Premio Internazionale Premio Internazionale Excursus Premi Langer dal 1997 al 2023

Libro Premi Langer alla CAmera Excursus Premi Langer dal 1997 al 2023
Anna Bravo: il filo rosso dei Premi I premi 1997-2018 Premio 1997 Algeria Premio 1998 Ruanda Premio 1999 Cina Premio 2000 Kosovo-Serbia Premio 2003 Italia Premio 2004 Polonia Premio 2001 Israel-Palest. Premio 2002 Ecuador Premio 2005 Bosnia Erzegovina Premio 2007 Sudafrica Premio 2006 Indonesia Premio 2008: Somalia premio 2009: Iran premio 2010 Fondazione Stava premio 2011 Haiti premio 2012 Tunisia premio 2013 - Donatori di musica Premio 2014 Borderline Sicilia Premio 2015 - Adopt, Srebrenica premio 2017 - Angalià - Asgi premio 2018 - Istituto Arava Premio 2023 Olga Karatch
premi Langer 1997- 2011 (18) Premio 2004 (2) Premio 2005 (13) Premio 2006 (8) Premio 2007 (15) premio 2008 (18) premio 2008 -II (18) premio 2009 (36) premio 2010 (6) premio 2011 - haiti (36) premio 2012 - Tunisia (26) premio 2013 - Donatori di musica (15) Premio 2023 (19)

Excursus Premi Langer dal 1997 al 2023

(Gianni Tamino)

Sono ormai 26 anni che la Fondazione assegna il premio Langer, e in questi anni ci sono stati 22 premiati, tenuto conto di alcuni momenti di difficoltà ed in particolare del periodo di inattività dovuto alla pandemia di Covid 19. Invito comunque per chi voglia approfondire tutte le caratteristiche dei premiati di andare al sito della Fondazione.

Oggi vorrei solo ricordare alcuni aspetti che hanno caratterizzato l’attività del Comitato scientifico e di garanzia nell’attribuzione dei premi, individuando cosa hanno in comune e cosa differenziano i premiati, dal1997 ad oggi. .

Ricordo che con il Premio internazionale la Fondazione Alexander Langer intende sostenere e valorizzare gruppi e singole persone che con la loro opera contribuiscono a mantenere viva l’eredità del pensiero di Alexander Langer e a proseguire il suo impegno civile, culturale, politico e a favore della conversione ecologica.

La Fondazione si propone di premiare persone e associazioni che con scelte coraggiose, indipendenza di pensiero e forte radicamento sociale percorrono strade innovative per affrontare le crisi oggi in corso. In particolare, mira a sostenere e valorizzare persone, spesso poco conosciute, che lavorano per i diritti umani e le politiche di pace, la democrazia e la convivenza, contro le discriminazioni e l’esclusivismo etnico e la difesa degli ecosistemi. Alexander Langer dedicò il proprio impegno a queste tematiche, sottolineandone le interconnessioni e proponendo un approccio concreto e incentrato sulla cura delle relazioni.

Cos’è dunque che collega tutte le persone finora premiate, sia singolarmente che in coppie o come organizzazioni?

Si tratta di donne e uomini molto differenti tra loro per origine geografica (provengono praticamente da ogni parte del mondo), per inclinazioni politiche e religiose e per attività professionali,

Ma come scriveva Anna Brava (che è scomparsa nel dicembre del 2019 e che qui vorrei ricordare per il grande contributo che ha data alla Fondazione) nel testo (che trovate nel sito della Fondazione) “IL FILO ROSSO CHE UNISCE LE DESTINATARIE E I DESTINATARI DEL PREMIO”:

Se si guarda alle premiate e ai premiati dalla Fondazione Langer, ci vengono incontro persone che, con il loro impegno per la pace, la libertà, la giustizia, la salvaguardia dei diritti umani, dell’ambiente, delle specie, avrebbero potuto essere compagne di strada di Alex, e in qualche caso lo sono state. Persone che hanno il talento di agire i conflitti con lo spirito della nonviolenza, di guardare con amore al mondo del senziente non umano, di costruire ponti fra realtà contrapposte - senza dimenticare mai la più ovvia, la più lungimirante e spesso trascurata delle considerazioni: un ponte si regge su due sponde, e identificarsi solamente con una perché ci sembra la più debole è uno sbilanciamento esiziale, che rende arduo ogni dialogo con l'altra, all'apparenza meno sofferente.”

Costruttori di ponti e artefici della convivenza, così cari ad Alex Langer, sono stati un po’ tutti i premiati, ma in particolare voglio ricordare le ruandesi Yolande Mukagasana, hutu e Jacqueline Mukasonera, tutsi (1998), Natasa Kandić, serba e Vjosa Dobruna, kosovara (2000), Sami Adwan, palestinese e Dan Baron, israeliano (2001), Irfanka Pašagić, (2005) nata a Srebrenica, da poco scomparsa, impegnata per la convivenza interetnica, e con Tuzlanska Amica per l’adozione a distanza di bambini rimasti soli, l’Associazione Adopt Srebrenica (2015) che si è posta l’obiettivo di provare a verificare le potenzialità di un gruppo misto interetnico in un contesto profondamente segnato dalle conseguenze del conflitto (iniziative di dialogo interculturale, di elaborazione della memoria, di gestione nonviolenta dei conflitti).

E un po’ tutti i premiati sono anche difensori dei diritti umani, dai diritti dei più deboli, degli emarginati, delle donne o dell’ambiente, come Khalida Messaoudi, algerina (la prima a ricevere il Premio Langer nel 1997), impegnata per la democrazia e la libertà, in particolare in difesa delle donne e delle minoranze o la cinese Ding Zilin (1999), che si batte per il ricordo dei martiri dio piazza Tienanmen e per la difesa delle loro famiglie, o l’iraniana Narges Mohammadi (2009), recente premio Nobel per la Pace, più volte imprigionata e impegnata per la democrazia e per i diritti delle donne, così la Fondazione polacca Pogranicze (Borderland, 2004), in zona di frontiera contro le discriminazioni verso ogni minoranza e per la ricostruzione della memoria (quartiere ebraico, tradizioni tzigane, nuovi arrivati dai paesi vicini), l’associazione tunisina des femmes démocrates (2012), impegnata nella costruzione di rapporti solidali tra donne.

Ma anche prendersi cura dei più deboli e dei malati, come l’indonesiana Ibu Robin Lim (2006), ostetrica (ma anche ambientalista e pacifista), o il sudafricano Zackic Achmat (2007), che si è preso cura dei malati di AIDS (ma anche impegnato contro l’apartheid e in difesa degli omosessuali), il villaggio somalo Ayuub (2008), realizzato da Maana Suldaan (morta nel 2007), per la cura di donne e bambini in fuga da fame e violenze, che si batte contro l’infibulazione, o la fondazione haitiana per la difesa dei diritti dei contadini (FDPPA, 2011), fondata da Elane Printemps (detta Dadoue, morta nel 2010) per sottrarre a miseria e prostituzione (e AIDS) donne bambini, grazie a piccole cooperative agricole, per la difesa dell’ambiente; e per finire gli italiani, medici e infermieri, “donatori di musica” (2013), impegnati ad attenuare le sofferenze dei malati. E poi c’è chi si prende cura dei migranti come Borderline Sicilia (2014) e la NGO di Lesbo Angalia (2017), insieme all’Associazione italiana ASGI, che si occupa di studi giuridici sull’immigrazione, per una comunità euro mediterranea accogliente e solidale.

Oppure prendersi cura dell’ambiente, come l’ecuadoriana Esperanza Martinez (2002), che si è battuta contro la distruzione della foresta amazzonica a causa delle estrazioni di petrolio e in difesa delle popolazioni indigene, o Gabriele Bortolozzo (2003) per la difesa dell’ambiente di Marghera e per denunciare le morti di cancro provocate dal CVM, o la Fondazione Stava 1985 (2010), che si batte contro tutte le distruzione del territorio provocate da dighe ed invasi, o l’Istituto israeliano Arava (2018), che si prende cura dell’ambiente in una terra di conflitto, come strumento di pace e di avvicinamento tra i popoli.

In realtà, come avrete capito, qualunque tentativo di classificare l’attività dei premiati è destinato al fallimento, perché ognuno di loro rientra in quasi tutte le indicazioni previste dal regolamento del premio: i diritti umani e le politiche di pace, la democrazia e la convivenza, contro le discriminazioni e l’esclusivismo etnico e la difesa degli ecosistemi.

Come aveva fatto notare Anna Segre (un’altra colonna della Fondazione, scomparsa nel 2004), un’importanza speciale ha nell’azione e nelle opere di tutti i premiati la memoria. Una memoria intesa come patrimonio di saperi e consuetudini di cui tener conto senza rinunciare a innovarle - o a contrastarle. Mantenere la memoria, per ricordare come punto di partenza per continuare in ciò che è giusto o per cambiare ciò che è sbagliato. Ricordare e condividere, per accertare la verità dei fatti, come premessa per un futuro di convivenza: verità per avere giustizia. Penso in particolare al Ruanda (con le premiate Yolande Mukagasana e Jacqueline Mukasonera), alla Cina (con la premiata Ding Zilin), alla Bosnia e a Srebrenica (con i premi a Irfanka Pasaghic, e all’Associazione Adopt Srebrenica), a Marghera (con la Fondazione dedicata a Gabriele Bortolozzo),alla Fondazione Pogranicze (Borderland) in Polonia e al disastro di Stava (e alla Fondazione Stava 1985).

Alcuni premiati, nel frattempo, non sono più tra noi (ma rimane la memoria delle loro azioni e l’esempio che continuano a fornire alle nuove generazioni); altri sono diventati molto noti, penso al premio Nobel Narges Mohammadi, ancora incarcerata in Iran, mentre altri continuano la loro opera, anche senza essere sotto la luce dei riflettori.

Come rilevava Anna Bravo, la maggioranza delle persone premiate sono donne, probabilmente perché le donne sono più esperte degli uomini nell’arte di negoziare con l’avversario, di non generalizzare impropriamente, di pesare il rapporto costi/benefici di un'iniziativa, di muoversi con duttilità di fronte all’imprevisto. Sono forme di azione e di pensiero così presenti nell’esperienza delle donne che se le pratica un uomo c'è chi lo rimprovera di comportarsi in modo femminile. Che sempre più si stia superando questo appiattimento della soggettività maschile, è un passo sulla strada della libertà dagli stereotipi di genere, e non solo di genere.

Nelle storie delle nostre premiate si scopre, come abbiamo visto, l’importanza delle relazioni fra donne – Maana Sultan e le sue collaboratrici, Ibu Robin e le sue infermiere, l’amicizia fra Natasa Kandić e Vjosa Dobruna, fra Jacqueline Mukansonera e Yolande Mukagasana, fra Irfanka Pašagić e le donne di “Spazio Pubblico” di Bologna, da sempre sostenitrici dell’associazione “Tuzlanska Amica”. E fra le attiviste tunisine di Femmes démocratiques, le premiate del 2012.

E infine anche l’attività della nuova premiata, Olga Karatch, e della rete “Nash dom” (la nostra casa), si caratterizza per la difesa dei diritti e per la realizzazione di reti di solidarietà a difesa delle donne.

Per concludere, ricordando Hanna Arendt e citando “la banalità del male”, mentre c’è chi si adegua supinamente o dichiara solo di eseguire ordini o gira la testa dall’altra parte per non vedere chi calpesta i diritti umani, chi discrimina coloro che sono ritenuti diversi o distrugge l’ambiente, c’è invece anche chi ha il coraggio di assumersi la responsabilità delle proprie azioni e di mettere in discussione la propria stessa vita per difendere quella degli altri: questi sono stati e sono ancora i nostri premiati.

pro dialog