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Clemente Manenti: Alexander Langer, Lettere dall'Italia. Edizione Diario

1.9.2018, in allegato il libro

Ho pensato che il modo migliore di ricordare Clemente Manenti, morto il 22 agosto scorso a Pisa, fosse quello di mettere a disposizione il libro che lui aveva curato per la rivista Diario nel 2005, dedicato alle lettere che Alexander Langer aveva scritto,ogni mese dal 1984 al 1995, per la rivista Kommune.

Clemente aveva avuto con Alex, che molto lo stimava, una lunga frequentazione: dalla militanza nel quotidiano Lotta Continua al laboratorio berlinese che insieme frequentavano, alla passione per le lingue e per le traduzioni.

E' un libro prezioso e introvabile questo, perché le copie restituite dalle edicole erano impietosamente destinate al macero. Un volenteroso libraio non le troverebbe.
Enrico Deaglio fece gentilmente arrivare a Bolzano un bancone con ben 2.500 copie salvate, che abbiamo potuto donare negli anni e che conserviamo ancora per chi lo volesse ricevere.

E' prezioso perché rimane l'unica raccolta tra le molte pubblicate, che raccoglie in modo sistematico il punto di vista di Alexander Langer sulla quotidiana politica italiana, scritta in modo didascalico per un lettore “straniero”, come un po' tutti siamo in questo periodo.

Starà al lettore verificare se tengono nel tempo quelle selezionate e tradotte da Clemente, tra le 120 raccolte, e che qui di seguito sono da lui brillantemente presentate.

.             Edi Rabini

 

CLEMENTE MANENTI: PRESENTAZONE
DELLE LETTER DALL'ITALIA, 2005

Dal novembre del 1984 al giugno del 1995, il mensile di Francoforte Kommune ha ospitato una rubrica di Alexander Langer intitolata Lettera dall’Italia. Sono più di 120 corrispondenze distribuite nell’arco di un decennio, l’ultimo della vita di Langer. Di queste, circa la metà sono raccolte in questo volume. Ogni corrispondenza occupa uno spazio medio di 7000 battute: non una cartolina di saluti, ma una lunga lettera, benché certamente scritta nei ritagli di tempo, durante i continui spostamenti di Langer.

In ciascuna lettera è trattato un “tema del mese”, scelto dal mittente per lo più nell’attualità politica: il lettore “esquimese” cui Langer si rivolge, del quale conosce perfettamente la lingua, i costumi e la infelicità, viene preso per mano e condotto nei meandri e nei recessi della politica italiana, informato sui suoi meccanismi intimi, guidato attraverso il retroterra storico e civile nelle complicazioni, nelle sottigliezze bizantine, nei paradossi, nei tranelli e nelle perfidie della politica italiana. In realtà, i lettori di Kommune erano in larga parte compagni di strada e di idee di Alexander Langer, investiti con lui dalla conversione ecologista dell’esperienza del ’68, i quali in passato avevano coltivato un mito sommario dell’Italia e dei coetanei italiani più fortunati di loro (o meno orfani, perché potevano in parte vantare padri antifascisti combattenti) e che ora conservavano un interesse per il paese dei limoni, così vicino e così lontano. E il loro corrispondente forniva loro fatti, dati, cifre di lettura, analisi, frutti maturi della sua posizione privilegiata di uomo di confine, di passatore, ma anche delle scelte, degli studi, delle esperienze vissute e di un amore sempre più disincantato ma perenne per il Paese che aveva scelto fra le sue molte patrie e di cui era diventato ambasciatore senza feluca.

I dieci anni delle corrispondenze di Langer, su scala europea e mondiale, sono quelli che vanno dal lungo sciopero dei minatori inglesi alle stragi delle guerre etniche nella post-Jugoslavia, con al centro il crollo del Muro di Berlino. I dieci anni che hanno scardinato e travolto l’ordine uscito dalla seconda guerra mondiale. La perestrojka, lo smantellamento dei missili dall’Europa per iniziativa unilaterale sovietica, il ritiro dall’Afghanistan, la catastrofe di Cernobyl. La “rivolta del pane” in Algeria, la “fatwa” contro Salman Rushdie in Iran, la liberazione di Mandela e la fine dell’apartheid in Sudafrica, l’assassinio di Rajiv Gandhi. La Germania riunificata per incantesimo, l’invasione irakena del Kuwait, la Guerra del Golfo. Il “golpe” contro Gorbaciov. Il Trattato di Maastricht.

Nelle corrispondenze di Langer, gli avvenimenti internazionali compaiono di rimbalzo, sullo sfondo plumbeo e nitido delle guerre balcaniche che alla fine avrebbero divorato anche lui, l’autore della Lettera (cos’è oggi, dieci anni dopo il suicidio di Alex Langer, due anni dopo l’assassinio di Zoran Djindjic, la ex-Yugoslavia?). Per Kommune, però, continuava a costruire il suo mosaico italiano, implacabile, tessera dopo tessera, con acume e acribia sempre rinnovati, perfino con una punta di sarcasmo.

Sulla scala ridotta dell’Italia, i dieci anni sono quelli che vanno dalla strage sul treno di Natale al “ribaltone”, passando per il referendum sui punti di contingenza, l’arresto e la condanna di Enzo Tortora, il sequestro dell’Achille Lauro e Sigonella, l’elezione al parlamento di Cicciolina, il referendum sul nucleare, i racconti di Buscetta, il maxi processo di Palermo, l’arresto di Sofri, l’assassinio di Mauro Rostagno, le “lenzuola d’oro” delle ferrovie, l’avviso di reato a Celentano per lo spot sulla foca monaca, il corvo di Palermo, la Bolognina, il primo successo delle leghe, il primo processo a Sofri, la prima condanna, l’incendio del Moby Prince, l’assassinio di Libero Grassi, il rogo del Petruzzelli, il concentramento dei profughi albanesi nell’arena di Bari, via Montenevoso, via dei Georgofili, Villa Literno, la riabilitazione ecclesiastica di Galileo (non ancora del galileo), l’arresto di Mario Chiesa, l’assassinio di Salvo Lima, la strage di Capaci, l’autobomba di Borsellino … poi, improvvisamente, il tracollo della lira e la bancarotta della Repubblica, fine. Il “punto zero” che è l’equivalente italiano del crollo del Muro di Berlino. In fondo l’Italia era un paese socialista, no?…

Poi, attraverso Mani Pulite e gli infarti e suicidi collaterali, la cavalcata delle Walkirie di Mariotto Segni, l’annuncio della discesa in campo e il formarsi di quell’amalgama nuovo, ma non tanto, attrezzato a condurre la campagna di annientamento del linguaggio e del discorso tout-court, politico e comune. Comincia la transizione nella quale siamo tuttora immersi.

Dopo la caduta del Muro, Alex fra le altre cose aveva concentrato il suo interesse sul PCI, e più precisamente sul cosiddetto “popolo comunista”. Da sempre la sua attenzione preferita andava a chi si trova in mezzo al guado, come si diceva allora, o in mezzo al Mar Rosso, come forse pensava lui. Obbligato a una muta implacabile, il “popolo comunista” soffriva, ed era anche per questo il soggetto più promettente di quel momento. Forse Langer pensava che i dirigenti del PCI-PDS non potessero, anche volendo, portare a compimento quel passaggio, e che la trasformazione dovesse per forza passare attraverso lo scioglimento puro e semplice di tutte le strutture verticali del partito: una specie di traslazione dell’esofago a cuore aperto. Ovviamente, questa non era l’intenzione del dirigenti del PDS. La delusione per la posizione sostanzialmente refrattaria perfino di Ingrao, nel quale aveva riposto le sue speranze, lo persuase che dal gruppo dirigente non poteva venire altro che una resistenza sorda ad ogni vero cambiamento. Altrimenti avrebbero dovuto fare i conti pubblicamente, radicalmente e tempestivamente con troppe cose, per chi incarnava lo spessore della continuità. Langer ricorse allora agli alchimisti cinquecenteschi, che tentavano di trasformare il piombo in oro e argento, Sole e Luna, separando il sottile dallo spesso attraverso la formula magica del “solve et coagula”. Per una simile operazione si richiedeva però l’intervento di un fattore eterologo, pur nella funzione provvisoria e altruista di catalizzatore, di solvente: “un papa straniero”, come scrisse in una lettera aperta rivolta al “popolo comunista” attraverso il settimanale satirico Cuore, che usciva come allegato dell’Unità del lunedì.

La lettera, intitolata dal giornale “Voglio quel posto a Botteghe Oscure”, diceva tra l’altro: “Bisogna far intravvedere l’alternativa di una società più equa e più sobria. Compatibile con i limiti della biosfera e con la giustizia, anche tra i popoli. Da molte parti si trovano oggi riserve etiche da mobilitare che non devono restare confinate nelle “chiese”, e tantomeno nelle sagrestie di schieramenti e ideologie (…). Un “Papa straniero” può agire con candore, determinazione e libertà inedite (…) Se oggi vi offro di esaminare – nei modi che riterrete più congrui – una mia candidatura alla vostra guida, non lo faccio per presunzione o brama di una poltrona tutt’altro che comoda, ed in ogni caso chiederei un mandato a tempo determinato. Un gesto rivoluzionario del PDS, quale quello di affidarsi a una guida “esterna” (non ostile) per cultura e militanza, con la disponibilità ad utilizzare appieno le potenzialità di rottura e diversa ricomposizione all’interno e verso l’esterno (anzi, forse questi due termini non conserverebbero il loro valore), potrebbe mettere in moto una reazione a catena e restituire a molti tra coloro che oggi si sentono sconfitti e delusi un senso di riscoperta e di nuova motivazione a rimettersi in cammino”. Era il 25 giugno del 1994. Queste parole erano intese sul serio: perciò le aveva indirizzate a Cuore, giornale satirico della sinistra, con una nota di accompagnamento che diceva: “Certe proposte, proprio per la loro serietà, possono essere fatte solo attraverso mezzi d’informazione estremamente seri”.


Un’esperienza comune a chi - politicamente interessato, ma passivo - si sia assentato dall’Italia per periodi brevi e per periodi lunghi, può essere riassunta così. Se si è stati via un paio di mesi, quando si torna non ci si raccapezza più nella lettura dei giornali e nelle battute del bar. È come se avessimo perso cinquanta, sessanta puntate del nostro fogliettone quotidiano. I titoli dei giornali cominciano quasi tutti con la congiunzione “E…”, caso unico nel mondo. Ci sono continui riferimenti a qualcosa che è successo cinque puntate fa, dieci puntate fa, e ci risultano oscuri. Sentiamo espressioni gergali sconosciute, legate a qualcosa che ignoriamo. Ci arrovelliamo per capire il perché dei ritornelli di nuovo conio da tutti ripetuti: “Paghi tu o pago io?” “La seconda che hai detto!”. Non si può chiedere spiegazione perchè una battuta spiegata, come una lucertola morta, perde il guizzo. Oppure, mentre prima dicevano “sì”, “no”, ora tutti dicono: “assolutamente sì!”, “assolutamente no!”. Cos’è successo?

Niente, sono i famosi “tormentoni”, febbri virali, morbilli che assalgono l’intera popolazione, l’attraversano, la percuotono, la squassano e se ne vanno. Se non si è stati esposti al contagio al momento giusto, non si può capire. Tanto meglio.

Ma la stessa cosa succede con la politica, alla quale siamo interessati, e qui si è colti da un disagio, a volte da un rimorso, per essercela svignata proprio quando stava per scoccare una svolta. Abbiamo perso una elezione, un referendum andato al mare, e ci sentiamo in colpa, come se col nostro voto avessimo potuto parare il colpo...

Se invece siamo stati via cinque, sei, sette anni, tutto questo non succede. Al contrario: quanto più lunga è stata l’assenza e più grande la distanza, degli occhi e del cuore, tanto più al ritorno ci sgomenta vedere come tutto sia rimasto identico. Niente è cambiato. Le cinquemila puntate perse sono azzerate, il giro riparte proprio da lì dove eravamo scesi. Nessuna novità. Anche questa non è un’esperienza felice, per fortuna ci sono gli amici.

Ora, leggendo le corrispondenze di Alex Langer dall’Italia, cominciate venti e interrotte dieci anni fa, la sindrome di spaesamento qui descritta si ripropone in vitro, non sublimata. Tutto è rimasto uguale, d’accordo, sono passati tanti anni… ma qualcosa non torna. Forse dipende anche dall’ispirazione anticipatoria, divinatoria dell’autore: raccontando il presente, descriveva il futuro, il nostro pane quotidiano di oggi. È uno che vedeva lontano e guardava ancora più lontano. Ha visto fino a noi, e oltre. Leggendo i suoi dispacci dal teatrino della politica e dei suoi attori di allora, siamo percorsi da un brivido di “deja vu” all’incontrario: come, il presente ritorna nel passato? Certo, qualcuno è sceso, qualcuno è entrato in coma profondo… forse, chissà, ritornerà un giorno Federico Caffè…Tutto è rimasto uguale, sì, ma c’è una piccola differenza inguaribile, una distanza incolmabile e perfettamente misurabile: dieci + dieci anni. Non riusciamo a dimenticare, non riusciamo a ricordare come e perché il racconto si è interrotto in quel punto. Forse è per questa ragione che le lettere cattoliche di Alexander Langer somigliano alle lettere luterane di Pier Paolo Pasolini, spedite a Gennariello giusto venti anni prima.

 

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