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Ci chiamavano "sradicatori"
19.7.1997, di Khalida Messaoudi
Signor sindaco di Città di Castello, signor sindaco di Tuzla, cari amici dell'associazione Pro Europa, cari amici qui presenti, italiani bosniaci e di altre nazionalità: un caro saluto a voi tutti. E permettetemi di salutare anche le mie sorelle e i miei fratelli algerini. Ringrazio infinitamente l'associazione Pro Europa per avermi conferito il premio Alexander Langer, ringrazio il Comitato di garanzia per aver accettato all'unanimità di conferirmelo e per aver affidato la laudatio al sindaco di Tuzla Selim Beslagic, perché come algerina e come erede della cultura del mio paese, ho un'immensa ammirazione per il sindaco di Tuzla: perché il sindaco di Tuzla, quando la Bosnia soffriva, non la ha abbandonata. E il suo esempio permette a me, ma anche a tutte le donne democratiche e a tutti gli uomini democratici nel mio paese: ci permette di andare avanti e di dirci che abbiamo ragione, che non siamo dei folli e che se amare il proprio paese, amare il proprio popolo e volere la democrazia e la libertà per il proprio paese è una pazzia, allora sì, siamo pazzi, se essere pazzi significa essere come Selim allora sì, sono anch'io una pazza. Tengo a sottolineare la fortuna che mi è concessa di poter beneficiare del percorso e della lotta di Alexander Langer. Lo dico a nome mio e a nome di tutte le donne e di tutti gli uomini che si battono nel mio paese per la libertà e per la democrazia, lo dico alla sua compagna, lo dico al suo popolo: grazie Alexander Langer di essere esistito, anche per noi algerini.Tengo a dirvi la verità, perché nelle situazioni estreme come quella che vive il mio paese, la verità diventa la cosa più importante: la verità è che l'associazione Pro Europa e il Comitato di garanzia si assumono un rischio incredibile conferendo un premio a Khalida Messaoudi. Non parlo del rischio di morte, non parlo del rischio di essere imprigionati: ma c'è un altro rischio intorno all'Algeria, il rischio che si trova al cuore della guerra delle parole. Le parole portano una responsabilità, le parole possono uccidere, simbolicamente ma possono uccidere. Quello che fa male a noi algerini, non è che non si parli di noi, no: ciò che ci fa male è essere disprezzati, e cos'è il disprezzo se non prendere un popolo e inventargli una realtà tramite le parole? Quando leggiamo sui giornali stranieri o guardiamo alle televisioni straniere degli schemi semplificatori applicati all'Algeria: è questo che ci fa male. E perché dico che l'associazione Pro Europa e il Comitato di garanzia si assumono un rischio? Perché esiste uno schema, molto diffuso, che spiega che in Algeria da una parte c'è il potere militare e dall'altra ci sono gli islamisti: e il popolo algerino è da inserire o in una casella o nell'altra. Le persone come me, che non sono né integraliste né militari, ma che sono militanti della causa democratica, questo schema le ha condannate in una casella con un nome odioso: ci chiamano gli sradicatori. E quando, all'interno di questo schema, ci si pone la domanda: chi sono questi sradicatori? la risposta è: ma sono degli agenti dei militari! Cari amici, questa semplificazione tramite le parole è una vera e propria guerra condotta con le parole. Non possiamo impedirla, ma ciò che possiamo fare -che io faccio e che mi impegno qui davanti a voi a fare- è di non permetterci mai e poi mai di semplificare la realtà di un altro popolo, mai e poi mai di affibbiare delle etichette a dei popoli. Potete indovinarlo da soli: l'Algeria è molto più ricca, molto più bella, molto meno triste di questo schema riduttivo, molto meno razzista di questo schema razzista.
(dal discorso tenuto in occasione della cerimonia di 'assegnazione ufficiale del premio, Città di Castello, Perugia, 19 ottobre 1997)