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Piccolo vademecum dell'ecoeletto

1.6.1985, La Nuova ecologia giugno 1985
La verde avventura. Un po' talpa delle istituzioni un po'giraffa che guarda avanti. Qualche consiglio per far pesare la minoranza verde, non farsi stritolare dalla macchina amministrativa e non scordarsi di chi è restato fuori

Mesi fa, interpellato da "Nuova Ecologia", mi ero permesso di dare alcuni modesti consigli a si accingeva a costruire liste verdi. Ora è la volta dei consigli - altrettanto modesti - agli eletti. Dunque: che fare nei consigli regionali, comunali, provinciali per rinverdirli?
Per buona tradizione disporrò i miei suggerimenti in forma di decalogo. E dirò subito che considero i radicali italiani e i verdi tedeschi come i migliori maestri in fatto di uso alternativo dei parlamenti, dai quali c'è un sacco da imparare, senza che li si debba per questo scimmiottare.

1) Il mondo non nasce con noi ma la gente ha diritto ad aspettarsi molto.
Con i verdi che entrano nei consigli non bisogna attendersi certo la palingenesi della politica. Sarà bene mantenere un atteggiamento di modestia, non di chi pretende di "spaccare tutto", e non lasciarsi cucire addosso alcun cliché preconfezionato: né quello del finto galateo istituzionale, nè quello del "Giamburrasca" a tutti i costi. Ma, va anche dato subito qualche segno di novità: i verdi tedeschi sono entrati con i fiori e le piante sui banchi, e hanno scelto di sedersi sugli scranni più trasversali possibili. Ma i segnali non dovranno essere solo ad effetto ottico. Per esempio, potrebbe essere di grande utilità (ma di difficile perseveranza nel tempo) istituire una postazione fissa di verdi in tribuna, con persone, che a turno, seguono le faccende del consiglio, amplificandole tra la gente e presso la stampa o parlandone a qualche radio libera.

2) Portare lotta dentro e informazione fuori
I consigli sono molluschi vischiosi che tendono ad assimilare che ormai non si può più espellere. Il rischio maggiore degli eletti verdi è quello di farsene risucchiare. Ma non sottovaluterei neanche il pericolo opposto: di cadere nel disprezzo del consiglio, dei colleghi, delle regole del gioco, della possibilità di incidere. Portare iniziative e lotta nei consigli, e tanta informazione fuori, alla gente: riassumerei così l'obiettivo della nostra presenza istituzionale oggi.
Non conviene farsi l'idea di poter seguire tutto e competere con le vecchie formichine del consiglio. Non sarà la diligenza, lo zelo onnicomprensivo, la principale caratteristica del consigliere verde.
Ma tra la formica e la cicala, forse esiste un'altra strada, una specie di combinazione tra la vecchia talpa e, che so, la giraffa, che si alza in alto e guarda più lontano.
La credibilità del consigliere verde non risiede principalmente nel consiglio, ma non nuoce farsi apprezzare e conquistarsi l'ascolto derivante da una certa autorevolezza. Occorre grande sensibilità e disponibilità e comportamenti non convenzionali (e va sottolineato che l'eterodossia bisogna affermarla anche verso la sinistra).
Per non affogare nel consiglio vanno tenute in grande conto le iniziative esterne: dal sit-in (o go-in) alla raccolta di firme, dall'azione sceneggiata al digiuno, dalla "visita guidata ai problemi della città" alle visite improvvisate nei luoghi della vita quotidiana: le file agli sportelli, gli ospedale, le mense, le fabbriche, la centrale del latte, l'acquedotto, il carcere (per i consiglieri regionali è possibile entrarci).

3) Democrazia del conflitto, non del consenso
I verdi ritengono essere portatori di pace: tra gli uomini, con la natura, tra i popoli. Ma per poterlo fare è necessario rendere manifesti quei conflitti e quelle ingiustizie strutturali, insite nel sistema che vengono coperte e mistificate dalle ovattate regole del gioco. In genere il nostro sistema funziona in modo tale da spostare più in là (nel tempo e nello spazio) i costi che impone: l'inquinamento, le guerre, la miseria. La città razzista e invisibile per handicappati e anziani verrà cambiata più facilmente con azioni di disubbidienza civile e di conflitto simbolico che non con le sole mozioni in consiglio regionale o comunale.

4) Il non partito all'opera
I consiglieri verdi non hanno la rassicurante struttura e i processi decisionali formalizzati di un partito alle loro spalle. Ma non devono mai dimenticarsi in nome di chi parlano. Non certo a titolo personale. E' difficile, ma non può essere entusiasmante, ricercare in ogni momento le fonti della propria legittimazione: mai riducibili alle canoniche assemblee del gruppo di iniziati o amici, ma piuttosto, di volta in volta, individuabili nei protagonisti di una lotta, di un disagio, di una proposta o idea. Il segreto può essere forse sintetizzato così: mai rinunciare a riferirsi alla massa dei cittadini generici, ai movimenti alle aree di opinione; mai farlo senza un gruppo strutturato di militanti costanti e attivi alle spalle; mai lasciare che questo gruppo diventi la cruna del lago e il filtro repressivo delle idee delle proposte della gente o che si senta padrone della rappresentanza verde. Le liste verdi sono state votate in buona parte dai passanti agli angoli delle strade, non dagli ecologisti super-impegnati con tanto di cartoncino di invito al banchetto verde; bisogna trovare i modi per dare la parola a questi passanti, senza perdere il decisivo contributo dei militanti.

5) Il filtro diretto con la gente
Un vero e proprio "filo diretto" (una radio, nei posti grandi, e un ritrovo in piazza nei piccoli) sarebbe l'ideale. Spesso bisogna, pur troppo, farne a meno. Tanto più conta la mediazione dei giornali, della televisione, della radio. Trovare i modi per arrivare nel modo meno uniformato possibile alla gente - e viceversa (ascoltare chi non viene alle riunioni verdi) - è una scommessa determinante per la riuscita delle rappresentanze verdi.

6) L'autonomia dei verdi.
Le iniziative dei verdi nei consigli non saranno principalmente una politica di appoggio ad iniziative altrui o di frequentazione di uno schieramento, ma di proposta autonoma: se non si vuole finire come le varie "liste indipendenti" (portatrici, spesso, di pregevoli suggerimenti e iniziative, ma confinate in un limbo di impotenza e di immagine subalterna), è molto importante preoccuparsi che tale autonomia sia anche fisicamente percepibile nel comportamento complessivo degli eletti verdi, con grande libertà di incursioni trasversali in tutte le direzioni, e senza ridursi a fare i suggeritori inascoltati delle forze maggiori.

7) Attrezzarsi per sapere le cose.
I verdi non devono essere solo "verdi" ma anche esperti. Serve quindi promuovere magari con regolarità (ogni mese?) dei seminari o convegni specifici, da cui escano proposte di azione fondate su una seria informazione che valorizzi l'apporto dei tanti esperti dell'area eco-pacifista e delle associazioni. L'optimun sarebbero dei gruppi di lavoro (ovviamente aperti) permanenti su determinati temi, responsabilizzati anche in prima persona: sul traffico, l'inquinamento, l'antimilitarismo, gli anziani, eccetera: Attenzione: non bisogna farne le tipiche e un po'vechiotte "commissioni di partito", preoccupate di elaborare la linea di partito su un determinato partito. Servono molto di più gruppi un po'manageriali, elaboratori di proposte concrete. Un archivio (con abbonamenti a pubblicazioni, magari un bel computer ecc.) può servire moltissimo.

8) Organizzarsi per fare, non solo per decidere.
Organizzare delle strutture verdi ha senso se promuove il coinvolgimento di nuove persone, assicura una certa stabilità ed efficacia alle iniziative ed elaborazioni e, soprattutto, responsabilizza delle persone riconoscendo e valorizzando anche la loro autonomia. In linea di principio mi pare utile che tutte le strutture siano aperte (riunioni pubbliche, gruppi di lavoro aperti al contributo di chi lo desidera, eccetera) e basate su un coinvolgimento concreto nell'azione, non solo nella discussione. Nominare dei responsabili per determinare funzioni (portavoce, convocatori di riunioni, coordinatori di gruppi di lavoro, tesorieri eccetera) può essere utile, soprattutto se c'è un certo ricambio.

9) La rotazione: non è la quintessenza
Non penso che la rotazione degli eletti sia la quintessenza della politica verde, anche se può avere un certo significato innovativo: sia per gli eletti (che si rigenerano), sia per la politica verde (che assume più facce e modi di esprimersi).
Dove ci sono impegni in questo senso gli elettori, è giusto mantenerli. Dove non esistono, è bene affrontare il problema in termini generali, non troppo legati al caso e al momento concreto. Bisogna evitare che i verdi - come è successo in Germania - si conquistino, per lungo tempo l'attenzione pubblica solo attraverso la domanda "ci sarà o non ci sarà la rotazione?".

10) Non farsi assimilare.
Non c'è dubbio che anche tra i verdi (c'é chi avrebbe il talento per fare l'assessore, il sindaco, il consigliere a vita, l'onorata carriera politica... Ma se già oggi si dice che un parlamentare comunista somiglia di più a un parlamentare democristiano che non a un comunista di base (e viceversa), bisogna evitare che si arrivi a tanto anche tra i verdi. Un bilancio rigoroso e periodico si impone, soprattutto agli eletti stessi: sono riusciti a cambiare qualcosa o si sono fatti cambiare loro dalle istituzioni?

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