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Quando non si vogliono riconoscere i fenomeni di estrema destra … - traduzione di christine stufferin

I tirolesi hanno spesso la tendenza a idealizzare se stessi oppure si sovrastimano – come peraltro tutti i popoli. Per fare un esempio, amiamo definirci la prima democrazia d’Europa (o almeno una delle prime), o persino del mondo, in cui i contadini hanno avuto voce in capitolo. Poi però siamo anche molto orgogliosi della nostra fedeltà secolare alla dinastia degli Asburgo (quasi 600 anni, e non è certo colpa nostra se è tramontata). E andiamo pure fierissimi della nostra forte e spiccata identità territoriale – oggi forse si direbbe regionalismo o autonomismo – tanto da non temere nemmeno le prove di forza con Vienna (per non parlare di Roma o Bruxelles). Consideriamo l’eredità del mondo contadino ciò che caratterizza l’essenza della nostra provincia (sì, è vero, anche i nobili e la borghesia sono stati importanti, ma il mondo rurale di più). Siamo fortemente ancorati alla tradizione cristiana cattolica e continuiamo a sigillare il nostro patto di fedeltà con giuramenti e feste che fanno del Sacro Cuore e dell’Assunta i nostri alleati più sicuri, per cui generalmente concediamo potere e onori particolari alla Chiesa cattolica e ai suoi prelati. I tirolesi restano comunque inclini al timore reverenziale e all’ubbidienza nei confronti delle autorità. Non ci si vergogna di guardare con una certa diffidenza a qualsiasi novità e di aver fatto dell’atteggiamento conservativo un tratto peculiare. Tutto ciò lo mascheriamo volentieri esaltando il nostro senso e amore della libertà, come se fossero nostre virtù ancestrali che ci dichiariamo sempre disposti a difendere anche con l’uso delle armi.

Questa “ideologia tirolese” (come vorrei chiamarla per analogia all’Ideologia tedesca) non è una caricatura, e non è espressione di disprezzo. È piuttosto una descrizione per sommi capi di come il popolo tirolese vede se stesso, e di come questa percezione si sia evoluta, soprattutto dal Cinquecento in poi.

Ma perché proprio dal Cinquecento? Perché questo corpus spirituale, culturale e ideologico si è sostanzialmente formato, e di seguito consolidato, dopo e grazie alla repressione della rivolta contadina tirolese che si voleva riformatrice, e alla controriforma cattolica sostenuta dagli Asburgo.

In questo contesto vorrei introdurre il concetto di “rigetto o espulsione dei corpi estranei”, attorno al quale vorrei sviluppare alcune mie riflessioni. In passato sono diventati corpi estranei idee, ambizioni e movimenti che non coincidevano con le idee precostituite, e che quindi disturbavano il mondo ordinato e tramandato. Nella storia tirolese questi sono regolarmente finiti sotto la scure di questi “anticorpi” straordinariamente vigili e attenti che hanno efficacemente provveduto a combatterli, allontanarli e neutralizzarli.

Basti pensare a com’è andata in Tirolo con il protestantesimo nelle sue varie sfaccettature: alla fine c’è stata una vera e propria cacciata. Oppure ricordiamoci della sorte degli ebrei tirolesi. O pensiamo alla massoneria e all’illuminismo in generale, indipendentemente dal fatto che venisse da Vienna, da Monaco o persino (oddio, che orrore) sulle baionette napoleoniche. Pensiamo al rifiuto del liberalismo politico – la lotta per una scuola laica, il Kulturkampf (il conflitto tra Chiesa e Stato) e la discussione sulla libertà di culto in Tirolo poco più di cento anni fa ne sono un esempio. Oppure ricordiamoci della freddezza con cui in Tirolo furono accolte certe idee repubblicane o persino socialiste. Non serve particolare acume per riconoscere nel culto di Andreas Hofer la più alta celebrazione di questo convincente e alla fin fine efficace rigetto dei corpi estranei.

Con questo non voglio certo dire che idee riformatrici e venute da fuori non siano comunque state accolte e diffuse anche da noi – le suddette, ma anche altre. Però hanno tutte dovuto sormontare un ostacolo fondamentale: hanno dovuto prima combattere contro l’esplicito o velato rimprovero che si trattasse di un pensiero non tirolese, quindi, alieno alla nostra terra di montagna e senza ragione di esistere, un qualcosa di estraneo, non autoctono, che pertanto andava efficacemente e spontaneamente respinto (tanto il meccanismo era ormai inconscio e interiorizzato).

Ma ora bisogna chiedersi per quale motivo, a partire da un determinato momento storico, questo efficace meccanismo abbia iniziato progressivamente a non funzionare più in alcune direzioni, e proprio nei confronti di tendenze favorevoli al nazionalismo tedesco, che più avanti diventarono fasciste e nazionalsocialiste, e si è manifestata una sorta di condizione di immunodeficienza.

Per quale motivo, per fare un esempio, l’assalto alla facoltà italiana di giurisprudenza a Innsbruck all’inizio del secolo non è stata percepita come qualcosa di non tirolese e quindi condannata? Per quale motivo i fanatici pangermanisti che hanno cambiato il nome ai paesi, alle città e alle campagne trentine non sono stati stigmatizzati come provocatori non tirolesi? Per quale motivo – dopo la disgregazione dell’unità tirolese – tirolesi importanti che vivevano a sud del Brennero hanno ben presto elogiato il fascismo come forma di governo adeguata, anche se purtroppo italiana, e tirolesi importanti a nord del Brennero hanno finito per apprezzare l’autoritario austrofascismo cristiano-sociale, senza avvertire minimamente che si stavano allontanando dal tanto decantato amore per la libertà e la democrazia?

E infine per quale motivo i tirolesi – in massa, al di qua e al di là della nuova frontiera di stato – accolsero con favore Hitler, l’annessione, i suoi deliri sulla razza, le sue uniformi, le sue bandiere sporche di sangue, il suo partito terrificante, i suoi sproloqui sulla Grande Germania? Non ci eravamo votati alla nostra – se proprio millenaria – piccola terra (quel “Landl” tanto decantato in “Tirol isch lei oans” – mio Tirolo sei unico) in cui persone di varie lingue convivevano da sempre e si sentivano appartenenti allo stesso territorio? Come hanno potuto i tirolesi assistere impassibili quando gli ebrei sono stati costretti a pulire il marciapiede con i loro spazzolini… e poi sono spariti per sempre? Come hanno potuto esaltarsi per la Wehrmacht e le sue spedizioni di conquista in Finlandia e Romania, se da secoli si era sempre stati fieri del fatto che i tirolesi avevano sempre solo combattuto per difendere il proprio territorio? E per quale motivo un popolo a sud del Brennero e con profonde radici contadine ha potuto lasciarsi sedurre e abbagliare al punto da dichiararsi disposto, per il bene del Führer, ad abbandonare, optando, la propria Heimat e finire a sorvegliare le frontiere in Alsazia, Slesia o Crimea?

Cosa era successo, perché una massa di tirolesi auspicasse la vittoria finale di Hitler come il più alto obiettivo di portata storica?

Certo, anche in Tirolo c’erano persone che mettevano in guardia, i dissidenti, la resistenza e persino il martirio – davanti a chi ha combattuto e alle vittime dobbiamo ancora oggi inchinarci riconoscenti. Ma quell’espulsione dei corpi estranei che in passato era stata così efficace non aveva minimamente funzionato nei confronti della maledizione bruna, e nei confronti della maledizione nera dei fasci littori qualcosa si era mosso solo perché vissuta come una oppressione straniera, e quindi aveva fatto scattare l’immunizzazione contro i corpi estranei.

Anche guardando a capitoli più recenti della storia tirolese, troviamo conferma del fatto, che l’espulsione dei corpi estranei non scatta sempre, ma avviene in modo molto selettivo. L’“anarchismo di sinistra” (come leggo nella stampa di questi giorni) suscita allarme e scalpore, ma l’entusiasmo per la marcia con la corona di spine nel 1984 oppure per il fastoso banchetto delle associazioni pangermaniste a Innsbruck nel 1994 sembra immune dall’accusa di essere qualcosa in contrasto con lo spirito tirolese – piuttosto si considerano corpi estranei i dimostranti antifascisti. I numerosi falsi amici (filonazisti) del Tirolo, e soprattutto del Sudtirolo, provenienti da Norimberga, Monaco, Mondsee, Linz, Carinzia, Salisburgo o persino dalla Slesia, non possono certo vantarsi di riscuotere chissà quale successo, ma spesso nei loro confronti si manifesta meno diffidenza o lontananza di quanto, per esempio, si faccia nei confronti di democratici di sinistra o liberali impegnati a favore della convivenza e dell’intesa tra i popoli.

Cosa è successo con il “sentimento popolare tirolese”, e come è possibile che ogni volta ci si debba giustificare se si combattono il filonazismo e la voglia di una Grande Germania, e non invece quando si inseguono questi sogni?

Diciamolo subito: non credo che un atteggiamento autenticamente conservatore di per sé implichi il rifiuto di vedere o riconoscere gli atteggiamenti di destra o persino il rischio di scivolare verso l’estremismo di destra. Autentica conservazione, convinta adesione ai valori trasmessi (che non sono necessariamente rapporti di potere e proprietà), una consapevolezza ben radicata di ciò che è la patria e la fedeltà vissuta e praticata nei suoi confronti, un autentico insistere sulla specificità, la trasmissione, la fede, la lingua, la cultura, un maturo rifiuto della modernizzazione (soprattutto se imposta da fuori) e un conseguente impegno contro riforme indesiderate non sono in alcun modo l’anticamera del fascismo. Si può forse dire persino il contrario: il moderno totalitarismo – a cui il fascismo e il nazionalsocialismo hanno dato una possibile veste storica – trova le sue radici (consentitemi il gioco di parole) nello sradicamento di persone (ma anche interi gruppi e strati sociali) che non hanno più una patria e una loro identità. La mancanza di radici rende molto più vulnerabili di quanto non lo faccia un vero conservatorismo.

In questa prospettiva si può forse vedere nel grande sradicamento dei tirolesi – che essenzialmente comprende due aspetti dello stesso evento storico, vale al dire la fine della vecchia Austria e la divisione imposta del Tirolo – uno dei motivi del mancato funzionamento dell’espulsione dei corpi estranei – almeno, in buona parte, quelli dovuti a cause esterne.

Però non possiamo ignorare la parte del mancato funzionamento di cui siamo causa noi stessi – e qui bisogna verificare nuovamente l’idea o l’immagine che ha di sé la popolazione tirolese, così come descritta sopra.

Possiamo affermare che l’impostazione originaria del carattere tirolese mostra evidenti segni della repressione della rivolta dei contadini e del trionfo dell’assolutismo asburgico controriformista, e che il senso dei tirolesi per la ribellione, la critica (e l’autocritica), il pluralismo, il dissenso, il conflitto democratico, la solidarietà attiva dei deboli e altro ancora ne risultarono compromessi in modo definitivo. (Per questo non è un caso che Michael Gaismair non è più considerato un eroe del Tirolo, mentre Andreas Hofer o Franz Innerkofler rientrano benissimo nel sistema basato sul rigetto dei corpi estranei.)

Non deve quindi meravigliare che il Tirolo non fosse proprio un ambiente propizio per opporre resistenza al nazismo e al fascismo: persino di fronte all’odiato fascismo italiano prevaleva soprattutto la rassegnazione, sebbene si fosse già andati ben oltre il sopportabile.

Inoltre nelle regioni in cui serpeggiano latenti conflitti etnici o di confine (vedi anche la Carinzia o Trieste) il seme dell’intolleranza germoglia e aumenta il pericolo di derive autoritarie – e questo i promotori del raduno dell’ultimo fine settimana lo sapevano molto bene e hanno tentato di approfittarne. Per noi tirolesi democratici a nord e a sud del Brennero ciò comporta invece un impegno decisamente maggiore e più consapevole per spezzare l’incantesimo e allontanare il nazionalismo, il fascismo e l’estremismo di destra e fare in modo che la democrazia e la tolleranza si radichino diventando una cosa nostra.

Se è vero che “l’ideologia tirolese” ha creato un’identità così compatta con un meccanismo così vigile in grado di espellere corpi estranei, bisogna chiedersi, come si può contribuire a isolare e denunciare la componente “estranea e non tirolese” nei comportamenti fascisti, razzisti e populisti, come pure in quelli consumisti e ossessionati dalla crescita? Nel contempo bisogna però anche trovare il modo per valorizzare le radici tirolesi negli sforzi in cui crediamo di riconoscere una misura maggiore di umanità, democrazia e solidarietà.

Ci sono anche stati alcuni apostoli del progresso che del tutto in buona fede erano convinti che per introdurre modernità e liberalismo, assieme a Dio sa quale altra magia del progresso, bastasse denunciare l’arretratezza del territorio ed esporre la tipicità tirolese alla derisione urbana e alla diffidenza illuminata e cosmopolita, nell’illusione che la “tabula rasa” così creata potesse essere un solido fondamento per un’apertura verso il mondo del tutto opportuna e necessaria.

Sinora l’ipotesi, per cui le forze socialmente e democraticamente sensibili dovrebbero riuscire ad imporsi, non si è ancora verificata. Piuttosto si è imposta tutt’altra gente che con l’ausilio di false insegne tirolesi semplicemente rinnovate con un nuovo look (dall’abbigliamento alla lingua, dalla benedizione della chiesa all’approvazione politica) ha convinto la gente a rinunciare a valori e tradizioni per avere in cambio autostrade, skilift e megaalberghi.

Ma perché dovremmo lasciare che siano i reazionari, i fascisti, oppure i manager del turismo e certi funzionari di partito, di associazioni di categoria o della chiesa, a definire la natura della popolazione tirolese e usarla per i propri fini, considerandola di loro proprietà?

Se alla risorgente cecità, condiscendenza o persino complicità con i movimenti totalitari e filofascisti – anche in Italia, dove oggi con Berlusconi per la prima volta nell’occidente democratico è al governo un’organizzazione di chiara impronta fascista – ci limitiamo a rispondere con una mobilitazione antifascista, analisi cervellotiche, ricordi nostalgici della Resistenza, dotte disquisizioni politiche oppure anatemi e scomuniche, abbiamo perso in partenza.

Se quel fondo comune di autocoscienza, che ci è stato tramandato, viene lasciato senza grandi remore ai vari Haider e Berlusconi, e se per creare un’alternativa dobbiamo faticosamente liberarci (o persino farci liberare) da tutto ciò che rientra tra le amate abitudini dei nostri concittadini medi perché non siamo in grado di eliminare dalla nostra idea di umanità e democrazia quella connotazione di corpo estraneo, allora siamo veramente messi male.

Per questo motivo vorrei infine soffermarmi su alcune nostre doti tirolesi – forse un po’ nascoste – che meglio di qualunque divieto e appello mostrano come il nostro modo di intendere la fedeltà alla nostra patria e la vicinanza al mondo sia più che consono e legittimo, mentre nazionalismo o persino razzismo, fascismo in ogni sua forma e istigazione nazionalista (oppure lo sciovinismo in ogni sua accezione) sono contrari e avversi allo spirito tirolese.

Di questi elementi che dobbiamo valorizzare e mettere meglio in luce se vogliamo vincere la sfida, ne vorrei citare quattro – nella speranza di dare maggiore valore e riconoscimento a questi aspetti della tanto citata specificità tirolese:

1 – la tradizione democratica del Tirolo, che non può limitarsi al fatto che sin dal Medioevo abbiamo avuto una dieta composta da rappresentanti delle quattro classi sociali;

2 – la tradizione della convivenza di diverse lingue e culture: tedesco, italiano e ladino sono da secoli lingue autoctone, il popolo tirolese è sempre stato l’esatto contrario di ciò che si può immaginare rispetto alla purezza della specie o alla pulizia etnica;

3 – una tradizione sociale che ha permesso, anche senza misure e garanzie statali, di creare un’efficace rete sociale in cui i più deboli possono trovare sostegno solidale;

4 – una tradizione nell’avere un rapporto attento e rispettoso con la natura e nella cura ambientale, che ha saputo evitare un miope saccheggio per fare soldi in modo rapido.

 

Anche se questi aspetti non sono così evidenti nell’”ideologia tirolese” dominante – anche per i succitati motivi – non vuol dire che si possa negare la loro legittimità e diritto di esistenza.

Sarebbe auspicabile, se riuscissimo, nel nostro comune intento di resistere alle sirene totalitarie, a valorizzare alcune nostre radici tirolesi sostanziali e innegabili – accanto alle molte altre, alle quali comunque ci ispiriamo – e dare loro nuova forza. Movimenti “anti” qualcosa, resistenza, protesta, misure di legge sono spesso necessari. Ma alla fine si otterranno maggiori risultati se siamo persuasivi e convincenti nel dimostrare che umanità, democrazia, solidarietà, giustizia e diritti umani, pace, conservazione della natura sono valori più alti e più credibili che non Blut und Boden (sangue e suolo), nazione, razza, potere, soldi e consumo.

 

Pubblicato nel settimanale Südtirol Profil

7 novembre 1994

Titolo orginale: Am rechten Auge blind

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