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Khalida Messaoudi: ce la faremo di nuovo

1.10.1997, UNA CITTÀ n. 62 / Ottobre 1997
La tremenda violenza islamista che si abbatte su donne, bambini, anziani indifesi ha ormai come unico scopo quello di far accreditare gli islamici, ormai completamente isolati, come interlocutori internazionali.

La responsabilità dei cosiddetti specialisti occidentali, fautori da sempre del negoziato con gli islamo-fascisti del Fis che vogliono instaurare, contro le donne innanzitutto, la "dittatura sulla vita quotidiana". Intervista a Khalida Messaoudi.

Khalida Messaoudi, protagonista storica del movimento femminista in Algeria, è stata eletta deputata alle elezioni legislative del 5 giugno scorso nelle liste del "Rassemblement pour la culture et la démocratie" (Rcd), partito che si batte per uno stato laico e per uguali diritti per uomini e donne. Condannata a morte dagli islamisti nel 1993, vive da allora in semi-clandestinità nel suo paese. Autrice del libro-intervista "Una donna in piedi", una testimonianza personale con una lettura degli ultimi decenni della storia d’Algeria.

Come spieghi la recrudescenza dei massacri? Molti commentatori vedono in questo un segno di debolezza del potere militare e una conferma della necessità di riformulare delle proposte di negoziato, casomai sotto l’egida di un qualche intervento internazionale. Tu cosa ne pensi?
Io penso molto francamente che la recrudescenza dei massacri sia connessa con la loro spettacolarità e che questo serva agli islamisti per far parlare di sé. E dove vogliono far parlare di sé? All’estero. Sono persuasa che gli islamisti non possono più convincere nessuno all’interno dell’Algeria, nessuno più crede al Fis (Fronte Islamico di Salvezza, Ndr). Abassi Madani è stato liberato e, contrariamente a quello che racconta Le Monde che mente, non c’è stata alcuna manifestazione né festa popolare per la sua liberazione, niente. La sola cosa che abbiamo visto è stata una madre di famiglia che voleva uccidere Abassi Madani con le sue mani, perché ha perso dei figli, e non perché i suoi figli fossero stati uccisi dal Fis, ma perché erano entrati a far parte dei gruppi islamici armati e per questo sono morti. E Abassi Madani ha capito molto bene che non poteva nulla dall’interno dell’Algeria, non esiste più, i massacri perpetrati dai gruppi islamici armati hanno fatto sì che gli algerini ne abbiano un rigetto totale. Dunque la sola carta che resta al Fis è la scena internazionale, mobilitare l’opinione internazionale.
A mio avviso questa recrudescenza del terrore non è un segno di debolezza del potere. Bisogna essere ben consapevoli che è un potere con molto denaro e molti mezzi, che alle ultime legislative è arrivato ad organizzare brogli davanti a tutti gli osservatori internazionali, con tutte le grandi ambasciate che si sono rese complici con il loro silenzio. Un potere, dunque, che grazie al suo gas e al suo petrolio riesce a convincere tutti e, quando serve, ad organizzare il silenzio. La vera debolezza del potere sta altrove: consiste nel non avere alcun progetto di società, nel non aver alcuna alternativa da offrire agli algerini. La sola preoccupazione del potere è di durare per utilizzare la rendita petrolifera, è il suo solo progetto. Al limite, il terrore islamista può andare nel senso degli interessi del potere come strumento di repressione della contestazione sociale e dell’opposizione democratica.
Al contrario, la recrudescenza dei massacri, per paradossale che questo possa sembrare, significa la debolezza del Fis che non esiste più politicamente in Algeria. Il suo capo storico Abassi Madani è oggi incapace di convincere chicchessia. Come dicevo, non avendo più carte da giocare all’interno dell’Algeria, è stato obbligato a giocare la carta esterna. E l’ha giocata infatti, alla fine di agosto, dopo il massacro di Rais, prima di essere posto agli arresti domiciliari, quando si è rivolto all’Onu e alla stampa internazionale offrendosi di lanciare un appello per la pace e per fermare i massacri in cambio del negoziato, sottintendendo così un suo potere nel fermare gli eccidi. E’ stata una chiara ammissione di corresponsabilità.
Rispetto, infine, alla questione di un eventuale intervento internazionale, c’è una cosa che non va mai dimenticata: l’Algeria ha vissuto una guerra di liberazione nazionale terribile, contro un colonizzatore potente, la Francia. E per gli algerini, per qualunque algerino, che viva in città, in campagna, che sia del nord, del sud, dell’est o dell’ovest, un intervento esterno è sentito immediatamente come colonizzazione, li riporta ad una storia che è ancora molto recente.
E’ da poco che la Francia se n’è andata, 35 anni; cosa sono 35 anni nella storia di un popolo? E coloro che cercano di cambiare le cose all’interno dell’Algeria tramite delle pressioni e delle conferenze internazionali, in fondo disprezzano gli algerini, perché significa che vogliono imporre agli algerini dei cambiamenti senza la loro volontà, senza tener conto della loro storia e di quello che sono. E’ così: non è possibile fare la felicità degli algerini senza che loro lo vogliano. Voler fare la felicità delle persone senza di loro è molto sospetto, è malsano, è pericoloso.
Come mai, allora, Madani trova ancora degli interlocutori all’estero? Come spieghi che gran parte degli esperti europei tenda a rivalorizzare il Fis per arrivare a una soluzione? Poi è uscito questo editoriale di Bruno Etienne su Le Monde in settembre, poi ripreso anche da tutti i giornali internazionali, in cui tre massacri su quattro venivano attribuiti al regime…
Voglio essere molto franca. Ricordo bene che questi signori, i Bruno Etienne e compagnia, a un dato momento sostenevano che il Fis avrebbe preso il potere in Algeria, invece il Fis non ha preso il potere in Algeria, dirò di più: il Fis non prenderà mai il potere in Algeria, perché i giochi non possono essere fatti senza gli algerini e le algerine, indipendentemente da quello che può pensare di noi il signor Bruno Etienne. Questo signore è stato consigliere del ministro dell’interno Medeghri durante gli anni della giunta militare di Boumediène, che non erano anni facili in Algeria, uno scrittore algerino conosciuto internazionalmente, Rachid Boudjedra, è stato arrestato e torturato all’epoca in cui il signor Bruno Etienne era consigliere del nostro ministro degli interni, dunque francamente non mi disturba che Bruno Etienne conduca i suoi studi, può fare i suoi studi come crede, può delirare sull’Algeria come vuole, semplicemente io sono una militante e trovo inammissibile, fintanto che vivrò, che i deliri del signor Bruno Etienne si applichino nel mio paese mentre lui, e quelli che pontificano come lui, vivono tranquillamente a casa loro. Non posso rispondere che così, quello che oggi dicono per l’Algeria non è nuovo, è stato detto per altre situazioni storiche in altri paesi. Mi piacerebbe molto leggere ciò che queste persone hanno detto quando Pol Pot ha preso il potere in Cambogia, e cosa hanno detto quando quella di Pol Pot si è rivelata un’esperienza tremenda. Pensiamo alla Bosnia. Mi ricordo quando gli specialisti dicevano che ci voleva un negoziato. Ci sono stati dei negoziati, ma la morte continuava. E quando è cessata? Non sono bastati i negoziati, è stato necessario che gli americani arrivassero con il loro esercito per dire: adesso basta! Voglio dire che non ho ancora capito quale sia l’interesse di queste persone nel persistere a mentire negando la storia. Naturalmente io sono contro la guerra, del resto chi può essere contro la pace? Chi, a parte i gruppi islamici armati? Io dico che gli unici capaci oggi di fare la pace sono quelli che uccidono, sono i gruppi islamici armati qualora smettessero di uccidere. Siccome non lo faranno da soli, perché non hanno la volontà di smettere di uccidere, ebbene bisogna impedire loro di uccidere. E come? Vorrei che mi si rispondesse a questa domanda. Gli algerini sono abituati agli assassini, abbiamo avuto Béjart in Algeria, anche Le Pen ha torturato in Algeria, ce l’abbiamo fatta all’epoca, ce la faremo di nuovo, soffriamo molto è vero, si muore molto in Algeria, ma ce la faremo, di questo sono certa. Le analisi di queste persone non mi fanno paura, il problema è che possono diventare pericolose perché esercitano un’autorità sull’opinione pubblica. Devo dirlo: attenzione a non diventare, sia pure involontariamente, dei relè degli assassini!
A proposito di queste analisi, quando gli europei giudicano la situazione algerina, in fondo sembra che nel momento in cui si parla di paesi del cosiddetto terzo mondo i diritti umani e la democrazia siano qualcosa di relativo…
Leggo continuamente articoli e analisi che mi fanno male perché esprimono disprezzo per il mio popolo. Spesso gli algerini sono descritti come dei violenti, incapaci di intendere e di volere, gente che va messa sotto tutela. C’è un paternalismo incredibile, pretendono di sapere cosa ci vuole per gli algerini meglio degli algerini stessi. In realtà, queste persone considerano ciò che sarebbe insopportabile per gli europei, del tutto sopportabile per i non-europei: il popolo algerino non ha bisogno di democrazia, siamo un popolo di second’ordine, la democrazia, la libertà, non sappiamo cosa siano. Questo è razzismo, nient’altro. Se il Fis prendesse il potere in Algeria e gli algerini si facessero assassinare legalmente nelle prigioni, non vi sarebbe problema. E infatti: si sono forse mai mobilitati contro quello che è successo in Iran? Silenzio totale. In Iran dal 1979 centinaia di migliaia di persone sono state assassinate, torturate, imprigionate nel nome di Allah. Questi che cosa hanno detto? Nulla.
Qual è allora, secondo te, la logica dei fautori del negoziato con gli islamisti, quella che ha portato, ad esempio, agli accordi di Roma di Sant’Egidio (*) e che ancora oggi è così tenace?
A mio avviso, questa logica parte dalla constatazione che la colonna vertebrale del potere in Algeria è l’esercito, il che è vero. Questo potere è brutto, deve cambiare. Noi dell’Rcd diciamo che questo potere non è buono perché è antidemocratico, gli islamisti dicono che non è buono perché non è abbastanza islamista. Ma siamo tutti d’accordo che debba cambiare. Gli islamisti, in base alla considerazione che il potere algerino riconosce solo chi può essere pericoloso, cercano di creare, uccidendo e distruggendo, una situazione di instabilità interna che costringa i militari a negoziare una spartizione del potere; noi democratici, invece, pur consapevoli che il potere algerino riconosce solo chi ha una capacità di nuocere, perché ha un carattere fondamentalmente mafioso, siamo fermamente contrari a una logica di contrapposizione che utilizzi l’assassinio, siamo per una capacità di contrapposizione pacifica, per organizzare, cioè, la società in modo che un giorno diventi autonoma da questo potere. E’ il nostro metodo, abbiamo forse torto, ma ci crediamo. Gli islamisti questa capacità di nuocere se la sono costruita, non a partire dal 1990, ma a partire dal 1980, quando hanno iniziato a raccogliere armi, esplosivi, detonatori. I primi maquis islamisti risalgono alla metà degli anni Ottanta, anche se non hanno avuto successo; il primo grave attentato è del novembre 1991, precedente alle elezioni di dicembre. Il gruppo di partiti riuniti attorno a Sant’Egidio ha fatto lo stesso ragionamento: il potere non riconosce altri che chi può nuocere. Ma questi, non avendo una forza militare da contrapporre al potere algerino, si sono detti che per obbligare i militari ad una spartizione del potere bisognava accodarsi al Fis che, lui sì, aveva questa forza, questa capacità di nuocere. In questo modo si sono assunti una responsabilità gravissima. Intanto, perché mai un potere, che ha una simile natura, avrebbe dovuto allargare il negoziato a partiti minori, tutto sommato, inoffensivi?

D’altra parte non c’era alcuna ragione per cui il Fis, che è fondamentalmente fascista, dovesse lavorare per altri partiti come può essere l’Ffs. Ma questi sono ancora errori di valutazione politica, la gravità della scelta è quella di accodarsi ad una forza che usa sistematicamente la violenza contro i civili e i luoghi di libertà dei civili. Noi rifiutiamo in modo categorico di accettare come interlocutore un partito islamo-fascista, la cui strategia produce massacri di bambini, di donne, di vecchi, di giornalisti, di civili, massacri di un’intera popolazione. E poi non bisogna mai dimenticare che la violenza è veramente consustanziale agli islamisti, non è congiunturale, fa parte del loro modo di agire e di funzionare, esattamente come per tutti i partiti integristi del mondo e nella storia, esattamente come per Pol Pot in Cambogia, esattamente come per i fascisti. La violenza, per loro, è un mezzo di comunicazione, il mezzo che utilizzano non per convincere, ma per imporre. Reprimere e uccidere è la loro natura. Se si dimentica questo non si capirà mai nulla di quello che sta succedendo. I poteri islamisti che cosa fanno ovunque? In Iran cosa hanno fatto Khomeini e i suoi successori? Regolano lo status dell’individuo, e della donna in particolare, impediscono ogni tipo di libertà. Il loro progetto può essere riassunto in "dittatura nella vita di ogni giorno, di ogni istante". Allora, non mi si può venire a dire: "Non fa niente, sono fascisti, ma accordati con loro, negozia con loro". No.
E del resto, questi fautori del negoziato alla Sant’Egidio che tacevano, quand’è che si sono risvegliati? Quando c’è stato il massacro peggiore, quello del 28 agosto. Rivivono se c’è un massacro orribile: come gli avvoltoi. Ma questo risponde sempre alla logica della capacità di nuocere, di far del male, della violenza; un massacro di trecento persone è la prova che c’è una capacità di nuocere enorme, dunque si dicono: "Bisogna approfittarne per imporre ad un potere mafioso di negoziare". Non hanno capito niente. Il potere sta negoziando con il Fis da molto tempo, senza di loro; i dirigenti del Fis sono liberi perché hanno negoziato. In tutto questo i veri perdenti sono solo gli algerini. Io vivo in Algeria e sono militante. Quando mi ritrovo sola con me stessa e soffro, anche a causa di sguardi esterni sprezzanti o cinici, la sola conclusione a cui arrivo ogni volta è che sta a noi, dall’interno, cambiare le cose. Sta a noi, in Algeria, batterci, lottare, soffrire fintanto che sarà necessario -non sono masochista, ma spesso le cose vanno conquistate duramente. E’ il solo modo anche per rispondere e far intendere ragione a chi ci guarda da lontano con tesi precostituite, per togliergli l’occasione di straparlare di noi. Non posso aspettarmi da uno sguardo razzista che cambi per farmi piacere. Salvare il nostro paese è un nostro compito, una nostra responsabilità.
C’è chi tende ad accreditare la tesi di un potere militare laico contrapposto ad un progetto islamista…
In Algeria ci sarebbe una guerra contro un potere militare laico che ha imposto la laicizzazione della società? Nulla di più falso. Il potere algerino ha fatto scelte islamico-conservatrici chiare almeno fin dai primi anni Ottanta. Il codice della famiglia adottato nel 1984 in regime di partito unico è la sharia nella sua accezione più retrograda, la scuola, dalla riforma del 1980 è asservita agli islamisti, e così la televisione, la radio... Tutte cose che gli islamisti gestiscono ovunque, per reprimere le aspirazioni di libertà. E forse non è male ricordare che sempre nel 1984, allorché i cittadini algerini non avevano diritto né di associazione né di manifestazione, l’unica organizzazione autorizzata a operare liberamente in Algeria era la Lega per il proselitismo islamico finanziata dai petrodollari dell’Arabia Saudita. Perché si dimentica che Chadli Ben-Djedid, presidente dal 1979 al 1992, e incarnazione di questa alleanza storica, de facto, con gli islamisti, era colonnello? Chadli era un militare, anche se indossava giacca e cravatta. Il potere militare ha sempre avuto una facciata civile, che l’Fln ha assunto per quasi trent’anni da solo come partito unico e che oggi è spartita fra Fln, Rnd il nuovo partito del potere e Hamas, che è un partito islamista. Nahnah, leader di Hamas che ha oggi sette ministri al governo in Algeria e che era al governo anche prima delle elezioni di giugno, è il numero due dell’internazionale dei Fratelli Mussulmani. L’opzione islamico-conservatrice del potere è stata confermata anche in occasione di queste ultime elezioni legislative. Quando hanno manipolato i risultati, chi hanno sacrificato? I democratici. E’ una scelta fatta da dei militari, quelli che non chiedono altro che spartire il potere con gli islamisti, e non da oggi. E’ vero che i militari sono divisi al loro interno e ci sono quelli contrari a questa spartizione, che si riassume poi in come dividersi la rendita petrolifera. Noi dell’Rcd non vogliamo entrare in questa bagarre fra militari. Tanti "specialisti" europei, i fautori del dialogo con gli islamisti, vorrebbero, al contrario, imporci di farlo, di entrare in questa logica. Noi riteniamo invece che la società ha il diritto di scegliere il suo progetto e di imporlo, pacificamente, ai militari. I militari devono mettersi al servizio della società, non l’inverso.
La vostra strategia di puntare alla società civile sta dando dei risultati. Quali sono le prospettive? E quale spazio di manovra c’è per fare avanzare questo dibattito a livello istituzionale? Perché spesso questo dibattito all’esterno non è riconosciuto oppure è considerato marginale, non rappresentativo della società, quasi imposto da una minoranza…
Ho detto che il processo di instaurazione di strutture sociali regressive, quali il codice della famiglia e la scuola partorita dalla riforma del 1980, è in atto da tempo. Ora, quello che mi interessa è l’evoluzione della società, quello che la società ha fatto, come si è organizzata di fronte a questo processo.
Prendo l’esempio del codice della famiglia: le donne avevano manifestato pubblicamente in diversi modi e a più riprese, malgrado le difficoltà, la loro opposizione a questo testo già nel 1981, quando il codice si discuteva a porte chiuse. Poi c’è stata una mobilitazione ininterrotta che è durata anni fino ad oggi, tanto che dall’8 marzo di quest’anno è in corso un’immensa petizione nazionale per chiedere una revisione del codice nel senso dei diritti delle donne. E ad esempio le ragazze dell’associazione Rachda che abbiamo fondato nel 1996 sono andate fin sulle spiagge per far firmare la petizione e hanno raccolto centinaia di firme, e così per strada, tutti firmano. Effettivamente non possono andare in ogni quartiere perché gli islamisti uccidono, ma questa è una responsabilità degli islamisti. Allora l’idea secondo la quale gli algerini non firmerebbero, non corrisponde al vero, gli algerini firmano. Prendiamo il dossier educazione. In Algeria c’è un dibattito straordinario in corso da almeno sette o otto anni sulla scuola, condotto dalla società civile, che non esiste in nessun altro paese musulmano o europeo, sia sui giornali a livello di analisi del contenuto dei programmi, sia con ricerche di grande qualità fatte da ricercatori algerini su cosa si insegna, su cosa vogliamo dalla scuola ecc. E oggi il governo nel suo programma è stato obbligato a dire "riformeremo il codice della famiglia, riformeremo l’educazione": nel programma governativo presentato in Parlamento, infatti, è detto chiaramente che il codice della famiglia sarà modificato entro la primavera 1998 e che si affronterà la riforma della scuola. Questo è il risultato della lotta condotta dalla società algerina.
Dunque ci sono state e ci sono delle lotte nella società intorno a delle aspirazioni di libertà, di giustizia, di uguaglianza, che cominciano a trovare la loro eco a livello delle istituzioni. Cosa resta da fare? Bisogna che i deputati siano in grado di battersi e siano all’altezza delle aspirazioni della società. Questi due esempi sono molto significativi per me, perché il codice della famiglia e la scuola sono due luoghi fondamentali per la democratizzazione di una società, e se riusciamo ad ottenere una revisione del codice della famiglia nel senso di più libertà, se riusciamo a riformare la scuola nel senso di una più vasta cittadinanza, per formare il cittadino e la cittadina liberi, sarà un’immensa vittoria per la libertà, non solo per gli algerini, ma per tutti. Se gli algerini impareranno a non detestare l’altro, sarà una vittoria anche per l’altro. Certo, in parlamento non sarà facile con gli islamisti, ma non ci sono solo loro e sta a noi deputati democratici convincere e stringere alleanze. Per me è questo il dialogo in un paese: la capacità di stringere alleanze con altri partiti su dei punti precisi. Se saremo capaci di creare un accordo con un certo numero di partiti sulla revisione del codice della famiglia, nel senso di maggiori diritti alle donne, sarà una vittoria delle donne algerine che si sono mobilitate. Ora, se per certi osservatori questa sarebbe un’imposizione da parte di una minoranza non rappresentativa, non abbiamo più niente da dirci.
Che lo credano pure, se vogliono. In realtà, a queste persone le lotte contro il codice della famiglia, per cambiare la scuola non interessano affatto, e sai perché? Perché queste lotte sono condotte dalla società algerina e a loro la società algerina non interessa, a loro interessano solo gli apparati di potere.
In rapporto alla lettura che fai delle battaglie della società civile e del fatto che si è riusciti a far arrivare il dibattito in parlamento, molti potrebbero ribattere che queste rivendicazioni sono poco rappresentative, minoritarie. Ad esempio su certa stampa l’Rcd è stato liquidato come un piccolo partito regionale che ha avuto qualche briciola di consenso…
Se consideriamo i veri risultati, l’Rcd ha avuto 40 seggi, tutti lo sanno, il regime per primo: fa una certa differenza rispetto ai risultati "ufficiali". Aggiungiamo il vero risultato dell’Ffs, che è stato di 25 seggi. Aggiungiamo ancora una parte degli indipendenti, che nei risultati veritieri erano molto numerosi -e gli indipendenti nella stragrande maggioranza non sono islamisti, perché gli islamisti sono come soldati inquadrati nei loro partiti- ebbene le liste indipendenti sono state massacrate dal potere, erano circa una sessantina su tutto il territorio nazionale, sono state ridotte a undici, tutto il resto è stato dato al partito del potere. Possiamo aggiungere infine anche una parte degli eletti del partito del potere e del Fln, che si sono schierati come candidati di questi due partiti per vigliaccheria, perché si tratta di gente che pensa come me e te, ma che non oserà mai assumere la sua reale ideologia, come succede in tutti i paesi. Ebbene, significa che i democratici non sono poi così pochi. Ma, comunque sia, e al di là di queste considerazioni, so che nel mio paese la democrazia si costruirà un po’ alla volta. Io non ho mai affermato di rappresentare l’80% della popolazione, come ha sostenuto il cartello di forze che firmò Sant’Egidio. Loro non sono affatto l’80% della popolazione. Gli islamisti in Algeria rappresentano, al massimo, il 25%. Ed è questa la cosa più importante per me. Ciò che mi interessa è che le idee che difendo avanzino nella società. E quando vedo il capo del governo Ouhiaya, che due anni fa affermava che il codice della famiglia non costituiva un problema, riconoscere oggi, invece, che bisogna riformarlo perché pone dei problemi, è una vittoria delle idee democratiche. In questo senso la campagna elettorale è stata un rivelatore straordinario: allorché i partiti islamisti si mettono a dire, per convincere gli elettori, di essere democratici e a favore della democrazia, io sono contenta perché vuol dire che sono le mie idee che avanzano.
Non voglio diventare una carrierista dei seggi da conquistare, ho troppo rispetto per la mia vita e per il mio avvenire. Farò di tutto perché il Fis non mi uccida, ma finché vivrò non vivrò certo per il numero di seggi che riusciremo ad ottenere. Altra cosa è concepire di vivere per le idee in cui si crede. E’ vero che in un sistema parlamentare bisogna avere il maggior numero possibile di seggi, ebbene ne avremo il più possibile fra cinque anni, dieci anni, venti anni, e allora? Dov’è il problema? Se penso che la Francia, tanto per fare un esempio, ha trovato il modo di avere un Parlamento che delegò i pieni poteri a Pétain, a Vichy!
Noi avanziamo a poco a poco, siamo piccoli, come Rcd abbiamo avuto 40 seggi, ce ne hanno riconosciuti solo 19, siamo 19, è vero: ma contiamo di far avanzare le nostre idee, di far avanzare la nostra società il più serenamente e il più pacificamente possibile, e con molto rispetto per gli algerini e per le algerine che amiamo, poiché ne facciamo parte.
Direi che ci troviamo sulla buona strada: l’Algeria è un paese dai cinque patriarcati, essendo un paese mediterraneo, mussulmano, arabo, berbero, africano: in questo paese Khalida Messaoudi, femminista, laica, è stata eletta. Trovo che ci sia una grande capacità di reazione della società algerina, non genetica, ma dovuta a tutti i problemi che sta vivendo: è una società obbligata ad ascoltare, a guardare, che vive in condizioni di disagio economico e di insicurezza; la gente è sempre in affanno, deve arrabattarsi per tutto, gli algerini sono obbligati a capire quello che può apportare qualcosa di nuovo, e prestano ascolto a una femminista laica, democratica. Io non nascondo di esserlo, lo dico ovunque, e se considero quello che succede in Algeria, dove la presenza dell’islam è così invasiva, dove l’islamismo uccide e terrorizza, ebbene, il fatto che in una società così una donna come me sia stata votata ed eletta, trovo che sia un segno di vitalità straordinaria.


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