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Nonviolenza obsoleta?

1.5.1991, Da "Azione Nonviolenta", Marzo 1991
Di fronte all'occupazione violenta del Kuwait da parte dell'Irak, ed alla sistematica azione degli USA e di alcuni fra i loro alleati per arrivare comunque alla guerra con l'Irak e realizzare una globale "resa dei conti" per impedirgli di nuocere in futuro, la non-violenza a molti sembra andata improvvisamente in crisi. La "guerra giusta" è riapparsa solennemente all'orizzonte - questa volta con tanto di voto a schiacciante maggioranza nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU e quindi con la legalità internazionale assicurata. Non poteva mancare qualche vescovo, qualche moralista e qualche elzevirista a benedire il tutto. "Pacifista" è tornato ad essere un sinonimo di fifone, piagnone o alto traditore e cospiratore col nemico, "non-violento" un aggettivo buono per i sognatori. Lo stesso Papa viene indicato come capofila del "disfattismo", visto che non cessa di denunciare e chiamare a fermare questa guerra.

L'argomento più forte dei sostenitori della "guerra giusta" (magari ribattezzata "azione di polizia internazionale") è di ordine storico-morale: "se Hitler fosse stato fermato già nel 1934, al momento dell'occupazione della Renania, si poteva forse risparmiare al mondo intero la tragedia del nazismo e della seconda guerra mondiale". Dove per "fermare Hitler" si dà per scontato che si debba leggere "fare la guerra a Hitler". E dove si dimentica che la coalizione anti-Hitler avrà, sì, battuto l'incubo del totalitarismo nazi-fascista, ma rifondato anche - su 40 milioni di morti - un ordine internazionale che ha tranquillamente consegnato mezza Europa ad un altro totalitarismo e l'intero sud del pianeta allo sfruttamento e, in molti casi, a vecchi o nuovi colonialismi e totalitarismi.

Se quindi è giusto fare tutto il possibile per fermare aggressioni, ingiustizie e soprusi, a partire dal chiamarli per il loro nome ed identificarli come tali, non mi sembra invece nè giusta, nè risolutiva l'idea di farne derivare con una sorta di funesto automatismo la sanzione bellica. Piuttosto la guerra nel Golfo (che fin d'ora appare - a dispetto di tutte le censure nell'informazione - ben più "sporca" di quanto non sia stata presentata, camuffata in geometrica potenza dell'azione chirurgica elettronica) dimostra che la non-violenza deve inventare nuovi strumenti, persuasivi ed efficaci, per ridurre il tasso di violenza nel mondo e per risparmiare bagni di sangue (che si chiamino guerra o repressione, che siano internazionali o interni). Ne provo ad indicare quattro, di cui mi sembra ci sia bisogno (potendoli qui appena accennare, naturalmente):

1) sviluppare l'arma dell'informazione e della disarticolazione della compattezza derivante da repressione, disinformazione, censura; perché non "bombardare" con trasmissioni radio e TV, con volantini, con documentazione, piuttosto che con armi? ("Radio Free Europe" o "Radio Vaticana" hanno fatto probabilmente di più per la destabilizzazione dei regimi dell'est che non le divisioni della NATO) Perchè non fornire supporti ed aiuti ai gruppi impegnati nei diversi regimi totalitari per i diritti umani, piuttosto che fornire armi agli Stati che un giorno si spera facciano loro la guerra?

2) costituire e moltiplicare gruppi/alleanze/patti/tavoli inter-etnici, inter-culturali, inter-religiosi di dialogo e di azione comune, piuttosto che dialogare solo da campo a campo o da blocco a blocco; è l'abbattimento dei muri, o perlomeno lo sforzo di renderli penetrabili (vedi l'esperienza inter-etnica dell'"altro Sudtirolo"!) Oggi uno dei "buchi neri" in questa crisi è l'assenza di forti legami inter-culturali ed inter-etnici tra arabi ed israeliani, tra Europa e mondo arabo, tra Cristianesimo ed Islam; non sono da disprezzare i molti "gemellaggi" tra Comuni, Regioni, associazioni, ecc., che avvicinano concretamente i popoli e rendono più difficile il consenso a "bombardare l'altro" (che si accetta di bombardare tanto più quanto meno lo si conosce);

3) lavorare seriamente per un nuovo diritto internazionale e per un nuovo assetto dell'ONU, basato oggi non solo sugli esiti della seconda guerra mondiale (con le sue "Grandi Potenze", i loro diritti di veto, ecc.), ma anche su un concetto ed una pratica di "sovranità degli Stati" poco consono al destino comune dell'umanità. La tradizionale distinzione tra "affari interni" che esigono la non-ingerenza degli altri (per cui torture e massacri non riguardano la comunità internazionale, finchè non scoppia un contenzioso tra almeno due Stati) ed "internazionali" non regge alla prova delle emergenze ecologiche, nè dei diritti umani;

4) chiedere all'ONU di promuovere una sorta di "Fondazione S.Elena" (nome dell'isola in cui alla fine fu esiliato Napoleone, tra gli agi e gli onori, ma reso innocuo), per facilitare ai dittatori ed alle loro sanguinarie corti la possibilità di servirsi di un'uscita di sicurezza prima che ricorrano al bagno di sangue pur di tentare di salvarsi la pelle (Siad Barre, Ceausescu, Marcos, Fidel Castro, il re del Marocco, Saddam Hussein... potrebbero o potevano utilmente beneficiarne piuttosto che giocare il tutto per il tutto); la questione di amnistie e indulti per chi è abbastanza lontano ed abbastanza vigilato da non poter più fare danni, non dovrebbe essere insolubile.

Ho scelto appena alcuni esempi, tra i molti che si potrebbero fare (pensiamo solo alle diverse possibili articolazioni dell'embargo commerciale, sportivo, scientifico, ecc.), perchè sono convinto che oggi il "settore R&S" (ricerca e sviluppo) della non-violenza debba fare grandi passi avanti e non fermarsi solo alle ormai tradizionali risorse della disobbedienza civile. E la spaventosa guerra in corso non deve farci fare tutti quanti un salto indietro, riammettendo la guerra tra i protagonisti della storia e tra gli strumenti - seppur estremi - della convivenza tra i popoli. Con il livello odierno di armamenti, di affollamento demografico del mondo e di precarietà ecologica del pianeta comunque non ci può più essere più "guerra giusta", se mai ve ne poteva esistere in passato.



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