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Francesco Palermo: L'Alto Adige tra tutela dell'etnia e governo del territorio

Il Mulino
La provincia di Bolzano rappresenta un interessantissimo caso di studio in tutte le discipline sociali. Le sue particolarità ne fanno un unicum dal punto di vista politico, economico, culturale, sociologico e giuridico. Politicamente, anche in epoca democratica, l'Alto Adige continua ad essere governato da un unico partito, con una conseguente stabilità che ha pochi paragoni in Europa e nel mondo, se si eccettua forse la vicina Baviera.

Economicamente, oltre ad una disoccupazione pressoché inesistente, in Alto Adige convivono un tessuto produttivo fiorente, basato sull'agricoltura, il turismo, l'artigianato, ma anche residui della grande industria ed una pubblica amministrazione elefantiaca . Culturalmente, è in Sudtirolo ed anzi probabilmente sul ponte Talvera di Bolzano che corre il confine linguistico tra il mondo italiano e quello tedesco, con la ricchezza ed i contrasti a ciò collegati. Sociologicamente, il benessere economico, la forte autonomia locale, l'elevato grado di convivenza raggiunta pur in perenne tensione tra integrazione e segregazione, hanno condotto alla formazione di un nuovo homo tirolensis, considerato a nord del Brennero un italiano che parla tedesco e a sud di Salorno un tedesco che parla italiano. Giuridicamente è indubbio che la Provincia autonoma di Bolzano ha di fatto inventato e costruito il regionalismo italiano, e ha contribuito in misura decisiva allo sviluppo della «costituzione delle minoranze» nell'ordinamento italiano; senza di essa, il diritto costituzionale italiano ed europeo sarebbe molto più povero.
Paradossalmente, tuttavia, l'unico aspetto non particolarmente originale è però allo stesso tempo motore e carburante di tutte queste peculiarità: la condivisione da parte di più gruppi linguistici di un medesimo territorio, una realtà tanto diffusa in Europa (si pensi al prossimo allargamento a est dell'Unione ed ai problemi connessi) e altrove da non potersi più considerare anomala.
Il modello statutario, pensato in un'epoca diversa dall'attuale e concepito alla luce di una vertenza internazionale sullo status della minoranza tedesca, è invece basato sull'inscindibile nesso tra tutela delle minoranze ed autonomia territoriale, elementi che danno vita ad un sistema circolare di legittimazione reciproca, per il quale l'autonomia è funzionale alla tutela minoritaria e la tutela delle minoranze è il fine dell'autonomia.
All'assetto istituzionale di disciplina della convivenza che ne è derivato va preliminarmente ascritto il merito di aver saputo in primo luogo portare pace e benessere in un territorio plurietnico (fatto tutt'altro che scontato, specie alla luce di quanto avviene in Kosovo e altrove), e successivamente di aver dato vita ad un laboratorio sociale e giuridico di interesse internazionale , creando e mantenendo le accennate peculiarità. Tuttavia, un sistema improntato alla regolazione della convivenza tra gruppi, particolarmente complesso e nel contempo collaudato, quale quello delineato dal secondo statuto di autonomia e dalle sue norme di attuazione, deve oggi essere valutato non più soltanto in base al castello normativo astratto progettato nel 1972, ma anche e soprattutto alla luce del suo funzionamento concreto e dunque della prassi applicativa e dell'interpretazione giurisprudenziale. Da questi dati sembra infatti emergere in maniera inequivocabile la necessità di profondi adeguamenti della struttura statutaria alle mutate realtà.
I princìpi cardine dello statuto di autonomia
L'elemento territoriale
La soluzione al conflitto etnico in Alto Adige è prima di tutto una soluzione istituzionale. In linea con le possibilità offerte dal modello regionale della costituzione del 1947, sia il primo (1948) sia soprattutto il secondo statuto di autonomia (1972) accentuano l'autogoverno (tendenzialmente quello regionale nella prima esperienza statutaria e quello provinciale nella seconda) quale fattore primario della tutela minoritaria e della convivenza. L'idea di fondo è la sperimentata soluzione di concedere agli appartenenti ad una minoranza territorialmente compatta il potere di governare il proprio territorio, invertendo così di fatto il rapporto maggioranza-minoranza: quanto maggiore il decentramento competenziale verso quel territorio, tanto minori le aspettative di secessione della minoranza dallo Stato nazionale che la contiene .
Ciò è esattamente quanto si è verificato in Alto Adige, essendosi attribuito alla Regione prima ed alla Provincia poi un numero sempre crescente di competenze primarie o secondarie. Oggi, chiusa la vertenza internazionale con l'Austria con la completa attuazione del «pacchetto» (1992) ed iniziata la fase della cd. «autonomia dinamica» (progressiva implementazione delle competenze provinciali attraverso il particolare meccanismo previsto per l'emanazione delle norme di attuazione dello statuto speciale di autonomia), allo Stato sono rimaste competenze soltanto in materia di difesa, di polizia, di amministrazione della giustizia e di riscossione dei tributi. Queste competenze sono esercitate (con l'eccezione dell'esercito e in parte della polizia) attraverso personale locale (proporzionale nel pubblico impiego statale) o comunque dotato del certificato di bilinguismo.
Dato anche l'elevato costo di una siffatta struttura istituzionale e competenziale nonché del connesso complesso sistema di diritti (si pensi per es. ai costi di traduzione di un'amministrazione bi- o trilingue), lo Stato garantisce al territorio, oltre alle imposte comunali e provinciali proprie, la devoluzione dei 9/10 delle entrate dirette o indirette percepite nel territorio provinciale .
I diritti «a tendenza collettiva»
All'interno del contenitore istituzionale operano poi diversi meccanismi «a tendenza collettiva», esercitabili solo dal gruppo in quanto tale e volti a conferire al gruppo stesso una «quasi personalità» giuridica . L'intero sistema istituzionale della Provincia di Bolzano (e della Regione) è improntato al principio della distinzione tra i gruppi linguistici, ai quali è riconosciuta in diversi passaggi una soggettività giuridica propria: così lo statuto prevede norme particolari per la composizione in base ai gruppi linguistici degli organi regionali (artt. 30, 36 e 62), provinciali di Bolzano (artt. 49, 50, 54 e 62) e comunali (artt. 61 e 62), nonché, sempre nel solo Sudtirolo, la possibilità di votare per gruppi linguistici nel Consiglio provinciale (art. 56), con particolare riferimento alla votazione del bilancio (art. 84); il gruppo linguistico consiliare assume rilevanza anche con riferimento alla nomina dell'intendente scolastico tedesco e di quello ladino (art. 19 c. 5 e 6). Vi sono inoltre, sotto il profilo istituzionale, altre particolarità legate all'indicata impostazione dello statuto, tra cui in particolare la possibilità di ricorso costituzionale per gruppi linguistici (art. 56 c. 2), il criterio della residenza quadriennale in Regione come requisito per l'elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative (art. 25 c. 4) , o la particolare composizione della sezione di Bolzano del TRGA .
A questa realtà istituzionale, fondata sul riconoscimento della soggettività giuridica dei gruppi, conseguono numerosi aspetti legati alla vita quotidiana, tra i quali merita ricordare, pur con la dovuta brevità, l'accesso all'impiego pubblico, il sistema scolastico e la disciplina dell'uso della lingua nei rapporti con la pubblica amministrazione.
Per quanto riguarda il pubblico impiego lo statuto prevede (art. 89) che in Provincia di Bolzano i posti dei ruoli della pubblica amministrazione siano «riservati a cittadini appartenenti a ciascuno dei tre gruppi linguistici in rapporto alla consistenza dei gruppi stessi, quale risulta dalle dichiarazioni di appartenenza rese nel censimento ufficiale della popolazione». Ogni dieci anni, pertanto, i cittadini residenti nella Provincia di Bolzano sono tenuti a dichiarare la propria appartenenza (o aggregazione al fine del godimento dei diritti collegati) ad uno dei tre gruppi linguistici. La dichiarazione può essere mutata soltanto in occasione del successivo censimento . La norma di attuazione relativa alla proporzionale (d.P.R. 752/1976) prevede inoltre un diritto di precedenza per l'assegnazione dei posti dei ruoli locali ai candidati idonei residenti da almeno due anni in Provincia di Bolzano .
In provincia di Bolzano vige un triplo sistema scolastico: esistono scuole in lingua italiana, tedesca e ladina, in modo da garantire a ciascuno l'insegnamento nella propria lingua materna (cd. separatismo linguistico). È inoltre obbligatorio l'insegnamento della seconda lingua (italiano nelle scuole tedesche e tedesco nelle scuole italiane), che deve essere impartito da insegnanti per i quali tale lingua sia quella materna. Nelle scuole ladine esiste invece un modello di immersione, che prevede l'insegnamento in tutte e tre le lingue .
Per quanto riguarda il diritto all'uso della lingua nei confronti della pubblica amministrazione, lo statuto prevede per ogni cittadino il diritto ad utilizzare l'italiano o il tedesco (o, limitatamente, il ladino) nei rapporti con l'amministrazione e con gli organi giudiziari . Oltre al principio del bilinguismo (trilinguismo nelle località ladine) della pubblica amministrazione è dunque possibile, pur con alcune comprensibili difficoltà, svolgere processi sia in italiano che in tedesco, senza ricorrere ad interpreti .
Valutazione. La doppia lettura del sistema statutario
Il complesso ordinamento giuridico dell'autonomia provinciale e della tutela dei gruppi linguistici si presta facilmente, proprio per il suo essere rigorosamente normativizzato, ad una duplice lettura, fondata su due elementi entrambi contenuti nel sistema statutario. Poiché infatti la legittimazione storico-politica dell'autonomia è rinvenibile nell'esigenza di tutela delle minoranze tedesca e ladina ed anzi è configurabile quale riparazione storica all'oppressione fascista, l'autonomia deve potersi leggere, secondo alcuni, come «autogoverno della minoranza», e dunque come protezione della stessa da qualunque infiltrazione esterna per mantenerne intatte le «caratteristiche etniche e culturali» (art. 2 statuto).
Questa interpretazione, che chiameremo «storica» o «etnica», dà risalto all'elemento della «tutela» intesa come «riparazione», vede la convivenza come una disciplina della spartizione etnica del potere e talvolta rifiuta persino la concezione del Sudtirolo come un territorio condiviso, plurietnico e plurilingue. In termini politici, a parte le frange più radicali favorevoli all'autodeterminazione, essa si esprime nel considerare il partito di maggioranza assoluta (la Südtiroler Volkspartei) come «partito di raccolta» della minoranza prima e più che come partito di governo del territorio.
Oltre che dal punto di vista politico e sociale, questa interpretazione trova seguito anche in atti più propriamente giuridici. Così ad es., nella complessa vicenda relativa alla dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico, il Consiglio di Stato ha avuto ad affermare più o meno esplicitamente che tale dichiarazione non può considerarsi una mera opzione, ma deve tendere «a verificare la verità oggettiva» . Una simile interpretazione pone in risalto l'elemento etnico, e corrisponde perfettamente allo spirito dello statuto. Essa appare tuttavia giuridicamente priva di senso, dato che la dichiarazione resa in occasione del censimento non può essere in alcun modo sindacata e non è possibile valutarne la «verità oggettiva». Vero è infatti che l'ordinamento «presume» che la dichiarazione corrisponda al «vero» , ma si tratta appunto di una presunzione solitamente superabile e valida solo in situazioni «normali», ma non per questo buona per ogni circostanza.
Analogamente possono essere lette le attuali polemiche relative alle modalità di insegnamento della seconda lingua nelle scuole: a fronte di una dichiarata esigenza della gran parte dei cittadini di lingua italiana di meglio apprendere il tedesco e delle proposte di introduzione di forme di impiego veicolare del tedesco nelle scuole italiane (immersione e compresenza), si tende ad opporre una interpretazione rigida del modello scolastico che non consenta ad un gruppo di adattare le modalità di insegnamento linguistico alle esigenze di una maggiore integrazione di tale gruppo nel territorio .
Vi è tuttavia una seconda chiave di lettura della struttura autonomistica e della tutela minoritaria sancite dallo statuto, che tende a sottolineare l'evoluzione storica più recente e la convivenza e il benessere raggiunti, invitando al superamento di talune rigidità statutarie nel nome del mantenimento stesso dell'autonomia, vista come un bene in se stessa al di là delle sue motivazioni storiche. Questa concezione, che chiameremo «autonomistica» o «territoriale», si basa sull'assunto sopra ricordato, secondo cui l'autonomia altoatesina è prima di tutto un'autonomia territoriale, e ritiene che un atteggiamento eccessivamente difensivo possa alla lunga rivelarsi controproducente per il futuro dell'autonomia, che potrebbe finire col risultare non più giustificata alla luce della raggiunta convivenza e dell'integrazione europea. Sotto il profilo strettamente giuridico, inoltre, questa interpretazione pone in evidenza l'aspetto «linguistico» (appartenenza aperta e volontaria ad una minoranza) rispetto a quello «etnico» (appartenenza chiusa e dettata da fattori oggettivi) della tutela minoritaria, sulla scorta della concezione di fondo sottesa dalla costituzione italiana (art. 6) e dalla considerazione della cittadinanza come criterio di appartenenza alla «nazione» .
Molti sono gli esempi che mostrano un tendenziale superamento fattuale della rigidità di talune regole: per restare agli esempi di censimento e scuola, nonostante le argomentazioni dei tribunali amministrativi, è palese che la dichiarazione di appartenenza non è una dichiarazione di verità, ma soltanto un modo come un altro di distribuire i diritti statutari ; ciò risulta non solo dalla logica stessa delle cose, dalla prassi quotidiana e dalla necessità di fornire alla proporzionale un'interpretazione costituzionalmente conforme , ma anche da espresse pronunce giurisdizionali: così ad es. ancora il Consiglio di Stato, contraddicendo la propria giurisprudenza sopra riportata, afferma che la dichiarazione di appartenenza relativa all'accesso ai ruoli scolastici deve intendersi «come significativa di possesso della medesima madrelingua», a differenza della dichiarazione di appartenenza «normale» , che quindi si ammette fondata su base volontaria. Si moltiplicano inoltre le proposte volte a scindere la dichiarazione resa a fini censuari da quella finalizzata alla partecipazione a concorsi o all'assegnazione di alloggi popolari .
In campo scolastico le sperimentazioni avvengono di fatto in diversi istituti, pur nel formale rispetto del principio di separazione, ed anzi iniziano a registrarsi importanti segnali giurisprudenziali tendenti a fornire un'interpretazione sempre meno rigida del modello statutario . Inoltre, a simboleggiare questa evoluzione ancora incompiuta del sistema scolastico altoatesino, la neoistituita libera università di Bolzano si articola in due facoltà: quella di scienze della formazione (con sede a Bressanone), impostata sulla doppia offerta di ciascun corso in lingua italiana e tedesca (criterio della separazione – modello di «tutela»), e quella di economia internazionale (con sede a Bolzano), che presenta invece un'offerta didattica trilingue (compreso l'inglese) obbligatoria per tutti (criterio dell'integrazione – modello «autonomistico»).
Altri esempi ancora vengono dall'introduzione di sempre maggiori spazi di funzionalità nell'applicazione dello statuto: così in particolare, con l'istituto della cd. «proporzionale morbida» si inizia a far prevalere in talune amministrazioni l'esigenza di ricoprire un posto vacante rispetto alla «spettanza etnica» dello stesso (il caso più noto è quello che si profila per i primari ospedalieri).
Quella attuale si presenta insomma come un'autonomia bicefala, a cavallo tra logica di tutela ed aperture al futuro. In questa fase di transizione è sempre più evidente la tensione tra specialità e desiderio di normalità, tra segregazione e integrazione, tra autonomia personale e territoriale, tra tutela minoritaria ed autonomia funzionale .
L'interpretazione della giurisprudenza costituzionale ed europea
Dopo aver sommariamente tratteggiato gli elementi principali dell'autonomia ed averne sottolineato la possibile duplicità di interpretazione, si possono ricordare alcune recenti pronunce giurisprudenziali, emblematiche di questa dicotomia interpretativa.
Nel complesso la Corte costituzionale tende a far prevalere l'interpretazione che abbiamo definito storica e di tutela dell'impianto statutario, anche se non mancano richiami che fanno intravedere i limiti oltre i quali questa interpretazione non può spingersi. Nella sua giurisprudenza anche recentissima, la Corte sottolinea in particolare il ruolo dello statuto e delle sue norme di attuazione nel sistema delle fonti e ne esalta la legittimazione data dalla presenza di minoranze linguistiche sul territorio.
Esempi lampanti di questa tendenza interpretativa della Corte sono rinvenibili in due recenti pronunce. Nella prima (sent. n. 356/1998) la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso diretto del rappresentante ladino in consiglio regionale ex art. 56 c. 2 statuto (altro importante istituto «a tendenza collettiva»), con riferimento alla legge regionale che introduceva una soglia elettorale (il 5% nel Trentino, il quoziente naturale, ossia il 2.8%, in Alto Adige), per l'elezione del consiglio regionale. Con una pronuncia che ha causato molte polemiche anche per la sua prossimità con le elezioni svoltesi il 22 novembre, la Corte ha confermato che il principio proporzionalistico, sancito dallo statuto (art. 25) per salvaguardare le caratteristiche culturali dei diversi gruppi (art. 2), «richiede che il sistema elettorale consenta a ciascun gruppo di presentare una propria lista». E ciò perché altrimenti la rappresentanza garantita del gruppo ladino ex art. 62 «sarebbe possibile solo a condizione che i candidati ladini siano ospitati da liste che sono espressione di altri gruppi linguistici» .
Per la Corte, infatti, «la tutela delle minoranze [...] ha un significato particolarmente pregnante nello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige» , con la conseguenza che l'opzione rigidamente proporzionalisica dello statuto in materia elettorale non costituisce una scelta arbitraria, ma una conseguenza ineludibile della necessità di fornire una rappresentanza politica «ai gruppi linguistici in quanto tali» nel modo più agevole possibile. Il criterio proporzionale non è dunque migliore o peggiore in assoluto, né più o meno efficace rispetto ai sistemi politici (non si spiegherebbe altrimenti come mai nel contesto di un sistema proporzionale puro quale quello vigente per l'elezione del consiglio regionale del Trentino-Alto Adige convivano il sistema politico più stabile d'Italia e forse d'Europa – quello provinciale di Bolzano – ed uno tra i sistemi politici più instabili e fluttuanti – quello provinciale di Trento) ; esso è soltanto una conseguenza dei valori e dell'impostazione storico-politica dello statuto di autonomia. Poco importa se col senno di poi una pronuncia che mirava alla tutela ed alla rappresentanza del gruppo linguistico ladino ha avuto come conseguenza l'elezione di un solo rappresentante ladino nel consiglio provinciale di Bolzano anziché tre (come sarebbe avvenuto in base alla legge dichiarata incostituzionale) ed ha anzi favorito l'elezione di due rappresentanti dell'estrema destra «etnica» tedesca ed italiana.
In un'altra recente sentenza (n. 213/1998) la Corte ha avuto a ribadire con particolare chiarezza la propria interpretazione del ruolo e della posizione nel sistema delle fonti delle norme di attuazione degli statuti speciali di autonomia (in particolare di quello del Trentino-Alto Adige), confermando nella sostanza la loro fattuale sottrazione al sindacato di legittimità costituzionale in quanto costituenti, «tra le realizzazioni astrattamente possibili dell'autonomia regionale speciale, quelle storicamente vigenti. Le norme di attuazione [...] vengono ad assumere un particolare rilievo e a porre un limite: un limite superato il quale si determinerebbero conseguenze non controllabili relativamente a quell'equilibrio complessivo dell'ordinamento cui le norme di attuazione sono preordinate» . Le norme di attuazione sarebbero dunque la migliore soluzione storicamente possibile ai problemi dell'autonomia, intesa come confronto dialettico tra maggioranza e minoranza ; riconoscerne nel caso concreto la sindacabilità equivale nella sostanza, per la Corte, a sovvertire l'ordinamento costituzionale.
A dimostrazione della fase evolutiva e magmatica che sta attraversando l'autonomia sudtirolese, divisa tra tutela etnica ed autonomia territoriale, la medesima sentenza contiene tuttavia evidenti segnali anche in favore dell'elemento territoriale. Per la Corte, infatti, proprio perché il sistema autonomistico è fondato sulla tutela delle minoranze (approccio storico), le manifestazioni di tale tutela non possono in alcun modo estendersi al di là dei confini territoriali dell'autonomia provinciale (o tutt'al più regionale), anche se ciò finisce nel concreto per ledere i diritti di singoli individui appartenenti ai gruppi minoritari; così nel caso di specie la Corte ha negato il diritto per un militare altoatesino ad avere un processo in lingua tedesca davanti al tribunale militare di Verona, territorialmente competente anche per la provincia di Bolzano, nonostante tale diritto sia altrimenti riconosciuto davanti a tutti gli organi giudiziari competenti sul territorio sudtirolese. Ciò dimostra che l'inevitabile approdo verso una concezione «territoriale» del modello statutario deve passare attraverso uno stemperamento del criterio etnico all'interno del territorio coinvolto, per evitare di commettere il doppio errore di considerare la minoranza tedesca sovrana assoluta in casa propria ed inesistente o peggio fastidiosa fuori dalla provincia.
Altre recenti pronunce testimoniano di una maggiore attenzione della Corte costituzionale verso il necessario sviluppo «autonomistico» e non più di mera tutela del modello statutario e del ruolo delle competenze della Provincia autonoma. Così ad es. nella sent. n. 428/1997 la Corte, accortasi di evidenti eccessi di politicizzazione da parte sia della Provincia sia dello Stato con riferimento all'apertura di un ufficio di rappresentanza interregionale transfrontaliera a Bruxelles, non ha esitato a riportare immediatamente gli attori del copione costituzionale nei binari del buon senso istituzionale, indicando nella leale collaborazione con lo Stato da un lato e nel rispetto delle linee evolutive del regionalismo europeo dall'altro la via da percorrere per consentire l'allargamento degli spazi dell'autonomia provinciale. Con il risultato che da questa pronuncia e dalla vicenda sottostante è derivata l'estensione a tutte le Regioni del potere di istituire propri uffici di collegamento presso le istituzioni comunitarie , dunque un beneficio per l'intero regionalismo italiano.
Da ultimo, va ricordata la recente pronuncia della Corte di giustizia europea del 24 novembre 1998 , relativa all'estensibilità del diritto ad ottenere un processo in lingua tedesca in provincia di Bolzano anche ai cittadini comunitari di lingua tedesca (tedeschi ed austriaci) che ne facciano richiesta. Secondo il governo italiano, il diritto all'uso del tedesco nei procedimenti giudiziari andrebbe riconosciuto soltanto «ai cittadini appartenenti al gruppo linguistico tedesco della provincia di Bolzano e residenti in tale provincia», perché lo scopo di questo e degli altri diritti statutarimente riconosciuti consisterebbe «nel riconoscere l'identità etnico-culturale della persona che appartiene alla minoranza tutelata» . Così argomentando, il Governo mostra di confondere tuttora le ragioni storiche dei diritti minoritari con il loro contenuto giuridico, e, quel che appare ancora più grave, di non conoscere né la ratio della disposizione questionata né il suo funzionamento concreto. Infatti se è indubbio che tali diritti sono stati riconosciuti per tutelare l'identità etnico-culturale della minoranza, non per questo il conseguimento della tutela può avvenire con criteri personali anziché territoriali, come tra l'altro ampiamente e ripetutamente evidenziato dalla Corte costituzionale non solo nella descritta sentenza n. 213/1998, ma anche in numerosi precedenti . Inoltre, l'intero spirito della disposizione, specie in tema di processo penale, è volto a riconoscere all'imputato il massimo di libertà possibile nell'uso della lingua che preferisca, consentendogli ad es. di rendere dichiarazioni spontanee anche in lingua diversa da quella del processo . Infine, e soprattutto, le disposizioni che la norma di attuazione dello statuto detta in materia di uso della lingua nei procedimenti giudiziari opera nei fatti nei confronti degli avvocati più che dei cittadini, e nella prassi giudiziaria la lingua viene scelta di solito in base alla lingua dell'avvocato. Anche se di fatto ciò accade raramente, nulla impedisce pertanto a cittadini di lingua italiana residenti in provincia di Bolzano di optare per il tedesco come lingua del processo.
Con una decisione del tutto condivisibile nel merito (meno nell'argomentazione) , la Corte di Lussemburgo ha dichiarato l'estensione dei benefici statutari (o almeno di quelli linguistici) non solo a persone appartenenti alla minoranza che tali benefici intendono proteggere, ma a tutti coloro che si trovino in analoghe condizioni. Questa decisione, la prima relativa all'autonomia altoatesina pronunciata dal giudice dei trattati europei, potrebbe aprire le porte alla definitiva affermazione del principio «territorial-autonomistico» rispetto a quello «storico-minoritario» del modello sudtirolese.
Sembra infatti che proprio in questa soluzione interpretativa potrebbero trovare risposta i dubbi dottrinari sempre più frequentemente sollevati relativamente alla compatibilità del sistema statutario con le regole ed i principi del diritto comunitario .
Conclusioni. Dove va (e dove deve andare) l'autonomia altoatesina?
Le considerazioni che precedono devono indurre ad un giudizio complessivamente positivo per lo sviluppo autonomistico. Gli obiettivi posti alla base del modello statutario sono stati raggiunti nella loro totalità. Proprio per questo appare tuttavia innegabile la necessità di ripensare il ruolo di taluni elementi portanti del sistema statutario del 1972, per non correre il rischio di vedere un'autonomia forte, dinamica e trainante ripiegarsi su se stessa, sulla conservazione dei risultati raggiunti e sulla pedissequa riproposizione degli strumenti politici impiegati per conseguirli. Nella fase attuale, il modello può resistere alle nuove realtà anche semplicemente adeguandosi ad esse per via interpretativa, come la giurisprudenza costituzionale (ed europea) e soprattutto la prassi politico-amministrativa stanno facendo. In prospettiva futura è tuttavia indispensabile porre mano anche alla cornice normativa e segnatamente allo statuto del 1972.
Dalla recente giurisprudenza costituzionale ed europea emerge in primo luogo la sostanziale compatibilità del modello statutario nel suo complesso con il sistema costituzionale e comunitario, ma anche che la lettura delle singole norme non può in alcun modo essere statica, e deve sapersi adeguare agli sviluppi del diritto costituzionale ed europeo. È evidente che un apparato normativo costruito nel 1972 non può essere letto con le medesime lenti di quegli anni, stanti i cambiamenti epocali da allora verificatisi a livello nazionale e continentale. E tuttavia alcuni limiti, come ad es. la natura quasi personale dei gruppi linguistici, sono fortemente presenti e non possono essere facilmente aggirati.
La soluzione statutaria del 1972 mirava ad una tutela di tipo sostanzialmente personale delle minoranze tedesca e ladina, anche se formalmente di tipo e per via territoriale. Il riconoscimento dei gruppi in quanto tali e della loro soggettività giuridica ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo autonomistico, e le sue conseguenze sono rese evidenti ad esempio dall'analizzata sentenza della Corte costituzionale sulle soglie elettorali nelle elezioni regionali. Per contro la dimensione strettamente territoriale entro cui la soggettività dei gruppi linguistici può svolgersi ha costituito un contrappeso determinante al principio personalista (come evidenziato dalla sentenza della Corte sull'uso della lingua tedesca nel processo militare), facendo di quello sudtirolese un modello di autonomia in primo luogo territoriale al quale sempre più si guarda anche da parte di altre regioni italiane.
Anche il contesto europeo è radicalmente mutato rispetto agli inizi degli anni '70. L'integrazione tra gli Stati membri e l'importanza dell'ordinamento comunitario hanno oggi raggiunto livelli allora impensabili. Inoltre, nel quadro di questa evoluzione istituzionale comunitaria, è venuto imponendosi il concetto germanico di Europa delle regioni accanto a (e forse, in prospettiva, anche al posto di) quello franco-britannico di Europa degli Stati. Di conseguenza, anche l'integrazione europea contribuisce ad accentuare la dimensione territoriale delle entità substatali, una dimensione del tutto compatibile con i principi del diritto comunitario, mentre non sempre lo sono concezioni della specialità fondate sugli aspetti personali, in base al principio comunitario della non discriminazione; questo almeno fintanto che la tutela delle minoranze non dovesse essere riconosciuta come obiettivo dei trattati, talmente prioritario da giustificare deroghe al principio di non discriminazione. Insomma, anche se in modo non del tutto lineare, dalla ricordata pronuncia della Corte di Giustizia emerge con evidenza che anche a livello europeo la risorsa da valorizzare è sempre più il territorio; la diversità culturale può costituire un elemento aggiuntivo, ma comunque accessorio, di valorizzazione del territorio.
Da queste considerazioni svolte alla luce dei recenti sviluppi giurisprudenziali emerge la necessità di riconsiderare i criteri personale e territoriale della tutela minoritaria quale origine e finalità dell'autonomia sudtirolese. L'insegnamento che sembra di potersi trarre dalle sentenze esaminate è l'opportunità di una lettura dell'autonomia sempre più incentrata sul territorio, anche a costo di vederlo in una dimensione rigida, come nel caso della sentenza 213/1998 della Corte costituzionale. Il rischio di una visione troppo incentrata sull'elemento etnico è quello di gabbie assai strette entro cui poter sviluppare l'autonomia (sent. 356/1998 della Corte costituzionale) o di vedere la giurisprudenza europea trasferire giocoforza al territorio alcune disposizioni originariamente pensate a tutela dei gruppi che in esso vivono (sentenza Bickel e Franz).
Insomma, la valorizzazione della diversità culturale e la tutela delle minoranze deve essere considerata, alla luce della giurisprudenza costituzionale e comunitaria, come la ragione storica dell'autonomia territoriale, ma è sempre più a quest'ultima che si deve guardare nell'ipotizzare futuri scenari, anche in vista della riforma dello statuto.
Al di là della mera dimensione giuridica, questi elementi conducono a riflessioni di ordine più generale. In primo luogo la necessaria rilettura dell'autonomia in chiave territoriale anziché etnica deve portare a superare il «complesso minoritario» di cui tutti i gruppi soffrono. Il gruppo tedesco lamenta il proprio status di minoranza da proteggere rispetto al livello nazionale, quello italiano si sente una minoranza abbandonata in balia dell'onnipotenza provinciale . La prospettiva territoriale e della partecipazione ai processi decisionali può tutt'al più indurre a ritenere minoritario il gruppo tedesco nelle materie di competenza statale ed a considerare gli italiani una minoranza di fronte alle competenze provinciali . In ogni caso, tutti hanno titolo per sentirsi minoranza, ma è proprio questa la prospettiva che i recenti sviluppi giurisprudenziali ci inducono a dover ritenere in via di esaurimento.
La cosiddetta autonomia dinamica, il progressivo aumento delle competenze provinciali in una prospettiva che faccia dell'Alto Adige un vero prototipo del federalismo italiano, non può che passare per una nuova considerazione del rapporto tra la Provincia autonoma e lo Stato. La costante ambiguità tra tutela etnica ed autonomia territoriale, tra il vittimismo tedesco a Roma e quello italiano a Bolzano, deve essere superata per poter giungere ad un'autonomia più matura e più forte. Nel contesto della nuova Europa l'essere minoranza avrà sempre meno importanza, stante la relativizzazione dei termini di paragone. Come dimostra la sentenza della Corte di Giustizia, sotto il profilo linguistico la minoranza tedescofona dell'Alto Adige fa parte del gruppo linguistico più numeroso d'Europa. Insistere sulla tutela minoritaria rischia in questa prospettiva di essere persino controproducente.
Solo superando questa ambiguità, tuttora presente, l'autonomia dinamica potrà svilupparsi in senso compiuto, al pari di quanto avviene in altre esperienze, in primis in Spagna. Così ad es. la recente rivendicazione di competenza provinciale sulle forze di polizia non deve certo apparire scandalosa, ma non può assolutamente prescindere da un patto di fedeltà allo Stato, di appartenenza volontaria alla (composita) nazione italiana, come è avvenuto in Catalogna o (seppur tra maggiori incertezze) nei Paesi Baschi.
La ricchezza culturale (ed economica) dell'Alto Adige deriva dal suo pluralismo. Perderlo significherebbe perderne i benefici. È forse giunto anche per il Sudtirolo il momento di riconoscersi in una identità ed in una appartenenza plurima, in cui la fedeltà verso la «patria» sudtirolese non sia vista in contrapposizione alla fedeltà verso lo Stato italiano (ed europeo) , superando definitivamente i complessi minoritari. Sembra insomma venuto il momento di riflettere sulle «modalità della differenza» sudtirolese, scegliendo tra la sottolineatura di una differenza inquieta, rivendicativa, attenta più all'«ingiustizia storica» del 1919 che alle sfide dell'Europa senza confini, e l'attenzione ad una differenza come ricchezza, come modello di pluralismo culturale realmente vissuto.

Nel 1997 in Alto Adige (445.000 abitanti) lavoravano ben 208.800 dipendenti pubblici. Di questi, circa il 60% era impiegato nell'amministrazione provinciale. Fonte: Astat, Annuario statistico della Provincia di Bolzano, Bolzano 1997, pp. 181 ss.
R. Toniatti, La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: i ladini fra rappresentanza «assicurata» e «garantita», nota a Corte cost. n. 261/1995, «le Regioni» 1995, pp. 1271 ss.
Si moltiplicano infatti le ipotesi relative all'«esportabilità» del cd. «modello sudtirolese» in altre realtà plurietniche, specie dell'Europa centro-orientale. Cfr. ad es. S. Böckler, R. Grisenti, Lo statuto di autonomia del Trentino- Alto Adige. Un modello di pacificazione etnica per l'area centrale danubiana?, Milano, (Angeli) 1996.
Sulle complesse vicende del passaggio dal primo al secondo statuto di autonomia si vedano tra gli altri E. Reggio d'Aci, La Regione Trentino-Alto Adige, Milano 1994, pp. 7 ss., A. Pizzorusso, Commento all'art. 6 in: G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma 1975, vol. I, pp. 296 ss.
Non si è trattato di una scelta scontata. Il vincolo internazionale rappresentato dall'accordo De Gasperi-Gruber del 1946 si riferisce in primo luogo ed essenzialmente alla tutela dei diritti degli «abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano». Sebbene l'accordo preveda la concessione di un «potere legislativo autonomo» (punto 2), va ricordato che esso è riconosciuto alle «popolazioni» e non al territorio. Nulla avrebbe vietato insomma di optare per una soluzione che privilegiasse l'autonomia personale del gruppo anziché l'autonomia del territorio.
Il sistema è in realtà assai più complesso. Il modello è quello della devoluzione in quota fissa (9/10), cui si aggiunge poi una quota variabile, annualmente stabilita, dell'imposta generale sull'entrata e di diverse altre tasse ed imposte sugli affari. Vi sono poi assegnazioni di quote degli stanziamenti annuali iscritti nel bilancio dello Stato per l'incremento delle attività industriali, l'assegnazione di fondi per l'esercizio delle funzioni delegate dallo Stato (art. 16 st.) e contributi speciali. L'attuale disciplina in materia finanziaria è contenuta nel d.lg. 16 marzo 1992 n. 268. I dati numerici sono pubblicati nell'annuario statistico provinciale. In un'indagine diffusa nel dicembre 1998 dalla Ragioneria generale dello Stato relativa ai dati del 1996, risulta che in provincia di Bolzano sono stati erogati mediamente 16 milioni di lire annui per ogni residente, contro i 6 della Calabria. Per gli aspetti giuridici cfr. F. Debiasi, Finanza della Regione e delle Province, in: Regione autonoma Trentino-Alto Adige, Università degli studi di Trento (a cura di), Commentario alle norme di attuazione dello statuto speciale di autonomia, Trento 1995 pp. 295 ss., E. Reggio d'Aci, La Regione..., cit., pp. 451 ss.
Per questo concetto v. E. Gizzi, Manuale di diritto regionale, Milano 1991, p. 57 e E. Reggio d'Aci, La Regione..., cit., p. 278. L'espressione intende assommare tutti gli istituti previsti dallo statuto in cui i gruppi linguistici assumono una rilevanza giuridica in quanto tali.
Amplius su tutti questi aspetti A. Cerri, Il diritto elettorale e la sua storia nel Trentino-Alto Adige con riferimento alla tutela delle minoranze, «le Regioni» 1997, pp. 311 ss.
Su cui per tutti E. Gizzi, Il giudice amministrativo locale nel Trentino-Alto Adige, in: U. Allegretti, A. Orsi Battaglini, D. Porati (a cura di), Diritto amministrativo e giustizia amministrativa in un bilancio di un decennio di giurisprudenza, Firenze 1987, pp. 329 ss. e E. Reggio d'Aci, La composizione della sezione autonoma di Bolzano del Tribunale di giustizia amministrativa di Trento, «Foro amministrativo» 7-8/1991, pp. 2020 ss.
Ai sensi dello statuto è intesa soltanto l'amministrazione statale, ma una legge provinciale (n. 40/1988) ha esteso formalmente il criterio della proporzionale anche all'amministrazione provinciale e degli altri enti pubblici, consolidando peraltro una prassi già abbondantemente diffusa.
Nell'ultimo censimento (1991) la consistenza dei gruppi linguistici in Provincia di Bolzano è risultata la seguente: gruppo tedesco 67,99%, gruppo italiano 27,65% e gruppo ladino 4,36%. Fonte: Astat, Annuario statistico per l'Alto Adige, Bolzano 1992.
Lo statuto prevede poi un diritto di precedenza nel collocamento per i cittadini residenti in provincia (art. 10 c. 3). Per questi aspetti cfr. (con ulteriori riferimenti) G. Polonioli, L. Bocchi, Proporzionale etnica negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego, in: Regione autonoma... (a cura di), Commentario..., cit., pp. 183 ss., L. Nogler, La precedenza nel collocamento al lavoro dei cittadini residenti nella provincia di Bolzano, «Informator» 4/1995, pp. 52 ss., P. Carrozza, Ancora in tema di proporzionale etnica e di bilinguismo negli uffici statali in provincia di Bolzano, «le Regioni» 1989, pp. 116 ss.
Assai complessa è la disciplina del sistema scolastico (e dei sistemi scolastici) in provincia di Bolzano, specie in seguito al completo trasferimento alla Provincia della competenza legislativa in materia scolastica e di personale scolastico (d.lg. 24 luglio 1996, n. 434). Per approfondimenti A. Lampis, Recenti sviluppi dello speciale ordinamento scolastico in provincia di Bolzano, «Rivista giuridica della scuola», 1997, pp. 23 ss.
D.P.R. 15 luglio 1988 n. 574. Recenti norme di attuazione dello statuto hanno allargato l'ambito di applicazione di questa disposizione anche agli enti di natura privata ma concessionari di servizi di pubblico interesse (cfr. d.lg. 24 luglio 1996 n. 446).
Per maggiori approfondimenti e per l'evidenziazione dei profili problematici si vedano A. Lampis, Uso della lingua tedesca e della lingua ladina, in: Regione autonoma... (a cura di), Commentario..., cit., pp. 209 ss. e F. Palermo, Il complesso di Pilato della Corte tra diritti linguistici ed autonomia speciale, «Giurisprudenza costituzionale» 1997, pp. 2535 ss.
Cons. Stato, sez. IV, sentt. n. 439/1984 e 497/1987, su cui cfr. P. Carrozza, Il Consiglio di Stato «corregge» la normativa sui censimenti linguistici in Sudtirolo, «Foro italiano», 1988, III, pp. 73 ss.
Cfr. E. Rossi, La dichiarazione di appartenenza ai gruppi linguistici in provincia di Bolzano, in: Regione autonoma... (a cura di), Commentario..., cit., p. 171.
Come si deduce da alcune disposizioni, tra cui ad es. il riferimento al criterio della «lingua presunta», ricavata in base al cognome (art. 7 e 15 d.P.R. 574/1988). Per capire però quanto i cognomi possano indurre in errore, basti pensare emblematicamente al padre storico dell'autonomia e leader della SVP (Magnago) e al presidente provinciale di AN, difensore dell'«italianità» dell'Alto Adige (Holzmann)!
Cfr. P. Giovannetti, Alto Adige, il disagio di essere italiani, «il Mulino 5/1998», pp. 891 ss.
Sul punto A. Pizzorusso, Articolo 6, cit., pp. 304 ss.
Come emerge dalla stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, che infatti ha imposto di prevedere la possibilità di dichiararsi «altro» ma «aggregato» ad uno dei tre gruppi linguistici statutariamente previsti ai fini del godimento dei diritti correlati al sistema statutario (cfr. sent. e letteratura riportate a n. 16).
Difficilmente superabili sarebbero altrimenti le argomentazioni dei cd. «obiettori etnici», ossia di coloro i quali rifiutano di rendere la dichiarazione di appartenenza e si autoescludono in questo modo dai più elementari diritti civili e politici, come ad es. l'elettorato attivo e passivo, il diritto di concorrere per un posto pubblico, ecc. (il numero di queste persone non è noto; secondo G. Giannini, L'obiezione di coscienza al servizio militare, alle spese militari, professionale, etnica, al giuramento, alle prestazioni sanitarie obbligatorie, Torino 1985, p. 87, si tratterebbe di circa 5000 persone). L'unica interpretazione costituzionalmente conforme dell'attuale censimento «etnico» è per l'appunto – specie dopo oltre 20 anni di pratica applicazione ed a riequilibrio ormai raggiunto – quella di non considerarlo affatto un censimento «etnico», ma un semplice sistema per la distribuzione di diritti (anche elementari) in un contesto particolare.
Cons. di Stato, sez. IV, sent. n. 65/1987.
A partire dalla cd. «proposta Stuflesser» (allora direttore dell'istituto provinciale di statistica) e dalle proposte dei deputati Lanzinger, Bertoldi e Pasquali dei primi anni '90 (cfr. E. Rossi, La dichiarazione di appartenenza..., cit., p. 172), per finire alla recente proposta elaborata dall'associazione Convivia e presentata dagli on. Boato e Frattini (XIII leg., AC 5203).
Con la sentenza del 7 dicembre 1998, la sezione autonoma di Bolzano del TRGA di Trento ha ritenuto che la cd. «compresenza», ossia la contestuale presenza in classe di due insegnanti di madrelingua diversa per la stessa materia, non si pone in contrasto con l'art. 19 dello statuto, come invece sostenuto dalla giunta provinciale.
Cfr. S. Ortino, Dalla tutela delle minoranze all'autonomia funzionale: bilancio e prospettive, in: AA.VV., L'autonomia altoatesina in prospettiva europea, Bolzano 1997, pp. 129 ss.
In: «Giurisprudenza costituzionale» 1998, pp. 2732 ss., con note di S. Ceccanti, Tutela delle minoranze e rischi etnicistici, e di T.E. Frosini, Il diritto elettorale della minoranza linguistica ladina.
Sent. n. 356/1998, punto 2 in fatto.
Sent. n. 356/1988, punto 3 in diritto.
Dal dopoguerra il Sudtirolo è sempre stato governato a maggioranza assoluta dalla SVP. Nelle recenti elezioni di novembre la SVP ha conquistato oltre il 56% dei voti (21 consiglieri su 35), ed il presidente della giunta Durnwalder ha conseguito l'esorbitante successo personale di oltre 104.000 preferenze. Su meno di 400.000 elettori (circa 300.000 di lingua tedesca), significa di fatto oltre 1 voto su 3! Per contro il panorama politico trentino è molto frastagliato: nella legislatura appena terminata erano presenti ben 16 gruppi in consiglio provinciale, ed in questa ce ne sono 11 (sempre per 35 consiglieri).
In «Giurisprudenza costituzionale» 3/1998, con nota di F. Palermo, Non expedit della Corte al controllo di costituzionalità delle norme di attuazione degli statuti speciali, pp. 1667 ss.
Su cui già sent. n. 180/1984, «le Regioni», 1984, pp. 1310 ss., con nota di U. Allegretti, La Corte ribadisce l'estraneità del Parlamento all'attuazione degli statuti speciali.
Sent. n. 213/1998, punto 4.2. in diritto.
Molte altre sono le pronunce, peraltro più datate, che esprimono la tradizionale preferenza della Corte per il modello «di tutela»; cfr. ad es. sentt. n. 285/1987, 768/1988 e (seppur con cenni parzialmente diversi) 260/1993.
In «le Regioni» 1998, pp. 406 ss. con nota di L. Violini, Nuove dimensioni nei rapporti tra enti infrastatali europei: prime note su una giurisprudenza in evoluzione in materia di Euroregioni, rapporti transfrontalieri e uffici di rappresentanza a Bruxelles, pp. 409 ss.
L. 6 febbraio 1996, n. 52, art. 58.
In causa C-274/96, Bickel e Franz.
Sent. C-274/96, punto 21.
Per tutti sent. n. 15/1996, «le Regioni» 4/1996, pp. 706 ss., con nota di L. Antonini, Minoranza slovena e uso della lingua: una tutela riconosciuta (soltanto a Trieste?), pp. 716 ss.
Corte cost., sent. n. 271/1994.
Non è possibile per ragioni di spazio analizzare compiutamente la pronuncia. Va comunque sottolineato che la Corte giunge alla sua conclusione combinando l'elemento personale (lingua) con la fattispecie transnazionale rilevante per il diritto comunitario (applicazione delle regole di uno Stato membro a cittadini di un altro Stato membro), senza evidenziare a dovere (tranne un breve passaggio al punto 30) l'offerta di giustizia bilingue nel territorio e la «ragionevolezza» della decisione. In questo modo la Corte non risolve, ad es., la questione relativa al possibile uso della lingua tedesca anche da parte di cittadini italiani residenti in Alto Adige o altrove, né quella dell'estensione del diritto al ricorso al tedesco da parte di cittadini europei non di lingua tedesca, tutte domande alle quali non può che darsi una risposta affermativa proprio in virtù dell'interpretazione «territoriale» dei diritti statutari.
Cfr. in senso favorevole ad es. J. Marko, Autonomie und Integration, Wien et al. 1995, pp. 337 ss. Altri autori sono di avviso contrario; cfr. in part R. Schülmers, Le condizioni d'accesso al pubblico impiego in Alto Adige alla luce dell'art. 48 del Trattato CE, «Rivista di diritto europeo», 2/1996.
Cfr. P. Giovannetti, Alto Adige, il disagio di essere italiani, cit.
S. Ortino, Dalla tutela delle minoranze... cit., pp. 129 ss.
Proposta avanzata dall'on. Zeller il 16 gennaio 1999.
W. Kymlincka, Le sfide del multiculturalismo, «il Mulino» 2/1997, pp. 199 ss. (in part. 212).


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