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Irfanka Pašagić, Fedele a se stesso

3.4.2021, Una Città n° 274 / 2021 aprile

 

 Cari amici,
mi scuso per non aver scritto prima, ma avevo bisogno di prendermi una pausa. Che la rabbia e la tristezza allentassero la presa.
La morte di Enam e il modo in cui è stato seguito dai sanitari, purtroppo, è la conferma di quello che da mesi vado dicendo, e cioè che in Bosnia la situazione, per quanto riguarda il Covid, è fuori controllo. È doloroso constatare come nessuno si preoccupi per il fatto che il tasso di mortalità in Bosnia sia tra i più alti al mondo e che il numero degli ammalati gravi cresca di giorno in giorno. Ormai non vengono nemmeno più identificati tutti i morti da Covid. Il giorno in cui è morto Enam, nella lista ufficiale il suo nome non risultava. Nemmeno nei giorni successivi. E poi c’è la storia dei vaccini. Recentemente, grazie al progetto Covax, abbiamo ricevuto 23.400 dosi che, sommate alle donazioni arrivate da altri paesi, arrivano a circa 100.000 dosi. Non ci sono notizie che in tempi brevi arriveranno altre dosi in numero significativo.
Intanto i nostri politici continuano ad accusarsi a vicenda: non si sa chi dovesse procurare i vaccini e nessuno risponde alla domanda sul perché non abbiano fatto nulla per lasciare a noi bosniaci almeno la speranza di non finire all’ultimo posto della fila dei vaccinati nel mondo. Purtroppo il particolare e complicato sistema di governo della Bosnia Erzegovina agevola il fatto che ciascuno può sempre trovare un alibi per il proprio non fare. A differenza delle altri parti del mondo, nel nostro paese pure le questioni di salute finiscono nella stretta degli interessi politici. In giro per il mondo, in tutti i paesi (almeno un po’ più) normali, nel corso di questa crisi globale, la distanza tra quelli che governano e l’opposizione si è assottigliata nell’interesse della salute dei cittadini e dell’economia. Qui invece non si trova una posizione comune che metta al primo posto il bene della comunità; i partiti continuano a badare solo ai loro interessi e alle posizioni acquisite.
Martedì 6 aprile, nel giorno della liberazione della città di Sarajevo, un gruppo di cittadini e attivisti hanno organizzato delle proteste contro i politici della Bosnia Erzegovina che ritengono responsabili dei ritardi nell’acquisto dei vaccini contro il Coronavirus.
Come dicono gli organizzatori, il loro intento è invitare i cittadini a difendersi, tutti assieme, da coloro che, senza scrupoli, stanno giocando con le loro vite.
La cosa che continua a colpirmi è che, nonostante la preoccupazione evidente, il senso dell’umorismo non ci ha abbandonato. Spesso humour nero. Un mio amico mi ha detto: “Dato che le probabilità di procurarci il vaccino sono quasi nulle, potremmo diventare un caso unico: un paese dove gli scienziati di tutto il mondo potranno studiare a fondo l’evoluzione del Covid. Magari riusciamo pure a guadagnarci qualcosa!”.
Nei prossimi giorni, se la situazione non migliora, ci aspettiamo che Tuzla ripiombi nel lockdown.
In questo periodo cupo, fino a qualche giorno fa, guardavamo con impazienza e speranza alla possibilità che Bogic Bogicevic, l’uomo che nei giorni funesti per l’ex Jugoslavia, nel 1991, con il suo voto impedì l’attuarsi del colpo di Stato da parte dell’armata popolare Jugoslava, venisse eletto sindaco di Sarajevo. Lui, serbo, all’epoca rimase famoso per aver detto: “Sì, io sono serbo, ma non serbo di professione”. E in tutti questi anni è rimasto fedele a se stesso. Ed è stato eletto, ma solo grazie a uno sporco gioco che alcuni partiti politici avevano condotto, mostrando così il loro vero volto. Bogicevic infine ha ritirato la candidatura: quelle modalità erano per lui inaccettabili. Ha mantenuto fede nei suoi principi.
Sono immensamente dispiaciuta che non sia diventato sindaco, anche per tutti coloro per i quali rappresentava la speranza che le cose potessero cambiare. Però, conoscendolo, comprendo che non poteva fare diversamente. Anche questa volta è rimasto fedele a se stesso, come sempre.
Abbiate cura di voi.

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