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Irfanka Pasagic: I giovani vogliono andar via....

3.6.2000, Una Città n° 87 / 2000 Giugno

La Bosnia del dopo Dayton resta lacerata da mille problemi. La necessità di far ripartire il dialogo si scontra con le difficoltà a ricostruire la verità su ciò che è successo, a far luce sulla sorte degli scomparsi, tuttora tantissimi, a impedire che i responsabili restino impuniti e di fronte a tutti. L’ostacolo dei leader nazionalisti e il calo di interesse della comunità internazionale. L'intervento di Irfanka al forum dell’Onu.

Sono molto contenta di poter confrontarmi qui con persone che da tempo si occupano di questioni che hanno a che fare con il mio lavoro di psichiatra. Per la prima volta in effetti riconosco come i diritti umani, la verità e la riconciliazione siano fondamentali per il mio paese.
Oggi in Bosnia viviamo una situazione folle. Se poi devo descrivere com’è organizzato il paese sul piano istituzionale e dei confini io credo di poter dire che si tratta di un “mostro”. Gli Accordi di Dayton hanno posto fine alla guerra ma oggi la Bosnia non esiste più. Come forse sapete, la Bosnia è costituita dalla Repubblica Serba di Bosnia (Srpska Republika) e dalla Federazione. La Repubblica Serba è un’“entità”, non uno Stato come il nome potrebbe suggerire. Per quanto fin dalla fine della guerra questa entità ha cercato di diventare indipendente. La Federazione di Bosnia-Erzegovina è a sua volta composta di dieci cantoni. In ogni cantone vigono leggi diverse, anche dal punto di vista del welfare, della sanità, ecc. C’è infine una terza parte, il distretto di Brcko, che sembra effettivamente l’unica che funziona e che è quindi, forse, la parte migliore e che opera sotto lo stretto controllo e protezione della comunità internazionale. Certo è l’unica area in cui i diritti umani e civili sono rispettati in toto.
Devo dire che provo una certa rabbia sia verso la nostra gente che verso la comunità internazionale. Se posso essere franca aggiungo che in Bosnia, ma anche nella sola Srebrenica, oggi ci sono diverse esperienze ispirate alla verità e riconciliazione, ma io sono stanca…
Nella Federazione di Bosnia-Erzegovina oggi rimangono molti profughi. Solo attorno a Tuzla, a distanza di 13 anni, ci sono ancora dodici campi profughi. Molti bambini sono nati lì e lì -in quella situazione “temporanea”- stanno crescendo. Venendo alla comunità internazionale, io non sono sicura che fossero davvero intenzionati ad arrestare Karadjic e Mladic; mi chiedo come sia possibile che siano riusciti a trovare Saddam Hussein nascosto in un cunicolo e non riuscissero a trovare Karadjic che girava liberamente per Belgrado. Mladic è ancora a piede libero. E’ dura vivere in un paese dove ogni giorno rischi di incrociare un criminale di guerra. Nella stessa Srebrenica, dove è avvenuto un genocidio davanti agli occhi del contingente Onu, vivono ancora molti criminali e alcuni sono poliziotti.
Che dire quando sai di trovarti a vivere in una cittadina in cui tra i poliziotti ci sono anche persone coinvolte nel massacro? Cioè, i poliziotti dovrebbero proteggerti…
L’altro grave problema che ha il nostro paese è che anche molti politici che hanno avuto parte attiva nella guerra oggi continuano a rivestire ruoli di potere. Insomma è difficile credere che chi ha contribuito a far scoppiare la guerra oggi sia in grado di fare qualcosa di buono per questo paese.
Alex Boraine ha ben spiegato come sia importante per le vittime che il loro dolore venga riconosciuto. Ecco, provate a immaginare come si sentono oggi i cittadini di Srebrenica che hanno perso la famiglia e la casa di fronte alla situazione che ho appena descritto. Io spesso mi sento chiedere: “Ma come faccio a perdonare quando ancora non sono stati riconosciuti i crimini commessi qui?”. Il presidente della Repubblica Serba, Dodik, passa regolarmente davanti al memoriale di Srebrenica senza mai trovare il tempo di fermarsi un attimo davanti a quella distesa di tombe. Non dico di fermarsi a chiedere scusa agli abitanti di Srebrenica, ma almeno di fermarsi. Come si fa a perdonare se nessuno ti chiede scusa?
Voglio raccontare un altro aneddoto riguardo la riconciliazione. Sono stata a una conferenza in Germania e parlando con un collega psichiatra americano della situazione in Bosnia e in generale nei post-conflitti a un certo punto gli ho chiesto: “Ma io cosa devo dire a una persona che ha perso la casa, i familiari?”, mi sono sentita rispondere che la giustizia non esiste e che l’unica cosa che potevo dire: “E’ la vita”. Ecco, io trovo estremamente pericoloso far passare un messaggio di questo tipo, soprattutto per i bambini. Io non posso dire loro: “Che ci vuoi fare? E’ la vita”, né posso dire loro di perdonare, e tantomeno di dimenticare, mentre i colpevoli vivono nell’impunità.
Conosco un giovane. Il suo vicino prima ferì e poi arrestò suo padre. Da quel momento non se ne seppe più nulla. Questo ragazzo dopo la guerra è tornato a casa e accanto alla sua abitazione vive quello stesso vicino. Potete immaginare, dopo quello che gli era successo, torna lì e vede che il suo vicino non si è mosso e sicuramente vive meglio di lui. Insomma la sua prima reazione è stata quella di andare a ucciderlo. Tant’è che temeva che uscendo da solo, l’avrebbe ucciso, allora ha deciso di uscire solo con la madre o la sorella sapendo che non ne avrebbe avuto il coraggio, conscio del fatto che avrebbe provocato loro un nuovo trauma.
Questo per dire che nel nostro paese abbiamo un’enorme casistica di problemi psicologici dovuti a questa situazione.
Evidentemente è importante lavorare alla riconciliazione, ma non come sta avvenendo in molti posti. Ormai ci sono commissioni per la verità e la riconciliazione in diverse città. Anche a Tuzla ce n’è una. Qualche giorno fa ne hanno avviata una pure a Bjielina, peccato che tra i conduttori ci sia uno dei capi del campo di concentramento Batkovic, per cui non riesco a immaginare cosa ne uscirà.
In Bosnia-Erzegovina sono stati spesi molti soldi della comunità internazionale, ma io ho l’impressione che continuino a non essere spesi bene. In questo paese uno degli ostacoli più grandi ad andare avanti è la “cospirazione del silenzio”. Ecco, credo che per andare avanti occorre ripartire dalla verità e dalla giustizia. Dopodiché la strada verso la riconciliazione sarà senz’altro più agevole. Prima però, lo ripeto, ci vogliono la verità e la giustizia.
....
Non credo che sia tutto perduto in Bosnia, ovviamente. Credo ci siano molti modi di contribuire. E’ dal ’98 che cerco di lavorare mettendo insieme gruppi multietnici. Parlare del passato nel nostro paese è estremamente difficile, e purtroppo in questi anni ho visto anche molti progetti parecchio discutibili. Ne ricordo uno avviato appena finita la guerra, pensato per le donne stuprate.
Venne un’esperta americana che ci spiegò che per poter iniziare un lavoro serio queste donne dovevano innanzitutto decidere dove preferivano vivere. Peccato che in quei mesi avessero trovato alloggio in alcune scuole e in altri locali in cui evidentemente condividevano gli spazi con altri profughi. Nessuna di loro aveva una casa, non ce l’avevamo nemmeno noi. Ecco, devo dire che di questi progetti che se non stessimo parlando di una tragedia sarebbero comici, ne ho visti tanti, troppi.
Il primo progetto multietnico organizzato in Bosnia, risale al 1997-8, c’erano ancora dei confini veri tra la Federazione e la Repubblica Serba, l’idea era di mettere insieme alcune donne bosniache originarie di Tuzla e profughe a Doboj, Bjielina e altre, serbe, sempre originarie di Tuzla e profughe in qualche cittadina della Srpska Republika.
In quell’occasione avevo preparato un questionario preliminare a cui seguì un incontro. All’inizio si vedeva benissimo che si trattava di due gruppi assolutamente separati.
Dopo un breve esercizio di rilassamento chiesi di raccontare qualche episodio relativo alla guerra, ecco, l’esito fu stupefacente, scattò una sorta di empatia per cui addirittura queste donne piangevano assieme, avevano riconosciuto di avere tutte sofferto.
Nacquero anche delle amicizie, comunque alcune presero a far visita alle altre, a scambiarsi foto e racconti. Si trattava in realtà di un progetto che non intendeva andare troppo in profondità, a me interessava innanzitutto capire se si poteva parlare del passato, se era possibile lavorare per un qualche tipo di dialogo.
Di lì a poco prese avvio un secondo progetto, il titolo diceva “democracy can’t be built with broken souls”, per dire come lo stesso processo democratico avesse bisogno che certe ferite fossero sanate.
L’esperienza fu condotta da Yael Danieli, un’esperta di questo tipo di processi che da tempo lavora con le Nazioni Unite. Questa volta il target era un gruppo di psichiatri, psicologi, assistenti sociali, operatori. Ci aspettavamo una maggiore consapevolezza rispetto a certe dinamiche tipiche di questi processi. Fu tremendo! Nessuno riusciva a comunicare in modo “normale”.
Nelle sedute emerse una totale incapacità di parlare della guerra, eppure non c’era nel gruppo alcun criminale! Eravamo tutti professionisti e volevamo sinceramente fare qualcosa di buono, provare a capirci ad aiutarci. Che dire? Io mi auguro che non dovremo aspettare altri 10-15 anni perché arrivi un nuovo Willy Brandt. Ecco, non sono pessimista, però credo di poter dire che anche all’interno delle nostre comunità avremmo potuto fare di più.

 

La Bosnia del dopo Dayton resta lacerata da mille problemi. La necessità di far ripartire il dialogo si scontra con le difficoltà a ricostruire la verità su ciò che è successo, a far luce sulla sorte degli scomparsi, tuttora tantissimi, a impedire che i responsabili restino impuniti e di fronte a tutti. L’ostacolo dei leader nazionalisti e il calo di interesse della comunità internazionale. Gli interventi al forum dell’Onu.

Estratto dagli nterventi svoltisi nell’ambito del 10° Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione dei crimini e il trattamento dei colpevoli, tenutosi a Vienna il 14 aprile 2000, in un seminario dal titolo "Promuovere un dialogo: il caso della Bosnia Erzegovina", coordinato da Yael Danieli. Con interventi di attori direttamente impegnati all’interno della Bosnia Erzegovina, in particolare Manfred Nowak, Austria, Camera per i Diritti Umani per la Bosnia Erzegovina (Bih), Irfanka Pasagic, psichiatra originaria di Srebrenica, oggi a Tuzla, Jaque Grinberg, Capo Affari Civili della Missione delle Nazioni Unite in Bosnia Erzegovina (Unmbih).
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