo governo era pronto a operare una rottura chiara con la politica e le pratiche dei predecessori. Sfortunatamente, purtroppo, il tutto si è rivelato solo pragmatismo al lavoro. Il governo serbo ha comunicato alla popolazione che la consegna di Milosevic era un prerequisito per accedere ai fondi della Conferenza dei donatori e per il sostegno finanziario per il budget dello stato, il welfare, cosicché le fosse comuni sono di nuovo finite nello sfondo, dimenticate sia dalle autorità che dal pubblico.
La riesumazione è avvenuta dietro un muro di reticenze e dopo 8 mesi dal disseppellimento di 350 corpi di kosovari albanesi presso un campo di addestramento della polizia a Batajnica, appena fuori Belgrado, ancora non erano stati resi pubblici i risultati delle indagini. Nessuna domanda in seguito rispetto alle fosse comuni, all’identità delle persone i cui resti erano stati là sepolti, i loro nomi, come sono morti, chi ha dato gli ordini, chi li ha trasportati là, e chi ha occultato le prove.

Autorità e media solleciti
con il presidente incriminato
Con l’annuncio della data del processo, il Tribunale dell’Aja è tornato in prima linea. I membri del governo apertamente, come se si trattasse di un semplice accordo commerciale, hanno fatto sapere che la comunità internazionale, in particolare gli Usa, stavano facendo pressioni affinché si individuassero e consegnassero almeno altri tre o quattro accusati. Dopodiché gli altri potevano essere processati nei tribunali del nostro paese. Il premier ha allora pubblicamente citato Mladic e Karadjic e altri, che avrebbero dovuto consegnarsi volontariamente al Tribunale dell’Aja, così aiutando i serbi a liberarsi del peso della colpa collettiva. Ma anche lui ne ha parlato come si trattasse di qualche provvedimento tecnico, senza addentrarsi nell’essenza della cosa. Nemmeno lui poi, come pure gli altri politici, mostra alcuna intenzione di esprimere una qualche opinione rispetto alle pratiche del regime precedente, dalla Croazia al Kosovo.
Il Tribunale dell’Aja ha incriminato Milosevic e altri responsabili per un’ “impresa criminale congiunta”. Ebbene, invece di avviare un dibattito pubblico e portare davanti alla giustizia gli altri responsabili dei numerosi crimini commessi, le autorità serbe e federali, citando fonti a loro dire attendibili, hanno garantito che il Tribunale dell’Aja non sarebbe veramente interessato ad alcune delle persone incriminate, in particolare a Milan Milutinovic, tuttora presidente della Serbia, spiegando che si trattava di un errore. Grazie a questa sollecitudine di autorità e media, Milutinovic è ancora attivo nelle attività pubbliche come rappresentante della Serbia. Nessuno sembra ricordare Rambouillet e il suo contributo alla campagna aerea della Nato, il discorso con cui lui presumeva che la Yugoslavia avrebbe preferito essere bombardata piuttosto che firmare gli accordi proposti.

Le prove dei crimini in Kosovo messi in dubbio
La decisione della corte di unire i tre capi d’accusa contro Milosevic è stata accolta dalle autorità serbe e federali come una indicazione del fatto che il Tribunale dell’Aja non era preparato nel processo contro Milosevic e che non aveva prove sufficienti rispetto ai crimini commessi in Kosovo. Anche qualche organizzazione non governativa ha assunto questa visione.
Il portavoce della Camera dei Cittadini del parlamento federale, un cosiddetto difensore della democrazia, ha suonato l’allarme, dicendo che quella di difendere l’ex presidente, come pure lo Stato serbo, dalle accuse infondate del Tribunale dell’Aja era una priorità nazionale di massima importanza. Dato che Milosevic non aveva agito da solo e che comunque aveva operato a nome della nazione, non si poteva permettere che fosse condannato per genocidio perché questo avrebbe avuto conseguenze anche sullo Stato e i suoi cittadini. Inoltre molte organizzazioni non governative hanno cominciato a preoccuparsi delle spese di riparazione che la Yugoslavia avrebbe dovuto pagare a Croazia e Bosnia se fosse stato provato il genocidio.
Nessuno ha sentito la necessità di dire che quella riparazione economica significava riparare ai crimini commessi contro i paesi vicini; di ricordare che la Germania per anni ha pagato risarcimenti anche alla Yugoslavia e a altri paesi, e che i governi croato e bosniaco hanno detto apertamente che non avevano alcuna intenzione di ritirare le accuse proprio perché la Serbia stava proteggendo dei criminali di guerra impedendo che fossero portati davanti a un tribunale. Così, invece che rendere pubblici i fatti rispetto ai propri crimini e alle proprie responsabilità, la Serbia sta formando un team per difendere sia gli accusati che lo stato.

La difesa: negare o ammettere i fatti?
Gli accusati, lo stato e i cittadini non possono difendersi mettendo sotto silenzio le vittime esumate dalle fosse comuni, l’esistenza di altre fosse, o proteggendo molti noti criminali di guerra in Serbia e Montenegro. Al contrario, è nello stesso interesse della popolazione di Serbia e Montenegro sapere cosa è avvenuto in Kosovo, in Bosnia e in Croazia. E’ nell’interesse nazionale della Serbia che la sua gente sia consapevole delle gravi violazioni dei diritti umani avvenute nel passato, e questo loro diritto di sapere dovrebbe essere appunto garantito dal nuovo governo, che ha promesso democrazia, legalità, tutela dei diritti umani.
Il processo a Milosevic comincerà col Kosovo. Lui non riconosce il Tribunale, rifiuta di rispondere alle domande e continua a difendersi coi suoi discorsi. Il processo però non sarà “leale” se non verranno condannati anche gli altri accusati assieme a lui. Milosevic non avrebbe potuto pianificare e realizzare ciò che è avvenuto in Kosovo, senza l’ex primo ministro serbo, senza Milan Milutinovic, l’attuale presidente serbo, Vlajko Stoiljkovic, l’ex ministro degli interni, e Dragoljub Ojdanic, l’ex capo dell’esercito, e molti altri, noti e sconosciuti. Lui ha bisogno di aiuto per non essere l’unico responsabile a portare il peso della colpa.
Questo è qualcosa che le centinaia di migliaia di persone che hanno votato Milosevic e sostenuto le sue politiche dovrebbero tenere in considerazione; lo stesso dovrebbe fare l’attuale governo che non lo ha cacciato per i suoi crimini e per dieci anni di guerra, bensì perché stava perdendo quella guerra e quei territori, e perché aveva portato il paese sull’orlo di un collasso economico.

Dopo il Tribunale dell’Aja
All’Aja verranno processati solo gli “architetti” delle politiche e delle pratiche criminali, non quelli che si trovano ai livelli bassi o medi della catena del comando, non i comandanti dei gruppi sorti appositamente a scopi criminali, o i singoli contro i quali sono state raccolte delle prove nel corso di diverse indagini.
Allora dovrà nascere una nuova forma di cooperazione, perché il Tribunale dell’Aja invierà tonnellate di materiale probatorio. Le corti nazionali riceveranno migliaia e migliaia di pagine di documentazione sulle responsabilità criminali di migliaia di persone implicate in tali crimini. E cosa succederà allora? Chi troverà il coraggio e la forza di guardare dentro quei fascicoli sugli ufficiali al comando, sui Berretti Rossi, sulle unità di Polizia Speciale, sulle Forze Speciali dell’esercito iugoslavo, su tutta la varietà di gruppi criminali, e su tutti quegli individui per cui invece violenze e massacri erano una specie di lavoro part-time?
Ecco, perché il Tribunale dell’Aja è importante e la sua efficacia deve essere promossa nei nostri interessi e negli interessi della Serbia. Il Tribunale dell’Aja ha messo fine all’impunità dei crimini di guerra commessi nel conflitto armato nella ex Yugoslavia, e su questo versante è ancora insostituibile. E tuttavia non verrà deciso all’Aja che i processi contro crimini di guerra vengano svolti in Serbia e Montenegro. Questa è una decisione politica che deve essere assunta dalle nostre autorità nazionali. Milosevic non è più sulla scena politica, ma i suoi legami rappresentano ancora un mondo di oscurità abitato da molti che oggi fanno parte dell’élite politica. Sta alle autorità serbe, montenegrine e federali, la decisione di agire. ll Tribunale dell’Aja, da parte sua, si è già impegnato a fornire tutte le opportune misure di protezione contro la falsificazione della storia.

La gente deve sapere
E’ noto che tutte le istituzioni statali operanti durante l’era Milosevic erano complici nel tenerlo al potere, che il vero potere era nelle sue mani, a prescindere dalla sua posizione ufficiale nelle varie fasi, e che lui era sostenuto da un gruppo informale, la cui composizione cambiava a seconda di come riusciva efficacemente e con la massima obbedienza a raggiungere gli scopi e a mettere in atto i piani da lui assegnati.
Il generale Aleksandar Vasiljevic era uno dei membri di questo gruppo, tra gli associati più stretti, quando nel 1991 scoppiò la guerra nella ex Yugoslavia. E’ l’unico a riapparire otto anni dopo, questa volta nel gruppo degli incriminati, con l’accusa, come già accaduto in Croazia e Bosnia, di aver pianificato, preparato e partecipato all’impresa criminale volta a conquistare dei territori da porre sotto il controllo serbo. Durante il conflitto in Kosovo, Milosevic era il presidente della Yugoslavia e il comandante in capo alle forze armate e, sempre legalmente, aveva anche il comando sulla polizia e su tutte le unità armate subordinate all’esercito iugoslavo durante lo stato di guerra.
L’incriminazione di Milosevic rispetto al Kosovo riporta che i documenti di almeno cinque albanesi assassinati in un caffè a Suva Reka il 26 marzo 1999 sono stati trovati tra i resti dei corpi esumati dalle due fosse comuni presso il campo di addestramento di una speciale unità anti-terrorista a Batajnica, vicino a Belgrado.
Allora, la gente deve sapere che, nonostante prove evidenti che anche i resti della famiglia Berisha siano stati trovati in quelle fosse comuni, l’ufficio del pubblico ministero non ha intrapreso alcuna azione per chiarire chi avesse ucciso gli oltre 40 membri di quella famiglia, soprattutto donne e bambini, e chi avesse ordinato che il crimine fosse occultato trasferendo i corpi in Serbia.
Eppure un’indagine era necessaria, se non altro perché alcuni sopravvissuti al massacro avevano testimoniato di aver riconosciuto un ispettore del servizio di Sicurezza di Stato tra gli assassini. Quell’ispettore oggi vive a Kragujevac, nel cuore della Serbia: un uomo libero.
Sempre secondo l’accusa per i crimini commessi in Kosovo, i documenti di almeno sette uomini, visti l’ultima volta nel villaggio di Meje in Kosovo il 27 aprile 1999, sono stati trovati nelle fosse comuni di Batajnica. Anche in questo caso la gente dovrebbe sapere che il pubblico ministero non si è ancora mosso per individuare i responsabili dell’assassinio di circa 300 persone a Meje, vicino a Djakovica.
Questi uomini erano stati prelevati da una colonna di albanesi fatti evacuare da 20 villaggi albanesi; erano stati tutti cacciati dalle loro case dalle forze di sicurezza serbe e stavano fuggendo alla volta dell’Albania.
Le agenzie governative serbe conoscono l’identità di chi ha ucciso Fehmi Agani, un noto politico kosovaro, durante il bombardamento della Nato. Si sa che il giudice Danica Marinkovic ha fatto condurre delle indagini su tre poliziotti di Kosovo Polje e che poi li ha rilasciati. Agani è stato ucciso in presenza del capo della polizia di Kosovo Polje.
Il nostro Ministero degli Interni ha raccolto dati su chi ha ordinato e realizzato l’assassinio di tre albanesi, i fratelli Bitiqi, l’8 luglio 1999, dopo che erano stati prelevati dalla prigione di Prokuplje in Serbia. I resti dei Bitiqi sono stati trovati in una fossa comune presso il campo di addestramento dell’Unità anti-terrorista di Petrovo Selo, nella Serbia orientale. Ma ad oggi non è ancora stata avviata alcuna indagine su queste persone.
Natasa Kandic, febbraio 2001
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