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Jean-Pierre Sourou Piesso: Alex Langer, Fratello mediatore interculturale.

7.7.2011, http://www.slysajah.com

Alex Langer, Fratello mediatore interculturale.

(Commento al nr.8 del decalogo sulla convivenza). Dell’importanza di mediatori interculturali. Costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera/confini, “traditori” di compattezza etnica ma non trasfughi (Alex Langer). Quando l’Azione non violenta attraverso il suo simpatico fratello mio e direttore Mao Valpiana mi chiese qualche giorno fa di commentare queste parole (numero 8 del decalogo del venerabile Alex Langer sulla figura dei mediatori sono rimasto sorpreso per due motivi:

Non mi sento per niente la persona adatta a commentare lo scritto, il pensiero e l’azione di un uomo e di un cittadino di così spiccata capacità di dialogo e di impegno civile che fin dall’inizio della sua vita ha fatto della mediazione il suo Leitmotiv, ovverosia l’unica forza della sua esistenza. Non l’ho conosciuto personalmente ma per quanto mi è dato di sapere attraverso i suoi scritti e le parole di testimonianza dei suoi amici, colleghi e compagni di viaggio, posso davvero credere che sia vero. Nel ’95 ero al Passo della Mendola (Bz) ad un convegno internazionale quando era arrivata la notizia della improvvisa scomparsa di Alex Langer e mi ricordo che per un attimo mi è sembrata che l’assemblea dei presenti avesse sospeso il “respiro” in memoria di Lui, il “Micromega”come oso definirlo.

Non vorrei rischiare l’operazione di tradimento del pensiero di Alex che ha saputo coniugare tutto con il vissuto e l’esperienza del luogo e della sua famiglia. Dopo questo sussulto di incapacità e di inadeguatezza che ho sentito presi carta e penna mentre ero in viaggio verso Trento a tenere un corso per dei mediatori interculturali della Provincia cominciai a scrivere due righe in forma di schizzo e di appunti. La prima cosa che mi è venuta in mente è cercare di tracciare la umanità di chi fa il lavoro di mediatore e poi i contenuti “forti” del suo impegno stesso da mettere in risalto in questo mio ragionamento ad honorem di Alex Langer. Innanzitutto il mediatore per poter essere un “saltatore di muri e esploratori di confini” deve essere uno che sia in grado di rischiare un’ esperienza. Tra questi tracciati o “percorsi” troviamo i pregiudizi, i luoghi comuni, i preconcetti sulle persone, sulle loro origini, culture e religioni. Quindi il mediatore deve poter non limitarsi, porre appunto limiti e confini alla relazione. Se l’opinione diffusa parla di albanese, del marocchino della porta accanto, del nero, del nigeriano, del moldavo, del rom o del cinese, il mediatore deve avere la capacità di chiamare le persone per il loro nome, di avvicinarle con delicatezza prestando attento ascolto alle loro mini o macro storie usando il linguaggio del rispetto e della sensibilità e anche della amicizia. Deve evitare di usare le parole come “vù cumpra”, “clandestino”, perché o azione proprio perché vuole guardare oltre i percorsi tracciati o i cosiddetti clichés che spesso sono i veri ostacoli nella costruzione delle relazioni. I tracciati rassicuranti molto spesso sono dei piccoli bavagli che impediscono lo slancio e l’entusiasmo. Tra questi tracciati o “percorsi” troviamo i pregiudizi, i luoghi comuni, i preconcetti sulle persone, sulle loro origini, culture e religioni. Quindi il mediatore deve poter non limitarsi, porre appunto limiti e confini alla relazione. Il mediatore non è né può essere un agitatore di folla di propaganda di idee razziste per avere consenso e popolarità, ma piuttosto un costruttore di “ponti”, ovverosia una persona di reciproca conoscenza e relazione anche attraverso dei percorsi faticosi ed impegnativi.

Se il mediatore è “saltatori di muri” significa che è una persona che accetta il rischio e chi è consapevole delle conseguenze del proprio agire. Non può essere una persona superficiale a tale punto da impegnarsi in una azione di mediazione con le persone, le scuole, le famiglie, le associazioni e le istituzioni senza rendersi conto che qualche volta potrebbe essere strumentalizzato a fini politici o per interessi nascosti oppure può essere attaccato o tacciato di tradimento. Giustamente Alex usa la parola “traditore di compattezza etnica” per sottolinearne il rischio che il mediatore si espone tanto che “i suoi” stessi non lo capiscano più e lo giudicano negativamente chiamandolo “traditore” o “infame”. Quando dico “i suoi” intendo coloro che condividono con lui le esperienze del territorio di appartenenza, i compagni di scuola oppure membri della comunità culturale, religiosa o linguistica di riferimento comune.

E allora vale così tanto la pena fare il mediatore di fronte a così tanti rischi? La risposta è sì. E’ importante far il mediatore per il semplice motivo che gli obiettivi e i contenuti contenuti in questa esperienza non solo lavorativa sono importanti e seri. Uno degli obiettivi fondamentali che deve raggiungere il mediatore è la Relazione con la R maiuscola. Il secondo obiettivo è la Conoscenza Reciproca. Questo ultimo obiettivo aiuta a relativizzare le posizioni identitarie e culturali dando spazio alla narrazione delle esperienze, allo stare insieme accettandosi e a accogliendo anche gli altri che non sono necessariamente del proprio contesto culturale di provenienza.

La conoscenza reciproca favorisce l’ammorbidimento del proprio “ego” culturale, religioso e sentimentale e impedisce il riprodursi di forme di fanatismo e di familialismo spesso generatore di clientelismo tribale.

Il mediatore interculturale intraprende le sue azioni e scegliendo i suoi strumenti di impegno tenendo sempre presente che la conoscenza reciproca tra le persone, i luoghi e le comunità è il suo primissimo obiettivo perché raggiunto questo si apre la strada verso la Relazione ed il suo è impegno arduo, faticoso, difficile e spesso pieno di intrighi di tipo sociale, politico e mediatico. Deve resistere! Ma la resistenza in questo nostro lavoro di mediazione ci deriva dalla chiarezza degli obiettivi stessi dell’impegno che ci prefiggiamo di raggiungere talvolta a distanza di mesi e di anni.

Questo impegno per la conoscenza non può non fare conti anche con le vicissitudini, le abitudini consolidate, la quotidianità fatta da conquiste o da delusioni delle persone stesse. Le deve raccogliere e rispettarle. E’ un impegno

delicato, tenero ma forte nello stesso tempo. E’ il primo passo per mettere all’angolo l’ignoranza che crea mostri e provoca l’intolleranza e l’esclusione sociale. Vale il detto si ha meno paura di quello che si conosce.

Quando il mediatore è considerato “traditore della compattezza etnica” significa, almeno per me che ho raggiunto un obiettivo importante, quello di aver rotto un “equilibrio” identitario spesso fasullo e spesso limite ad una dimensione appiatita su delle posizioni che possono creare dei conflitti (vedi Identità e violenza dello scrittore indiano Armatya Sen). Vuole dire cioè che non solo semplicemente un cittadino africano, un togolese, un nero, uno di religione vodun (vodunsi), nemmeno un cittadino italiano o europeo, sono tutto questo più altro ancora. Vuol dire che comincio ad entrare nel terzo spazio dove i muri culturali miei sono abbassati e dove non devo più saltare, ma piuttosto esplorare la bellezza delle diverse appartenenze, apprezzarle, criticarle con credibilità e autorevolezza, ma anche avvicinarle queste bellezze con la leggerezza di una farfalla del nilo e con la forza del leone della savana.

E’ qui che sta la bellezza della nostra esperienza di mediatore o linguistico o interculturale. Riuscire a ri-creare un “terzo spazio” di appartenenza e di impegno che non sarà più solo nei confini delle culture, delle religioni e delle geografie di provenienza seppur sempre importanti ma piuttosto su delicate ed importanti questioni della Dignità di ogni cittadino, dei Diritti e della Responsabilità. Qui sta la nuova frontiera della mediazione dove dolcemente con i suoi gesti, le sue parole e i suoi scritti Alex ci vuole condurre. Uso il verbo “vuole” al presente per dire che Alex non è mai partito, non è morto (cf. les morts ne sont pas morts, ils sont dans le fleuve qui s’écoule, dans l’arbre qui frémit etcc…les souffles de Birago Diop).

In questa ultima frontiera della mediazione si trovano le vere ed importanti sfide del futuro da tradurre fin da subito nella quotidianità del vivere e del governare senza nostalgie, dietrologie o fughe in avanti “traditore non trasfugo”. Il mediatore è e deve rimanere un radicato in un contesto, conoscitore del territorio dove vive e opera, deve anche essere realista, obiettivo ed idealista, sognatore impegnato.

Con la questione della Dignità umana e del cittadino, Alex ci dice anche che le beghe dei confini, Italia, padania, verona dei veronesi ecc..è solo una gigantesca operazione di miopia e di ottusità culturale che non portano a nulla sennò ad acuire sempre di più il senso di conflitti di identità che hanno lacerato la vita dei milioni di persone ovunque e anche in Europa fino a sessant’anni fa. La Mediazione come “tradimento di compattezza etnica e non trasfuga” è la migliore azione per aprire la strada alla corresponsabilità e al rispetto dei cittadini seppur nelle loro diversità favorendo in tale modo la inter-azione e lo scambio dei doni culturali attraverso il senso de l’égalité de chance.,

Grazie Alex, sii sempre con noi in questo lungo e in questo difficile cammino di questi tempi.

ti abbraccio!

Commento di Jean-Pierre Sourou Piesso

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