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Politica di sicurezza

1.6.1990, da "Nuova Ecologia", maggio 1990
Il Parlamento Europeo, come del resto la stessa Comunità Europea nella sua attuale configurazione, non ha un vero potere in materia di armamenti, politica di sicurezza, questioni militari.

Ciononostante esso dedica una costante e notevole attenzione a tutto quanto attiene alla sicurezza, tanto da disporre - in seno alla sua Commissione Politica - di una sottocommissione "Sicurezza e disarmo" (nella quale rappresento il gruppo verde), e tanto da avere recentemente organizzato un'interessante audizione sulle prospettive della sicurezza europea, dopo il grande ribaltone dell'est. Evidente, in quella sede, l'imbarazzato sforzo degli esponenti della NATO di chiedere ai politici nuovi compiti ed, in certo senso, un "nuovo nemico", ed altrettanto evidente il superamento di tutta la politica dei blocchi sin qui concepita e praticata. Prevalenti, di conseguenza, le proposte di riconversione civile delle alleanze, e forte la convinzione che negli attuali rapporti est-ovest l'equilibrio sia notevolmente incrinato a sfavore dell'est. Da qui l'unanime invito a fare dei grandi passi in avanti nel disarmo convenzionale (erano presenti i negoziatori di Vienna sovietico e statunitense), e l'assai meno unanime - anzi, minoritario - nostro invito alla parte occidentale di compiere ora a sua volta qualche "ritirata strategica", per esempio ipotizzando una concezione non-militare della sicurezza europea che parta da una larga smilitarizzazione (non neutralizzazione) della Germania unita.

Sarà però in giugno che il P.E. discuterà in aula alcune questioni attinenti alla politica di sicurezza, trovandosi di fronte due interrogazioni contrapposte: una del democristiano tedesco Poettering (insieme a DC, qualche socialista tra cui Baget Bozzo, liberali, conservatori e gollisti) che chiede alla Comunità un suo più forte impegno per una comune politica degli armamenti e militare, ed una mia (sostenuta da verdi, molti socialisti, comunisti, sinistra unitaria, arcobaleno) che chiede invece un deciso impegno della Comunità per la conversione degli armamenti e dell'industria bellica e lo stop all'esportazione delle armi, sviluppando in avanti - di fronte alla nuova situazione europea - alcune indicazioni già assai positive contenute nella "risoluzione Ford", approvata nella primavera 1989 dal P.E.

Un dibattito di quel genere, introdotto da interrogazioni orali alla Commissione Esecutiva, al Consiglio (cioé ai governi degli stati membri) ed ai ministri degli esteri riuniti in sede di "cooperazione politica europea", e che si svolgerà quando la presidenza di turno sarà ancora gestita dalla neutrale Irlanda, normalmente si conclude con l'approvazione di una o più risoluzioni.

Ed è qui che cascherà l'asino. Perchè già è cominciata la raccolta delle firme di adesione alla presentazione di una risoluzione che impegni la Comunità ad una decisa accelerazione verso una politica di riduzione delle spese militari, di conversione dell'industria degli armamenti e di blocco delle esportazioni di armi. Sinora si sono registrate adesioni verdi (tutti), della "sinistra unitaria" (dove c'è il PCI: hanno già firmato Castellina, Catasta, Pasqualina Napoletano, Dacia Valent, Tullio Regge..), della coalizione di sinistra (PCF ecc.), "Arcobaleno" (tra cui Melis, federalista ed autonomista sardo), socialisti (soprattutto inglesi, ma anche altri, tra cui Carniti), non iscritti (come Marco Pannella). Si è ora in attesa se soprattutto tra i deputati italiani di altre formazioni, firmatari dell'"appello per un'Europa solidale e non-violenta", qualcuno o qualcuna apra la strada ad una possibile maggioranza per quella risoluzione.

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