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Khalida Toumi Messaoudi: un corpo a corpo con l'integralismo

25.8.2004, Il Manifesto. Int di Benedetta Mincarini e Alberto Ostini
L'Algeria di ieri e l'Algeria di oggi dopo la fine dello stato di emergenza. Una realtà sospesa tra modernizzazione e fondamentalismo islamico nello sguardo partigiano di una donna La lunga battaglia contro il tentativo di «islamizzare» il paese in nome della differenza sessuale. Ma anche la denuncia della politica «neocoloniale» degli Usa nei confronti del mondo arabo

Khalida Toumi Messaoudi è una donna che viene dall'Algeria. E' cresciuta in
un paese che aveva conosciuto da poco l'indipendenza dalla Francia,
respirando l'aria elettrizzante dei primi anni della decolonizzazione, ma ha
conosciuto anche il clima stagnante seguito alla crisi e all'implosione dei
movimenti di liberazione nazionale. Come molte donne della sua generazione
ha partecipato da sempre alla vita pubblica algerina. Laureata alla Scuola
Normale Superiore di Algeri, è stata tra i fondatori, nel 1985, della Lega
Algerina per i diritti umani in polemica con il regime del «Fronte nazionale
di liberazione», sicuramente modernizzatore della società, ma poco attento
ai temi delle libertà civili e di parola. La vittoria del Fronte islamico
nelle elezioni del 1991 terremota però la società algerina e Khalida
Messaoudi prende più volte posizione contro il tentativo di «islamizzare»
l'Algeria. Per i suoi interventi, sarà condannata a morte dai
fondamentalisti e subirà due attentati. Con l'elezione di Abdelaziz
Bouteflika a presidente della repubblica, l'Algeria sta conoscendo un
periodo difficile. Dopo quasi un decennio di guerra civile, il paese sembra
a un punto di svolta, dove le istanze di una democrazia reale sembrano avere
molto ascolto nel personale politico uscito vittorioso dalle ultime tornate
elettorali. E non è un caso che Khalida Toumi Messaoudi sia stata chiamata a
dirigere il ministero della cultura. La sua attività politica si è comunque
alternata con l'attività saggistica caratterizzata da un punto di vista
«particolare», quello di una donna che denuncia la convergenza
dell'integralismo e dei «modernizzatori» nel relegare in una posizione di
subalternità le donne. Recentemente Khalida Messaoudi è stata in Italia per
ricevere a Gemona del Friuli il «XV Gamajun International Award»,
nell'ambito dei lavori del Laboratorio Internazionale della comunicazione,
dedicato quest'anno alla figura della donna.

In occasione del suo incontro con oltre cento giovani studiosi provenienti
da trentasei diverse nazioni che partecipano ogni anno al Laboratorio, nato
dall'intesa tra la Cattolica di Milano e l'università di Udine, l'abbiamo
incontrata.

Lei ha vissuto i momenti più bui della recente storia algerina. Possiamo
ripercorre brevemente con lei questi anni?

Alla fine degli anni Ottanta, il partito più forte era quello integralista
islamico, esattamente come il partito nazionalsocialista in Germania negli
anni Trenta. Nel 1991 ci sono state le elezione, che sono state infatti
vinte dal «Fronte Islamico di Salvezza». Ma il Fis che ha vinto le elezioni
nel '91 faceva parte di quella galassia «islamista» che riceva denaro dalla
Cia e che era addestrata militarmente dagli americani in Sudan, Libano,
Afghanistan. In Dollari per il terrore il giornalista Richard Labévière ha
seguito le tracce del denaro che arrivava da paesi ricchi per finanziare il
terrorismo fondamentalista. Ha scoperto che i conti bancari a cui
attingevano i gruppi fondamentalisti si trovavano in paesi come Svizzera,
Inghilterra, Stati Uniti, Arabia Saudita, non certo in paesi come l'Algeria.
In quell'epoca, il problema principale per la della Cia non era Bin Laden -
che era lui stesso nel libro paga del servizio segreto statunitense - ma
l'Unione Sovietica e gli interessi petroliferi nella zona dell'Asia
Centrale.

Con la vittoria del Fis - una vittoria «democratica» come quella del partito
nazionalsocialista in Germania - i movimenti democratici e femministi,
proprio sulla scorta dell'esperienza storica hitleriana, si sono chiesti
«che fare?». Rispettare la democrazia formale e accettare che un partito
fascista prendesse il potere, pur sapendo che cosa avrebbe fatto visto che
il suo programma era chiarissimo?

Il Fis aveva detto: siamo pronti a ripulire l'Algeria da tre milioni di
persone «impure», vale a dire donne, poeti, intellettuali... Il nostro
problema era dunque: lasciar fare questi «nazisti» algerini, oppure non
rispettare la democrazia formale e scioccare il mondo occidentale per
fermare il massacro? Abbiamo scelto la seconda soluzione.

Abbiamo fatto quindi la scelta di arrestare un processo di fascistizzazione
teocratica per mettere al suo posto una democrazia nella cui costituzione ci
siano dei paletti. Una costituzione in cui è sì prevista una grande libertà,
ma che proibisce di svolgere una campagna elettorale minacciando le libertà
fondamentali e i diritti dell'uomo.

Quali sono i pilastri su cui poggia il «nuovo corso» algerino?

La democrazia si regge innanzitutto sulla riforma del sistema giudiziario e
di quello educativo, perché la scuola è il luogo dell'integrazione
repubblicana. È la scuola che prepara i cittadini alla democrazia e non alla
dittatura. Inoltre la democrazia algerina, grazie alla revisione della legge
elettorale, impedisce di fare brogli. E' un processo contraddittorio e le
resistenza a una democratizzazione della società algerina è molto forte. E
tuttavia mi sembra un processo difficile da arrestare. Faccio un esempio:
mercoledì 18 agosto, dopo sette ore discussione, il governo ha promosso un
progetto che rappresenterà una vera rivoluzione per le donne algerine. Si
tratta della revisione del «Codice di Famiglia», che per vent'anni ha
confinato la donna in un ruolo di «minore a vita», completamente sottomessa
al volere maschile. D'ora in poi la parità fra i sessi è stabilita per
legge. Il matrimonio diventa infatti un contratto paritario. Le donne
potranno sposarsi liberamente al raggiungimento del diciannovesimo anno di
età, facendo prevalere le sue ragioni, dalla propria volontà di continuare
gli studi a quella di lavorare, fino al rifiuto della poligamia. In caso di
divorzio, poi, la tutela dei figli potrà essere affidata alla madre e il
padre dovrà provvedere al loro mantenimento. Per le donne algerine questa
riforma rappresenta una svolta impensabile solo fino a qualche anno fa. Ma
non dimentichiamo che ci sono voluti vent'anni di mobilitazione per giungere
a questo risultato.

Durante questi vent'anni lei è stata costretta a vivere a lungo in stato di
semiclandestinità a causa della condanna a morte pronunciata contro di lei
dai fondamentalisti islamici, sfuggendo anche a due attentati. Non ha mai
pensato di abbandonare l'Algeria?

No. Ho due fratelli che vivono all'estero. Entrambi, dopo le minacce di
morte da parte fondamentalisti, mi ripetevano i loro inviti a raggiungerli.
Ma per me era impossibile abbandonare Algeri. Naturalmente avevo paura di
essere uccisa. Ma, come dicevo ai miei fratelli, preferivo il sentimento
della paura a quello della vergogna: la vergogna che avrei visto negli occhi
di mia madre e delle compagne che erano con me.

Posso capire che un artista o un intellettuale parta, ma sono cresciuta
ascoltando e parlando con le donne che hanno combattuto per la liberazione
dell'Algeria dal colonialismo, quelle donne che Gillo Pontecorvo ritrae
splendidamente in La battaglia di Algeri. No, non ho mai pensato di lasciare
il mio paese. La storia moderna degli algerini è la storia di una
colonizzazione e della liberazione dalla colonizzazione. Per me rimanere è
stata una scelta etica, di continuità con quella storia di liberazione dalla
colonizzazione.

Un colonialismo che assume oggi forme diverse, ma certo non è scomparso.
Pensiamo all'Iraq, ma non solo...

Io, da algerina, non posso nemmeno lontanamente accettare che L'Iraq venga
colonizzato, così come non posso sopportare che i palestinesi vengano
trattati così come sono trattati oggi. Non perché sono arabi come me, no. Ma
perché io non posso più accettare alcuna forma di colonizzazione. Ciò che
sta avvenendo in Iraq è un tentativo di colonizzazione tra i più scandalosi
che si siano mai visti e che avviene con una grande parte di responsabilità
della comunità internazionale. Ma il popolo iracheno si libererà. Oggi,
domani, dopodomani, tra vent'anni... ma succederà. Il mio popolo è stato
colonizzato per centotrentadue anni, ma alla fine si è liberato. I francesi
erano convinti che sarebbero rimasti per l'eternità. Bene, se ne sono
andati. Sarà lo stesso per l'Iraq.

Quello dei rapporti tra Islam e terrorismo è un terreno delicato e cruciale.
Lei, musulmana e insieme nel mirino degli integralisti islamici, come vive
quella che appare come una semplicistica sovrapposizione?

Durante gli incontri di questi giorni ho spesso detto ai giovani che
partecipano al laboratorio di venire ad Algeri a conoscere i giovani
algerini, che parlano come loro, che ricavano le loro informazioni
attraverso internet, che ascoltano più o meno la stessa musica. I giovani
musulmani hanno gli stessi sogni dei giovani di tutto il mondo: di essere
informati, di viaggiare, di incontrarsi. Di vivere una vita felice.
Naturalmente c'è una differenza: sono musulmani, di religione e di cultura.

Vorrei però precisare che il fondamentalismo non è esclusivamente musulmano:
c'è quello cristiano, ebraico, indù. Per quanto riguarda l'Algeria e il
mondo arabo bisogna però parlare di integralismo islamista e non islamico.
La differenza è sostanziale: un musulmano è una persona come me e voi, solo
di cultura e religione islamica. Viceversa, un militante fondamentalista è
un militante politico. Ripeto: né culturale, né religioso, bensì politico
con una strategia e degli obiettivi esclusivamente politici, uno che
utilizza l'Islam come una giustificazione per un progetto politico. Faccio
un esempio: un fondamentalista dice che è proibita la convivenza tra uomo e
donna. Ma qual è la vera ragione politica di ciò? Un integralista certo non
dice questo perché è più musulmano di me. Affatto. Lo afferma perché sa che
il meticciato è la via della diversità, dell'alterità. E cosa sono la
diversità e l'alterità? Sono le compagne fedeli della democrazia. Senza
differenza non c'è democrazia. E i militanti integralisti sono
antidemocratici, uccidono alla base la democrazia eliminando tutte le
differenze: quella di colore, di nazionalità, di religione. Maschererano
questo progetto politico antidemocratico con la scusa dei pericoli della
promiscuità sessuale. Ma la religione musulmana non dice affatto questo: non
c'è niente di più tollerante della religione musulmana. Il profeta Maometto
ha donato il messaggio che veniva da Dio a una donna, a sua moglie Khadigia!
La prima persona scelta per raccontare i versetti che cadevano su di lui non
è stata presa tra i suoi amici maschi o i suoi parenti maschi. La scelta è
caduta su sua moglie. Ed è stata un'altra donna, non un maschio a custodire
il Corano. Il profeta a non ha mai avuto alcun problema con le donne, sono i
fondamentalisti politici che ne hanno.

In conclusione: l'Islam è una religione, una cultura. Affermare che l'Islam
e il terrorismo sono uguali, è come affermare che la colonizzazione e il
cristianesimo sono la stessa cosa, che il massacro dei bambini a Baghdad e
la religione cristiana sono la stessa cosa. Noi sappiamo che c'è una
differenza tra la religione e le strategie di gruppi di potere che
utilizzano la religione a fini politici.

Quando Hitler ha sterminato sei milioni di ebrei si è forse detto che la
cristianesimo era responsabile? Erano Hitler e il nazismo i responsabili,
non la religione cristiana. Se Al Qaeda fa degli attentati a New York, la
responsabilità non è dell'Islam ma di un movimento politico il cui leader è
stato formato dalla Cia.




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