Una minaccia alla vita
Viviamo oggi, è facile accorgersene, in condizioni poco "biofile", poco favorevoli alla vita, anche se, sotto un profilo puramente quantitativo, il numero di vite (non solo umane) sulla terra è grandemente aumentato e continua ad aumentare. Ridotta a questione di "utilità", quando non proprio a merce, ed esposta ad ogni forma di dominio e violenza altrui - dallo sfruttamento economico all'arbitrio militare, dall'espropriazione culturale allo sterminio fisico - la "vita" (umana) fatica ad affermarsi ed a svilupparsi con libertà e qualità.
Ma tra le tante, c'è una minaccia alla "vita" che le sovrasta tutte: il rischio, la tentazione, che la vita umana diventi irrimediabilmente ed irreversibilmente oggetto da laboratorio. La cosiddetta bio-ingegneria e le diverse biotecnologie (manipolazione genetica compresa) si presentano come arbitrario rifacimento della Creazione (per chi ci crede) o dell'evoluzione naturale (per chi preferisce definirla così) anche rispetto alla vita umana, dopo essersi già spinte molto in avanti - e senza incontrare sostanziali opposizioni! - rispetto a quella vegetale ed animale.
E mentre le umiliazioni più terribili, le mutilazioni più orrende e le uccisioni e torture più crudeli inflitte da uomini ad altri uomini esercitavano la loro carica distruttiva verso i corpi e le menti delle persone in un ambito pur sempre circoscritto, i "perfezionamenti della specie" preparati nei laboratori si annunciano più repentini, più duraturi e più incisivi di qualsiasi intervento arbitrario nei confronti della vita mai prima tentato o compiuto.
Ecco perchè penso che la "questione della vita" non possa esaurirsi o concentrarsi tutta nell'impegno per la sensibilizzazione volta a prevenire le scelte di interruzione volontaria di gravidanza, ma debba essere lanciata con forza su tutto un amplissimo arco di questioni aperte. Lavorando per sviluppare e diffondere un'etica "biofila" (amica della vita), che riduca la carica di violenza e di arbitrio presente nelle attuali condizioni di vita soprattutto dei meno difesi da ricchezze materiali o culturali, e sapendo distinguere tra scelte estreme di autodifesa (reale o putativa che sia) ed la sistematica riduzione della vita ad elemento padroneggiabile di un mondo mercificato.