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2.6 - Il "Partito verde"
Come può crescere un'impostazione o un approccio di questo genere alla politica?
Credo che possa crescere soprattutto in modo decentrato e locale, che possa crescere su temi concreti e specifici, e soprattutto in modo pluralistico, con molta tolleranza per spunti diversi, quindi con molta apertura ad approcci diversi, dando per scontato che chi si appassiona ad una "nobile causa", non può per questo pretendere che chiunque altro metta al centro anche della sua lotta proprio quella "nobile causa", perché magari ne sente un'altra più vicina e più immediata.
Realizzando alcune di queste condizioni - crescere in modo decentrato, pluralistico, su temi specifici, con una priorità locale, con molta tolleranza, non imponendo affrettatamente linee di spaccatura - può forse maturare qualcosa che magari non saranno i "Verdi d'Italia", ma che potrebbe avvicinarsi a un'esperienza di questo genere. (89)
Nella concezione di Langer, la politica può in questo modo diventare meno ideologizzata e, soprattutto, sciogliersi nel sociale. (90) Un cambiamento di prospettiva radicale rispetto alla tradizione della politica italiana - anche rispetto a quell'estrema sinistra che pure, come Lotta Continua, cercava di costruirsi nella società le occasioni di lotta - che nello slogan "tutto è politica" ha sempre sintetizzato la tendenza a monetizzare il sociale in termini politici.
Langer sembra in principio scettico rispetto a ogni forzatura, voluta soprattutto da Pannella e dai radicali che ne auspicavano una chiara collocazione a sinistra, per la nascita di un movimento politico "verde". Appare certamente convinto della sua necessità ed è senz'altro uno dei principali promotori, anche in virtù della sua esperienza tedesca, del dibattito che sulla questione si diffonde nel Paese all'inizio degli anni Ottanta, ma teme che la "pianta, che non si sa ancora se avrà vita, se rimangano solo piccole pianticelle sparse", (92) possa essere uccisa da un inserimento precoce nella logica partitico/elettorale e da un "discutere molto su come fare le liste e su chi mettere in queste liste e su come prendere percentuali elettorali e fregare le percentuali elettorali agli altri". (93) Propone invece che il movimento cresca "non col concime artificiale, non ingrassato con gli ormoni, ma appunto secondo un agricoltura biologica, con cibo sano e naturale e non con un ingrasso artificioso che rischierebbe di ucciderlo." (94)
Nel 1984 i tempi sembrano ormai maturi e Langer è tra i sostenitori di una Lista verde per elezioni europee, allo scopo di promuovere "un'ampia campagna di opinione su temi 'verdi', con un forte riferimento alla dimensione europea". (95) E' indubbiamente interessante - alla luce di quanto visto fino ad ora - notare come l'impegno di Langer nella formazione del movimento politico individui nelle dimensioni locale ed europea, piuttosto che nella competizione politica nazionale, i campi privilegiati di espressione elettorale e politica dei Verdi. Per quanto riguarda la formazione della lista, però, nonostante Liste verdi siano presenti in molti paesi europei e con buoni risultati elettorali (dal 4 allo 8%), in Italia non si riesce a dargli corpo:
In effetti ci sarebbero volute molte forzature per formare le liste "verdi", ed in ogni caso si sarebbe dovuto fare affidamento più sul prestigio di singole personalità e sul richiamo dei temi proposti che non su realtà organizzate ed operanti nel paese. D'altra parte la scadenza europea avrebbe permesso di accentuare il carattere di critica e progetto ideale che contraddistingue il discorso 'verde' oggi, consentendo di attivare ed aggregare persone e gruppi senza alcuna necessità di fare i conti con il potere locale o centrale (stabilirà di giunte, alleanze, ecc.). (96)
All'Assemblea Nazionale delle Liste verdi che si tiene a Firenze nel dicembre 1984, Langer è incaricato di tenere la relazione introduttiva. Vi riprende alcuni interventi precedenti ed articoli già pubblicati che, rielaborati, riproporrà ancora in futuro. (97) Il passaggio riguardante la forma organizzativa da dare al movimento, dopo aver ribadito il carattere di "terzo polo" che i Verdi dovrebbero assumere, si colloca alla fine del suo intervento. Langer insiste su una forma flessibile, aperta e decentrata, di tipo federativo tra liste locali, che possa in questo modo dare massima espressione alle differenze (98) e alle tendenze regionali o addirittura "campanilistiche".
Altrove, Langer ricorda che il rapporto privilegiato deve essere con la società civile: associazioni, movimenti, piccoli gruppi informali, realtà tematiche, singoli cittadini. Deve esistere una forma di coordinamento locale, oltre che nazionale, ma limitato a incombenze di tipo organizzativo come la convocazione di assemblee, la gestione e il coordinamento delle iniziative politiche, la tesoreria. (99) Può essere utile che tali ruoli siano svolti a turnazione, in modo da evitare la sclerotizzazione del movimento. Gli eletti e i militanti verdi non devono mai dimenticare di essere espressione degli elettori, di cui l'associazionismo del più vario tipo può rappresentare un canale di espressione importante, ma non sicuramente l'unico.
I consiglieri verdi non devono mai dimenticarsi in nome di chi parlano. Non certo a titolo personale. E' difficile, ma non può essere entusiasmante, ricercare in ogni momento le fonti della propria legittimazione: mai riducibili alle canoniche assemblee del gruppo di iniziati o amici, ma piuttosto, di volta in volta, individuabili nei protagonisti di una lotta, di un disagio, di una proposta o idea. Il segreto può essere forse sintetizzato così: mai rinunciare a riferirsi alla massa dei cittadini generici, ai movimenti, alle aree di opinione; mai farlo senza un gruppo strutturato di militanti costanti e attivi alle spalle; mai lasciare che questo gruppo diventi la cruna dell'ago e il filtro repressivo delle idee e delle proposte della gente o che si senta padrone della rappresentanza verde.
L'optimum sarebbero dei gruppi di lavoro (ovviamente aperti) permanenti su determinati temi, responsabilizzati anche in prima persona: Attenzione: non bisogna farne le tipiche e un po' vecchiotte "commissioni di partito", preoccupate di elaborare la linea di partito su un determinato argomento. Servono molto di più dei gruppi un po' manageriali, elaboratori di proposte concrete.
Organizzare delle strutture verdi ha senso se promuove il coinvolgimento di nuove persone, assicura una certa stabilità ed efficacia alle iniziative ed elaborazioni e, soprattutto, responsabilizza delle persone riconoscendo e valorizzando anche la loro autonomia. In linea di principio mi pare utile che tutte le strutture siano aperte (riunioni pubbliche, gruppi di lavoro aperti al contributo di chi lo desidera, eccetera) e basate su un coinvolgimento concreto nell'azione, non solo nella discussione. Nominare dei responsabili per determinate funzioni (portavoce, convocatori di riunioni, coordinatori di gruppi di lavoro, tesorieri, eccetera) può essere utile, soprattutto se c'è un certo ricambio. (100)
Anche nell'organizzazione politica, quindi, lo scopo di Langer è quello di creare reti di incontro e ponti (101) tra persone e realtà in qualche modo attive, così da creare una struttura policentrica (o priva di centro) ed eterogenea in supporto all'espressione più propriamente politica quale può essere l'eletto o il gruppo degli eletti.
La "Proposta di regola della lista verde alternativa per l'altro Sudtirolo" del 1988 e la conseguente "Dichiarazione comune di intenti delle candidate e dei candidati" sono probabilmente l'espressione più completa delle idee di Langer sui problemi organizzativi. Nella "Proposta", dopo aver indicato i 13 più votati quale Comitato di garanzia della lista, vi si legge:
Nell'occasione si vuole anche ricordare che la lista in senso stretto esiste solo nella fase elettorale vera e propria - ciò che rimane dopo, è un contesto di lavoro, di idee e di solidarietà simile ad una rete ed in gran parte di ordine informale, non un organizzazione formalizzata che, per essere tale, dovrebbe avere i suoi soci ed i suoi organismi ben definiti, delimitano puntualmente tra il "dentro" e il "fuori". . Strumento di servizio per quelle persone, iniziative, movimenti e idee che vorranno servirsene che tenta di individuare una via per svolgere un'attività di interventi politicamente efficaci senza essere e diventare un partito, un'organizzazione di iscritti o comunque un corpo separato a fianco della vita sociale reale. Va ricordato inoltre che la politica non può essere collocata al centro né della vita, né dello sforzo per la "conversione ecologica".
[La] lista verde alternativa per l'altro Sudtirolo, non è un partito, né intende diventarlo, e quindi non può essere fraintesa come organizzazione con i suoi iscritti, le sue sezioni, i suoi organismi, i suoi programmi ed i suoi statuti, bensì come una rete leggera, amichevole e conviviale che unisce persone, iniziative, gruppi, tendenze e idealità, cercando di rafforzarle ed arricchirle attraverso la solidarietà e l'interazione reciproca, preservandole dall'unilateralità e da ogni forma di aridità, promuovendo invece disponibilità all'apertura ed al rinnovamento. In questo contesto non esiste un'istanza centrale permanente e formale, così come è impossibile tracciare una netta demarcazione tra chi ne fa parte e chi no. Chi vi esercita una funzione o un compito, è ben consapevole che si tratta di fare posto e garantire sostegno a movimenti e iniziative che non si fanno rinchiudere nello stretto collo di bottiglia di organizzazioni o rappresentanze formali.
Non esiste alcuna iscrizione formale alla lista, salvo l'appartenenza - ovviamente formalizzata - delle candidate e dei candidati.
La diversità ed il conflitto di opinioni nell'ambito della lista dovrebbe condurre innanzitutto alla ricerca di occasioni, le più aperte possibili, di confronto e di discussione, cercando di coinvolgervi anche persone significative per l'esperienza o per l'opinione che esprimono, allargando ed arricchendo così il confronto. Qualora in tal modo non sia possibile giungere a posizioni comuni, vorrà dire che tutti i partecipi agiranno in nome della propria autonomia e responsabilità, evitando possibilmente amarezze, risentimenti e lotte personali di potere. Comunque non sarà mai la sola discussione "interna" a verificare la maggior o minore fondatezza delle varie posizioni in seno alla realtà sociale. (102)
Emerge quindi una diffidenza verso le forme partitiche tradizionali, frutto anche della presa d'atto di un impoverimento, o sostanziale fallimento, di quelle esperienze degli anni Settanta che, a un certo punto della propria storia, avevano voluto darsi una forma organizzativa di tipo classico, a cominciare dalla stessa Lotta Continua. (103) Scopo di Langer è chiaramente quello di non fossilizzare in una struttura rigida la varietà ideale e propositiva di una cultura ecologica come la veniva elaborando, cercando al contrario di rendere massimamente permeabile alla società ed ai processi sociali, culturali, politici ed economici che in essa si formano, (104) quel minimo di impalcatura organizzativa necessaria a qualsiasi movimento per sopravvivere alla contingenza. Senza considerare che forme organizzative elastiche del tipo prospettato da Langer avrebbero potuto dare massimo risalto alle diverse impostazioni culturali ed interessi concreti, consentendo la collaborazione politica tra tradizioni diverse, ad esempio tra conservatori e progressisti.
I timori di Langer - che nel 1988 si esprimevano nelle proposte organizzative per i Verdi sudtirolesi - trovano spiegazione anche con le caratteristiche che già nel 1987 il movimento verde italiano aveva cominciato ad assumere: caratteristiche di chiusura e di omologazione che Langer ritiene deleterie. Esprime il suo dissenso etichettando il movimento come "partito verde" e chiamando i suoi dirigenti "i Verdi che contano". (105) Le contraddizioni sarebbero esplose in occasione delle elezioni politiche del 1987 - nelle quali i Verdi erano presenti per la prima volta in modo organico - manifestandosi in una campagna elettorale segnata "da troppo spirito di partito (anzi, di partitino) e da insufficiente 'leadership' ideale e politica", da una carenza di iniziativa, di incisività politica e da una litigiosità eccessiva tra i Verdi stessi e tra loro e la società. (106) Langer vede i sintomi di una progressiva "istituzionalizzazione" dei Verdi, con una tendenza a chiudersi su sé stessi, con organismi dirigenti (e lotte di corrente) preoccupati di "fare la linea", esprimere prese di posizione, gestire la delega ricevuta dagli elettori trasformando il gruppo parlamentare in un "braccio secolare di qualche assemblea o comitato centrale o direttivo delle Liste verdi o delle associazioni", piuttosto che in un nuovo e più potente (ma più insidioso) strumento per sviluppare coscienza ecologica, elaborare cultura ed idee, interagire attivamente con la società facendo sentire nelle istituzioni la voce dei Verdi. (107) Propone quindi provocatoriamente di sciogliere le Liste verdi.
Mettendosi "in congedo dal servizio attivo nell'organizzazione rappresentativa delle Liste verdi" e proponendosi di "essere e muovermi decisamente 'altrove'", (108) scrive in una lettera al Coordinamento federale delle Liste verdi nel dicembre del 1987:
Con il nuovo assetto statutario, e la più precisa definizione di compiti, responsabilità, poteri, ecc. temo che tutto ciò non migliori affatto, ma che le cose diventino ancora più anguste: più ci si sente sicuri di sé, più rischia di farsi strada l'autosufficienza e la dedizione all'auto-amministrazione. Se avevo proposto di avere il coraggio di scioglierci, di rimettere cioè profondamente in discussione quel sedimento del già aggregato e del già omogeneizzato per rigenerarsi continuamente attraverso nuove iniziative e proposte che non sopporterebbero il nostro guscio troppo stretto ed impotente, l'ho fatto per evitare la chiusura su noi stessi ed il lento scivolamento nell'irrilevanza politica e culturale. Non dobbiamo e non possiamo chiudere lo spirito verde nella nostra bottiglietta, non dobbiamo accontentarci del piccolo stagno, quando la navigazione avviene in mare aperto. se posso apparire aristocratico, è forse per quel certo disprezzo - che davvero non nego - che ho per le piccole lotte, i piccoli intrighi, intorno ai piccoli soldi ed al piccolo potere. (109)
E' tuttavia convinto che il contributo culturale e politico dell'ecologismo sia ancora fondamentale. Continua quindi il suo impegno lavorando affinché il "verde reale" attragga e condizioni il "verde legale", e non viceversa, e moltiplicando i suoi sforzi nella creazione di ponti anche tra istituzioni e società. (110)
Nel 1989 i Verdi finalmente si presentano in tutte le circoscrizioni del Paese per le elezioni europee. Sono, in realtà, divisi in due organizzazioni differenti: il "Sole che ride" e i "Verdi-arcobaleno", formazione nata per iniziativa di esponenti ex-radicali e demoproletari e che si presenta come più marcatamente "di sinistra". Langer ritiene inutile e dannosa una divisione nel mondo ecologista e propone la convocazione di un "concilio verde" che possa promuovere una lista ampia ed unitaria, in modo da rompere l'idea, a suo parere già troppo consolidata, che ognuno possa semplicemente raccogliere il frutto della sua presenza parlamentare. Gli interessi di parte, però, hanno il sopravvento e le liste per le europee sono due. (111) I Verdi, nel loro complesso, sono accreditati di buone percentuali e della possibilità di conquistare cinque europarlamentari, e così sarà: tre per il "Sole che ride" e due per i "Verdi-arcobaleno". Tra gli eletti del "Sole che ride" anche Alexander Langer, che andrà a sostenere il convinto europeismo di cui è sempre stato promotore in un gruppo parlamentare verde, di cui è primo co-presidente, con forti connotazioni anti-europee come quello che per la prima volta si costituirà in seno a all'assemblea parlamentare europea.
Nel marzo del 1990 Langer scrive anche una bozza di documento che dovrebbe servire come manifesto per i Verdi europei, ma che non viene accettato perchè "troppo europeista". (112)
Nel frattempo Langer non aveva mai smesso di operare per far si che tutti i movimenti verdi europei, e non solo, si dessero una qualche forma di coordinamento. In particolare, a cavallo del decennio, si era adoperato per la nascita nell'Europa dell'est, che usciva dal comunismo, di movimenti ecologisti che potessero porsi al di fuori della logica imperante dell'occidentalizzazione forzata come strumento di crescita e di ammodernamento. La speranza era che "i Verdi fossero già un movimento pan-europeo, capace di portare la loro critica e le loro alternative sia nel campo dove aveva fallito il socialismo reale con i suoi guasti evidenti, sia in quello dove la crescita impazzita dell'espansionismo industrialista e di mercato aveva ormai accumulato una serie di bombe ad orologeria capaci di distruggere non solo un sistema economico e politico, ma addirittura l'ecosistema planetario." (113) Purtroppo i movimenti ambientalisti - che in molti di quei paesi avevano dato un contributo importante alla rivoluzione pacifica del 1989 - non ressero all'impatto del consumismo, al mito del facile arricchimento, alle diatribe interne su lotte di potere, ma anche su questioni politico-culturali, esaurendo così il proprio potenziale dopo la prima o la seconda tornata elettorale.
Langer, nel riprendere le riflessioni sulla struttura partitica che i Verdi vanno sempre più assumendo, comincia a chiedersi se non si sia ormai consumata una prima fase del ciclo politico ecologista. Forse bisogna avviare un ripensamento del ruolo dei Verdi, anche se "l'attuale deriva politicista del movimento verde rende quasi impossibile un simile sforzo entro il perimetro dei 'verdi politici' senza essere subito fraintesi, catalogati, strumentalizzati." (114) In una serie di articoli, interventi pubblici, riflessioni di vario tipo, Langer cerca di capire se esista effettivamente un'impasse come quella che lui vede e se e come si possa uscirne. (115)
In Italia si va verso il referendum che nel 1993 introdurrà plebiscitariamente il sistema elettorale maggioritario. Langer, pur non apprezzando il maggioritario, non partecipa a quella votazione e non si schiera né a favore né contro, ma prova un certo fastidio nei confronti del fervore catartico che circonda la scelta degli Italiani. Il nuovo sistema elettorale, secondo lui, può tuttavia rappresentare una sferzata positiva per il movimento dei Verdi in politica, (116) costringendoli ad agire come lobby politico-culturale e ritrovando così il loro ruolo di collegamento tra la società e le istituzioni:
E' possibile che un nuovo sistema elettorale, basato su criteri maggioritari o addirittura uninominale, metta i Verdi ben presto di fronte ad una nuova situazione istituzionale, in cui la traduzione politico-amministrativa delle istanze ecologiche non potrà più essere affidata ad un "partito" o una "lista" verde, ma dovrà articolarsi diversamente: con un ricorso assai più ampio al "lobbying", cioè alla pressione esercitata, in nome degli interessi ambientali, verso i decisori politici, e con il sostegno offerto a candidate/i che - pur non essendo esplicitamente "verdi" - offrano qualche garanzia di sensibilità e coerenza ambientalista. Salvo, ovviamente, poter avere anche singoli esponenti verdi, sufficientemente prestigiosi, come candidate/i eleggibili anche nel contesto di un sistema maggioritario (magari a doppio turno). (117)