Giorgio Mezzalira: La volontà di conoscere
“Il tempo spezzato” è il bel titolo di un libro appena uscito e scritto dalla giovane antropologa bolzanina Olivia Casagrande. Tra etnografia e biografia vi si ricostruisce la storia di una famiglia mapuche, popolazione originaria del centro-sud dell’Argentina e del Cile, nel periodo che va dal golpe di Pinochet (1973) ad oggi, passando attraverso l’esilio forzato che ha condotto questa stessa famiglia in terra straniera, precisamente in Olanda. E’ una storia lontana che parla di una delle tante minoranze esistenti nel mondo, una vicenda marginale altrimenti dimenticata, giustamente degna di essere studiata e raccontata. Ma il richiamo a questo libro si ferma qui, perché il carattere singolare di quelle vicissitudini deborda come destino comune nelle biografie familiari di profughi e migranti che ci stanno accanto, che incrociamo per strada, le cui storie non conosciamo. Anche il loro tempo si è spezzato per la lacerazione prodotta dal distacco violento o forzato dagli affetti, si è presentato loro il problema di reinventarsi una vita, sviluppare strategie di resistenza e modalità di ricostruzione di se stessi.
Lui è un ragazzo di neanche vent’anni della Guinea che ora vive e lavora a Bolzano. Due anni fa è scappato con il fratellino dopo che i suoi genitori sono stati assassinati dal regime mentre vendevano la loro merce al mercato. Prima di passare il confine del suo paese, il fratellino gli è stato portato via e non si sa che fine abbia fatto. Pare che la Croce Rossa si stia ora attivando. Drammi umani che faticano a stare dentro le parole.
Presi dall’affanno di far fronte alle nostre emergenze più che alle loro urgenze, tutti impegnati a veder garantita la nostra sicurezza, la nostra salute, i ritagli di welfare che ci rimangono da difendere, ignoriamo troppo spesso che queste persone hanno un passato e una biografia. Aspetti che rimangono estranei al ritratto con il quale siamo abituati a dipingerli, un’omissione che ce li rende distanti e diversi. Peggio ancora, ce li rende tutti uguali e in tal modo perfetti prototipi per alimentare pregiudizi. Se confondiamo la persona con la sua rappresentazione non sorprende che non si sappia nemmeno spartire con loro un po’ di compassione, quel senso di vicinanza che è condivisione del dolore. C’entra la carità cristiana ma soprattutto la comprensione, intesa anche come sforzo di comprendere. Senza la volontà di conoscere e capire, lasciamo che nel nostro approccio a loro abbiano campo libero gli atteggiamenti più irrazionali, passioni ingovernabili come la paura, la cui forza è capace non solo di nascondere ma anche di distorcere la realtà delle cose.