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Giovanni Accardo - Saltare muri, attraversare confini: Langer, Leogrande e l’Albania

27.11.2020, Dialogo sull'Albania - introduzione, vedi PDF

1) Muri, confini, frontiere

«Per tutta la vita Alexander Langer non ha fatto altro che saltare muri, attraversare confini culturali, nazionali, etnici, religiosi.»i Comincia con queste parole un testo in cui Alessandro Leogrande riassume i tratti salienti del pensiero e dell’azione politica di Langer, al quale, tra il 22 e il 30 maggio 2010, aveva dedicato quattro puntate della rubrica “Passioni” su Radio 3. Leogrande aveva 18 anni, quando, il 3 luglio 1995, Alexander Langer decise di togliersi la vita, e ne aveva 20 nel marzo del 1997, quando ci fu il naufragio della motovedetta albanese Kater i Rades. Le consonanze tra i due sono numerose, a partire dalla precoce attività intellettuale; entrambi, infatti, iniziano a scrivere e a interessarsi dei problemi del mondo da studenti liceali. Nel 1961, a soli 15 anni, Langer ideò la rivista “Offenes Wort” (Parola Aperta) per dare la parola ai giovani nel Sudtirolo rigidamente separato tra italiani e tedeschi, una parola aperta, appunto, libera, priva di ipocrisie e combattiva. E il giovane Leogrande, ancora studente liceale a Taranto, comincia la sua collaborazione con “La terra vista dalla luna”, un mensile nato nel 1995, diretto da Goffredo Fofi e dedicato al volontariato, all'associazionismo, alla scuola, ai giovani, alla città.

A differenza di Langer, Leogrande non è stato un attivista politico, ma la sua è una scrittura politica che nasce dall’attenzione costante alla polis, sia essa la comunità locale (Taranto e la Puglia), nazionale o internazionale. Non militare in un movimento o in un partito politico gli ha dato sicuramente molta libertà intellettuale, ma forse anche solitudine e fragilità. E tuttavia, come ricorda Salvatore Romeo, col passaggio dell’Ilva dalle partecipazioni statali alla famiglia Riva, Leogrande assume sempre più il ruolo dell’intellettuale militante, i suoi interventi si fanno programmatici.ii Non mancano articoli in cui prende chiaramente posizione contro le colpe della sinistra, di cui denuncia l’assenza dai quartieri poveri di Taranto e l’incapacità di ascoltare quella città popolare che avrebbe dato il proprio voto al populista Giancarlo Cito.

Esattamente come Langer, Leogrande ha guardato al mondo con gli occhi dei più deboli, delle vittime della storia, in nome dei quali ha preso la parola. Molti dei temi di cui ha narrato nei suoi libri - l’inquinamento industriale, la xenofobia, lo sfruttamento lavorativo, i diritti umani - erano centrali nell’impegno politico di Langer, in cui probabilmente ha intravisto anche un modello di indagine sociale e di relazione con l’altro. Proprio la relazione, l’ascolto e il dialogo, sono stati elementi fondanti e fondamentali del pensiero di Langer, sempre attento a capire le ragioni degli altri, consapevole che la nostra identità è frutto della relazione con l’altro. Nasce da qui la sua idea di comunità: percorrere il proprio cammino insieme agli altri, dividere le proprie esperienze con gli altri. Le sue parole non sono mai di separazione, non piantano bandiere, non sono bastoni rivolti contro gli altri. Mi sembra di imparare di più dagli incontri che mi capita di fare che non dai libri che leggo, scrive in “Minima Personalia”, allorché la rivista “Belfagor” gli propone di stendere una sua sintetica autobiografia. E ancora: «Non conta tanto in che cosa si crede, ma come si vive»iii, è l’insegnamento che gli ha trasmesso sua madre. Lo strettissimo rapporto tra il dire e il fare piace moltissimo a Leogrande, che in una delle puntate di “Passioni”, lo giudica la base di ogni pedagogia che abbia un minimo di senso. Anche la scrittura d’inchiesta o il reportage non possono esistere senza l’altro, Leogrande ne è pienamente consapevole. In un suo articoloiv ricorda quanto affermava Kapuscinski, ovvero che senza l’aiuto degli altri non si può scrivere un reportage, senza comprensione reciproca non è possibile scrivere, perché «il reporter è solo l’estensore finale, l’ultimo anello di una catena composta da moltissimi individui che forniscono materiali, aneddoti, riflessioni, generano incontri.»

Per Langer è stato determinante avere un punto da cui osservare il mondo: il Sudtirolo interetnico da dove era andato via più volte - prima a Firenze e poi a Roma - ma dove ritornava sempre. Anche vivendo altrove, seguiva e cercava di partecipare a quello che accadeva tra Bolzano e Vipiteno, dov’era nato. I suoi frequenti viaggi erano anche spostamenti del punto di osservazione, luoghi da cui arricchire l’analisi politica, in uno scambio continuo con la sua terra d’origine. Pensare localmente e agire globalmente sarà il suo metodo di lavoro, ovvero avendo solidi e personali parametri verificati in un luogo ben conosciuto e poi usarli per capire la realtà nella sua complessità. «Sino a quando non ci abitueremo a considerare i nostri problemi nell’ottica più ampia del contesto mondiale continuerà a mancarci il senso storico del tempo e degli avvenimenti», scrive nel 1967.v Ed ecco che, ad esempio, l’Albania dei primi anni ’90, agitata dalle grandi manifestazioni degli studenti universitari, e la Bosnia dilaniata da una feroce guerra etnica, gli permettono di interrogarsi sul futuro dell’Europa unita. «Solo chi è in grado di leggere ed interpretare i “segni dei tempi” è anche capace di comprendere se stesso, i suoi simili, il mondo in cui viviamo, e di intervenire su di essi in modo efficace…»vi, scrive nel medesimo articolo, certamente uno dei più significativi per cogliere un punto centrale del pensiero di Langer e il suo approccio alla realtà.

Anche Leogrande aveva un suo punto da cui guardare l’Italia e il mondo: Taranto, la città in cui era nato e da cui era andato via per gli studi universitari, ma alla quale ritornava sempre e dove, pur abitando a Roma, aveva mantenuto la residenza. A Taranto aveva assistito al degrado della politica, alla sua trasformazione in spettacolo mediatico e a tratti circense, con le vicissitudini, anche giudiziarie, del sindaco Giancarlo Cito, di cui aveva raccontato nel libro Un mare nascosto (L’Ancora del Mediterraneo, 2000). Ma di Taranto aveva denunciato - in Fumo sulla città (Fandango, 2013) e ora anche nel volume postumo Dalle macerie (Feltrinelli, 2018) - il caos urbanistico e le contraddizioni della più grande acciaieria d’Europa, l’ILVA, emblema dei limiti dello sviluppo industriale, dove il diritto alla salute di cittadini e operai è stato calpestato in nome del profitto. Dalla città di nascita lo sguardo si era allargato alla Puglia con Uomini e caporali (Mondadori 2008, Feltrinelli 2016), il suo viaggio tra i nuovi schiavi, gli immigrati dell’Est, nelle campagne del foggiano, un serratissimo e drammatico reportage narrativo; e poi sull’Adriatico, con Il Naufragio (Feltrinelli, 2011), libro di inchiesta sulla tragedia della motonave albanese Kater i Rades carica di uomini, donne e bambini, affondata a poche miglia da Brindisi, dopo essere stata speronata da una corvetta della Marina Militare italiana. E infine aveva raccontato la frontiera, reale e immaginaria, che separa e unisce il Nord del mondo - ricco, democratico e civilizzato - dal Sud - povero, dilaniato dalle guerre, dalla fame, dalle malattie - in quello che probabilmente è il suo libro più intenso e drammatico, La frontiera (Feltrinelli, 2015).

Nel 1988 Langer aveva lanciato la campagna Nord-Sud, col preciso obiettivo di occuparsi della riduzione del debito dei paesi poveri, salvaguardando le loro risorse, l’ambiente, la cultura. E nel 1994, intervenendo ai “Colloqui di Dobbiaco”vii aveva denunciato la produzione di falsa ricchezza per sfuggire a false povertà. Bisognava cambiare il modello di sviluppo, era la sua tesi, stabilire un limite, rendendo però tale modello socialmente desiderabile. Su questa lunga analisi, all’interno della quale Langer conia lo slogan Lentius, profundius, suavius (più lento, più profondo, più dolce), torna Leogrande quando recensisce il libro La via dell’austerità, Per un nuovo modello di sviluppo, pubblicato dalle Edizioni dell’Asino, in cui sono raccolti due celebri discorsi di Enrico Berlinguer tenuti a Roma e a Milano nel 1977. Berlinguer, constatato che l’attuale modello di sviluppo si avviava al collasso, proponeva la strada dell’austerità, in contrapposizione a chi riteneva, invece, che la soluzione fosse quello di rilanciare i consumi. Langer, scrive Leogrande, intuì che la domanda chiave era «come rendere socialmente desiderabile una svolta ecologica che, potremmo aggiungere, includa anche l’austerità? Era una domanda chiave anche per Berlinguer, benché non l’affrontasse nel suo discorso.»viii

Insomma, un viaggiatore tra le culture e le persone come Langer, leggero perché privo di stereotipi e pregiudizi, non poteva non costituire una guida per chi, come Leogrande, sentiva con urgenza temi come la povertà, l’emarginazione, le migrazioni. «Attraversare mezzo mondo per ritrovarsi in Europa», scrive ne La frontiera, «non è solo un fatto geografico, non riguarda soltanto le dogane, le polizie di frontiera, i passeurs, gli scafisti, i trafficanti, i centri di detenzione, le navi militari, i soccorsi, gli aiuti, i tir, le corse e le rincorse, gli stop e i respingimenti […] Ha a che fare innanzitutto con se stessi. Saltare i muri è innanzitutto un’esperienza individuale.»

SEGUE nel sito della Casa Editrice Alphabeta e allegato PDF

http://www.edizionialphabeta.it/it/Book/dialogo-sull-albania/978-88-7223-347-4

 

 

 

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