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Le radici europee

1.3.1985, "Socialismo Oggi", Marzo 1985 Anno II - N. 1
Una parte delle attenzioni che oggi la stampa e l'opinione pubblica riservano ai cosiddetti verdi è dovuta al riflesso di risultati elettorali in alcuni paesi europei, e in particolare alla comparsa di formazioni verdi in occasione delle elezioni per il rinnovo del parlamento europeo nel 1984.

Con un 8% di voti in Germania Federale e in Belgio, con percentuali di tutto rispetto (dal 4 al 6%), in Olanda, in Francia e in Lussemburgo, e con una presenza significativa in altri paesi, non membri della Cee (Austria, Svezia, Finlandia, Svizzera), i verdi si sono dimostrati forza politica emergente con cui ormai bisogna fare i conti.

Sembrerebbe, dunque, a prima vista, un allargamento dell'arcobaleno politico: con gli "ecopacifisti" una nuova famiglia politica entra in campo che da tempo non si era più arricchito di significativi nuovi ingressi, dopo che alla fine dell'Ottocento si era costituita e radicata la presenza socialista, negli anni '20 del Novecento quella comunista e infine, sempre negli anni '20 e '30, la componente fascista.

Ma sarebbe una vittoria troppo semplificata e riduttiva, perchè se è vero che i verdi sono approdati, in molti paesi, anche alla scelta di "buttarsi in politica", essi tuttavia non sono in primo luogo e quasi naturalmente una componente dell'arco politico rappresentativo.

Molto di più, una proposta verde rispecchia un mutamento di giudizio sull'attività tecnologica, industriale, espansiva nel suo insieme, ed una scelta contro il modello di sviluppo - universalmente dominante nel mondo industrializzato o in via di industrializzazione - basato sulla crescita quantitativa del prodotto, del mercato, dei consumi, dell'investimento energetico, del dominio, del controllo sociale, degli armamenti, dello sfruttamento delle risorse, della mercificazione e burocratizzazione di ogni settore della vita, in tutte le latitudini della terra, e anche oltre (per esempio nello spazio).

L'allarme per il bosco che muore, i deserti che avanzano, i mari che si atrofizzano, il territorio che si degrada, le risorse energetiche che si sprecano e si sostituiscono con energie in controllabili, i cibi adulterati, le metropoli invisibili e particolarmente ostili a vecchi, bambini, handicappati, le specie animali o vegetali che si estinguono, l'atmosfera che vieni inquinata, le acque che scarseggiano e non sono più pulite, le monocolture, l'agricoltura trasformata in campo di applicazione della chimica pesante, la stessa possibilità di manipolazione genetica: tutto questo, messo insieme all'allarme per la corsa agli armamenti e alla reale possibilità di un olocausto nucleare, e alla consapevolezza che milioni di persone muoiono annualmente anche in "tempi di pace" per gli effetti della normalità fisiologica del cosiddetto sviluppo (fame, malattie, urbanesimo selvaggio, rapina di materie prime, ecc.), provoca una profonda crisi di coscienza: si genera da qui non tanto la rivendicazione di un governo diverso o di una distribuzione diversa della ricchezze tra le classi sociali all'interno delle società sviluppate, bensì una critica ed autocritica radicale che coinvolge le stesse idee di progresso e di sviluppo.

Sicuramente al fondo della presa di coscienza verde sta per molti versi un "allarme", un forte bisogno di tirare il freno di emergenza (come dice Klaus Offe, richiamando Walter Benjamin), decelerando e possibilmente fermando un treno in corsa verso abissi non più tanto lontani. In questo senso la "cultura del limite" (che enfatizza la scarsità o la finitezza delle risorse, da un lato, e gli eccessi arrivati al limite, dall'altro), è un elemento essenziale e di spicco di un nuova consapevolezza morale e politica. A questo si coniuga un sedimento cospicuo, ma disincantato, degli ideali e delle lotte degli anni '60 e '70. Il bisogno di ugualitarismo, di liberazione, di parità sessuale, di comunicazione, di abbattimento di gerarchie, di giustizia sostanziale, di democrazia non solo non diminuisce sotto l'incalzare della catastrofe ecologica o nucleare, ma assume nuove forme; meno ideologiche ed assolute, magari, e più attente alle utopie concrete ed imperfette; meno totalizzanti e più riversibili (o "biodegradabili"); soprattutto meno esclusive e decisamente più empiriche e pluraliste. Nella formazione di una cultura verde o alternativa, svolge un ruolo da non sottovalutare il nuovo sapere critico acquisito sull'onda dei movimenti del 1968: dalla medicina alla pedagogia, dall'architettura al diritto, dall'ingegneria all'urbanistica o alla psicologia. La critica radicale al modello di sviluppo espansivo "della crescita" genera una attenta e multiforme ricerca e sperimentazione alternativa , alla scoperta di modelli decelerati, decentrati, non violenti, comunicativi, anti-gerarchici, partecipativi di produzione, consumo, convivenza, trasporti, salute, abitazione, cultura, apprendimento, educazione, organizzazione sociale e politica, applicazione della tecnologia e così via. "Self-reliance", auto -realizzazione, sussistenza (non mercato), sviluppo qualitativo e multidimensionale, contatto col la natura, cooperatività (non competizione), valori d'uso (non di scambio), e una fondamentale auto-limitazione, sono alcuni tratti caratteristici di una cultura verde che - soprattutto in Italia - è appena in via di crescita, talvolta addirittura solo in stato nascente.

Conseguentemente tra i verdi d'Europa è assai diffusa la teoria e la pratica della sperimentazione alternativa, della costruzione di ambiti autonomi di iniziativa e di autogestione, più che la tradizionale cultura politica orientata a influire sulla gestione del potere o tesa alla sua conquista.

In un certo senso si potrebbe forse dire che l'emergere di formazioni verdi e alternative, costituisce, in qualche modo, un tentativo di "dichiarazione di indipendenza" rispetto ad alcune dinamiche centrali e riconosciute della civiltà dominante: e questo vale per la corsa agli armamenti ed il sistema dei blocchi politico-militari non meno che per il sistema di produzione e di consumo, per l'organizzazione della vita quotidiana non meno che per la tradizionale logica politica (destra/sinistra, conservatori/progressisti, ecc.).

Nella pratica dei verdi europei, poi, la gamma di oscillazioni è assai vasta: dalla diffusa e sistematica costruzione di contropoteri disseminati nel territorio e in numerosi ambiti della vita associativa, privilegiando l'allargamento e il consolidamento della propria autonomia piuttosto che momenti di conflitto con lo stato, fino alla propria emarginazione (scelta o subita) nei ghetti dell'alternativismo minoritario. E le opzioni di fondo possono anch'esse oscillare tra un radicale rifiuto di ogni forma di collaborazione con il sistema e la conseguente scelta di svolgere anche sul piano politico una funzione di opposizione "fondamentalista" (che in nome del "vivere senza armi" rifiuta ogni compromesso gradualista e che pretende lucidamente e radicalmente la chiusura delle produzioni nocive o inquinanti) e una sperimentazione riformista (Realpolitik) condotta contemporaneamente attraverso una politica delle alleanze e delle trattative e l'incentivazione di una rete di ambiti alternativi autonomi (cooperative, iniziative popolari, strutture autogestite, strumenti di democrazia diretta, ecc.).

In ogni caso è già chiaro che i verdi, quando si organizzano, come forza politica, non possono essere visti - né loro stessi si intendono tali - come naturale e scontano prolungamento delle tradizionali battaglie e dei tradizionali schieramenti della sinistra, ma che costituiscono piuttosto un polo di aggregazione, di ispirazione ideale e di iniziativa autonoma e sostanzialmente trasversale rispetto alle polarizzazione consolidate.

Ci si chiede oggi in Europa (e se lo chiedono in primo luogo le grandi socialdemocrazie tedesca e austriaca, ma anche i comunisti ed i socialisti in Italia, i socialisti francesi, le sinistre in Olanda ed in Belgio e altri ancora), se l'ingresso dei verdi sulla scena politica renderà sostanzialmente ingovernabili i sistemi rappresentativi e parlamentari esistenti, rivelandosi i verdi dei veri e propri destabilizzatori (consapevoli) nei confronti di quelle che definiscono le "coalizioni industrialiste della crescita", o se si possa in qualche modo venire a patti con loro. Qualcuno invece vede nei verdi i naturali successori di quelle formazioni minori (liberali, soprattutto) che si prestano quali potenziali alleati sia per i partiti conservatori che per quelli di sinistra. Ed é nota la propensione di Willy Brandt a vedere nei verdi i possibili partner di una "maggioranza al di qua della destra". Altri (come la sinistra italiana) sembrano sperare piuttosto che i verdi, pur sviluppando una spinta innovativa, rimangano al di sotto della soglia di accesso autonomo della rappresentanza politica e arricchiscano piuttosto dall'interno le tonalità comprese nelle forze politiche esistenti.

Per ora è ancora troppo presto per prevedere quale ruolo politico le formazioni verdi potranno rivestire nel sistema di alleanze dei diversi paesi, e non è improbabile che di fronte ad una loro sostanziale non-integrabilità nel tradizionale sistema di alleanze, per alcune situazioni, ove si fronteggiano uno schieramento "conservatore" e uno "progressista" di pari dimensioni, i partiti finiscano per rispondere formando "grandi coalizioni": per difendersi da una contestazione "fondamentalista" o comunque radicalmente ecologista e pacifista, i partiti socialisti e conservatori, normalmente contrapposti, potrebbero preferire allearsi fra loro, lasciando i verdi all'opposizione e accentuando i caratteri di regime dei governi così costituiti. I primi banchi di prova si avranno nei prossimi anni in alcune situazione regionali (Assia, Berlino, Amburgo, ecc. in Germania Federale), ma anche nazionali (Austria e ancora Germania federale).

Una cosa comunque si può prevedere fin d'ora con una certa sicurezza: che i verdi nel prossimo futuro rappresenteranno piuttosto degli "organi di coscienza" che veri e propri partiti politici: stimoli alla critica pratica della società militarista e industrialista, autoritaria ed espansionista, e momenti di contestazione di fondo, magari con proposte radical-riformiste, ma non principalmente potenziali alleati di maggioranze governative.

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