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Dedicato ad Anna Segre: GEOGRAFIA, SOCIETA', POLITICA - L'introduzione di Giovanna Di Meglio

4.4.2007, Franco Angeli Editore
Introdurre il lettore ai contenuti delle relazioni in memoria di Anna è per me un compito ingrato e complesso, che implica una mediazione non invasiva tra quello che io conoscevo di Anna e quello che emerge dagli scritti in suo ricordo.
Se, come afferma Sergio Conti nel suo contributo, è imbarazzante scrivere in
modo razionale di un argomento quando questo mette al centro una persona con
cui abbiamo condiviso momenti indelebili della nostra vita, si può capire quanto
sia emotivamente faticosa l’opera di destrutturazione e strutturazione dei pensieri
altrui in un unico documento di testimonianza, in cui siano presenti anche
momenti vissuti personalmente. Leggere e rileggere per ricomporre apre continuamente
ferite che alla fine spossano.
Questo è appunto il mio caso: Anna stessa, in una lettera che mi scrisse ragionando
della malattia che la stava inducendo ad «apprezzare una volta di più»
la nostra amicizia, volle ricordare che «giorno più, giorno meno, sono trent’anni
che ci conosciamo e ci stimiamo e apprezziamo. Non sono pochi, quasi nessuno
del nostro dipartimento può vantare lo stesso record, soprattutto di stima ininterrotta.
Ricordo benissimo...».
Anna proseguiva in un tono molto intimo, che non posso che serbare nella
memoria privata del nostro rapporto; quei trenta anni e più di vita e lavoro in
comune hanno lasciato tracce per me preziose in termini umani e professionali.
Accenno in particolare a due esperienze: la ricerca degli anni ’90 su genere e
sviluppo (di cui parlo nel mio contributo con Angela Calvo nella parte terza di
questo volume) e la redazione dell’Atlante dell’Ambiente in Piemonte (Segre,
2003b). In entrambi i casi è stato decisivo ragionare insieme su come tradurre in
rappresentazione cartografica ipotesi di lettura di realtà complesse, non soltanto
come descrizione da specifici punti di vista, ma come spunto per ulteriori analisi
e approfondimenti. Nella “Premessa” all’Atlante Anna scriveva: «Sappiamo
[...] che la carta tematica è molto più soggettiva di una carta topografica: la
scelta dei dati da rappresentare e le modalità di rappresentazione dipendono da
scelte dell’autore che, a loro volta, discendono dai suoi giudizi di valore e dalle
sue capacità tecniche di trasformare i dati in immagini. Non è un passaggio
semplice [...]: fare cartografia non significa solo proiettare dei dati statistici su
una base georeferenziata, ma avere un progetto del fenomeno che si vuole rappresentare
e delle sue ipotesi di lettura» (Segre, 2003b).
Anna se n’è andata, e non lentamente. Sembra paradossale la negazione di
quell’avverbio per chi, come lei, era impegnata a sostenere una lotta quotidiana
con una malattia che, dall’esterno, dà l’impressione di consumarti giorno per
giorno, svuotandoti di ogni ragione per continuare a fare; semplicemente fare,
senza coltivare chissà quali progetti.
Tuttavia, Anna a un certo punto decise non solo di non arrendersi all’idea di
una fine inevitabile, ma di voler condurre una vita normale nonostante tutto.
Nell’ultimo periodo della sua malattia Anna, per sua stessa ammissione, raggiunse
la consapevolezza che la sua speranza di vita in fondo non era differente
da quella di tanti altri. L’inaspettata scomparsa di persone a lei care e la constatazione
che le conoscenze e le capacità odierne di cura del cancro permettono in
molti casi di allungare la vita del malato, contribuirono a farle vedere la possibilità
di affrontare in modo diverso la malattia.
Un suo articolo comparso nel mensile culturale Una città si intitola significativamente
“La difesa della normalità” (Segre, 2003a). Niente eroismi, appunto,
ma semplicemente la rivendicazione di una vita vissuta, nei suoi gesti quotidiani
e nei progetti: un viaggio, un corso, la partecipazione a un convegno, un
libro. Può sembrare strano ma è proprio la volontà progettuale a connotare come
normale una situazione che normale non è. Vivere il quotidiano, nelle sue ripetizioni,
può anche essere una dichiarazione di resa, avere il sapore amaro dell’attimo
afferrato e divorato prima che scorra, perché altro non è permesso. Il
progetto rompe il vivere alla giornata che sa di sconfitta e ti proietta in una
dimensione che sia fatta anche soltanto di normali aspettative.
Naturalmente Anna non perdeva di vista la gravità della malattia, viveva col
suo costante pensiero, provava paure deprimenti. Sapeva che le scadenze per lei
erano più pressanti, i tempi dei progetti erano diversi rispetto al periodo in cui
non era malata: «[…] io vivo più di altri con l’idea delle scadenze, ho più difficoltà
a fare programmi, non posso dire: “l’anno prossimo farò un viaggio in
Australia” […] però due settimane prima, se sto bene, mi organizzo il mio viaggio
in Australia» (Segre, 2003a, p. 13).
La sua ultima fatica scientifica, l’Atlante dell’Ambiente in Piemonte, in cui
confluivano la sua passione di studiosa di geografia e la passione politica militante,
fu portata a termine con l’angoscia di non riuscire a vederla ultimata,
sottolinea nel suo contributo Valter Giuliano nelle sue lettere rievocative e allo
stesso tempo augurali di un incontro futuro. Eppure anche in quel libro, sia nella
prefazione, laddove la necessità di chiudere scaturisce dall’argomento, in continua
evoluzione, che rischierebbe altrimenti di essere infinito e non approdare a
nulla, sia alla fine, il pensiero di Anna corre al dopo, alla tanta strada che rimane
da percorrere. Sembra che in questo sguardo oltre l’oggi Anna abbia trovato la
forza di concludere l’Atlante e il suo sogno (il disegno di copertina si intitola
significativamente Il sogno di Anna) è forse stato quello di rendere un servizio a
chi rimaneva. L’Atlante è stato il naturale epilogo della sua appassionata difesa
dell’ambiente svolta in seno al gruppo dei Verdi nel Consiglio Regionale, per la
sua idea di politica come servizio, maturata ai tempi in cui militava in Lotta
continua, scrive Anna Bravo nel suo articolo.
La politica, intesa come azione nel quotidiano, la ricerca, la didattica sono
momenti della vita di Anna che muovono nella stessa direzione, traendo linfa
vitale l’uno dall’altro e influenzandosi reciprocamente, in uno sforzo di necessaria
coerenza. Ce lo dicono negli articoli che seguono Attilia Peano, il Direttore
del Dipartimento Interateneo Territorio a cui Anna afferiva; Giuseppe
Dematteis, suo maestro e amico; Sergio Conti, con cui condivise, nella stessa
stanza, ricerche negli anni in cui la società era in fermento e ci si apriva a nuove
speranze; Egidio Dansero, allievo e coautore in diverse ricerche.
Anna viveva le esperienze in quei tre campi mettendosi in gioco totalmente,
nella propria individualità e specificità, esponendo il proprio mondo interiore
alla ricerca anche di un equilibrio tra le parti.
In tal senso va vista anche la pubblicazione di Venti mesi, il diario scritto dal
padre Renzo durante le persecuzioni ebree sulle vicissitudini (durate appunto
venti mesi e di cui rende testimonianza in questo libro Piero Angela), attraverso
le quali passarono indenni, per quanto si possa dopo una simile esperienza, egli
e la moglie Nella, grazie al prodigarsi del dottor Carlo Angela (Segre, 1995).
Il volume nasce dopo una riflessione, durata venti anni, sull’opportunità di
pubblicarlo, di mettere in mostra una parte del proprio privato. Le spinte e le
motivazioni date dalle amiche e dagli amici “qualificati” svolsero sicuramente
un ruolo importante, ma forse (come Anna stessa scrisse nella “Premessa”) fu
determinante la volontà politica, come servizio alla memoria e alla giustizia, di
testimoniare in questi «tempi che stiamo vivendo, densi nuovamente di tanti
episodi che troppo bene si ricollegano all’angoscia degli anni delle persecuzioni
contro gli ebrei» una «goccia di conoscenza» che variegasse il mondo delle
interpretazioni dei fatti di quegli anni atroci, attenuando la genericità di alcune
definizioni (Segre, 1995, p. 26). Ma lo fu anche il desiderio di far riconoscere il
valore di un uomo quale fu Carlo Angela, che tanto aveva fatto per molte donne
e molti uomini, non solo per suo padre e sua madre. Di qui l’impegno per farlo
annoverare tra i Giusti fra le nazioni.
Anna era attenta a scoprire la specificità delle storie personali, all’interno
delle “grandi narrazioni”, come prova la sua attività alla Fondazione Langer, di
cui ci parla Edi Rabini, con l’assegnazione di premi a uomini e donne la cui vita
è un intreccio tra privato, pubblico e lotte quotidiane. E come non ricordare e
non inquadrare nella stessa ottica, nei suoi studi di geografia, la ricerca sulle
mappe mentali, argomento di tanti suoi seminari didattici.
Infine, anche il suo modo di vivere la religione evitava le banalizzazioni
dell’appartenenza al gruppo e seppur si riconosceva in esso, rivendicava uno
spazio in cui curare le proprie differenze.
Anna se n’è andata, e non dolcemente. Perché non si può affrontare il cancro
con dolcezza, perché era mutevole con chi le stava intorno, con quelli, almeno,
che sono rimasti, per sua o loro scelta. Gli amici che dovevano condividere
qualche momento della sua malattia (questo chiedeva e non sterili compatimenti),
aveva voluto sceglierli secondo quanto potevano darle. Può sembrare un
atteggiamento egoista e forse lo è, ma scriveva questo nello stesso articolo (“La
difesa della normalità”) in cui rendeva conto apertamente delle acquisizioni
sulla malattia alle quali era arrivata, sperando di far cosa utile agli altri che
soffrivano e soffrono dello stesso male, indicando una via personale per affrontare
il cancro dalla quale altri potevano e possano trarre spunto.
Non era assolutamente sua intenzione proporre una soluzione universale.
Come hanno scritto in questo volume coloro che la conoscevano bene, Anna
evitava le generalizzazioni. Ne è una conferma anche quanto scrive sui volontari
che assistono i malati di cancro: a lei non davano sollievo e li eludeva ma non
per questo li considerava inutili per tutti, anzi capiva che poteva essere l’unico
contatto per persone del tutto sole. Auspicava però che anche loro venissero
informati su quello che vivono e pensano i malati di cancro per essere in grado
di dialogare meglio con i pazienti durante le ore di attesa per la terapia.
Insegnare affinché dalla conoscenza si impari a fare meglio e facendo si
impari ancora per trasmettere conoscenza è la lezione che Anna ci ha lasciato,
da ricordare in tutte le situazioni della vita.

Riferimenti bibliografici
Segre Anna, (2003a), “La difesa della normalità”, Una città, anno XIII, n. 117,
novembre-dicembre, pp. 12-13.
Segre Anna (a cura di) (2003b), Atlante dell’Ambiente in Piemonte, Consiglio
regionale del Piemonte, Editrice Artistica Piemontese, Savigliano.
Segre Renzo, (1995), Venti mesi, Sellerio, Palermo.

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