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La premio Nobel Narges Mohammadi picchiata durante una protesta pacifica nel carcere di Evin a Teheran
13.8.2024
All’alba del 6 agosto, Reza Rasaei viene giustiziato nel carcere di Dizel Abad, nella provincia iraniana di Kermanshah, per «moharebeh», guerra a Dio.
Quando la notizia dell’impiccagione dell’attivista curdo di 34 anni raggiunge il braccio femminile del carcere di Evin, a Teheran, le prigioniere fanno rumore, urlano slogan contro la Repubblica islamica. Poi, nel cortile, iniziano una protesta pacifica guidata anche dall’attivista e premio Nobel Narges Mohammadi, voce fondamentale del movimento Donna, Vita, Libertà.
Le guardie fanno irruzione. Insultano e picchiano senza pietà. Tra le donne prese a calci e pugni c’è anche Mohammadi, che, secondo l’associazione Free Narges Coalition, «dopo ripetuti colpi al torace, oltre al dolore acuto, ha avuto un attacco respiratorio».
Narges soffre di problemi cardiaci e questa notizia allarma la famiglia che non riesce a mettersi in contatto con lei. Ma le informazioni riescono a uscire grazie anche alle compagne meno sorvegliate che raccontano cosa succede. Sempre la Free Narges Coalition: «Il 10 agosto Mohammadi ha fatto una richiesta scritta alle autorità carcerarie chiedendo di incontrare i suoi avvocati e chiedendo la presenza di un rappresentante dell'Organizzazione di medicina legale per documentare le contusioni e le ferite sulla parte destra del torace e sul braccio sinistro».
(fonte: Il Corriere della Sera)
Come Fondazione Alexander Langer Stiftung sottoscriviamo l'appello diffuso da Taghi Ramani, marito di Narges Mohammadi, ed esprimiamo la nostra solidarietà a tutte le donne e gli uomini che continuano a rischiare la vita per combattere per lo stato di diritto chiedendo alle autorità iraniane:
* L'immediata cessazione dell'uso della pena di morte da parte dell'Iran, che è una punizione inumana e degradante, in linea con il nostro impegno per l'abolizione universale della pena di morte;
* Il rilascio di tutti i prigionieri politici e di coscienza detenuti arbitrariamente e la cessazione dei procedimenti giudiziari che violano i diritti alla difesa e a un giusto processo;
* L'attuazione immediata di misure da parte dello Stato iraniano per garantire la sicurezza fisica e psicologica dei detenuti sotto la sua custodia in tutto il Paese, in particolare nel reparto femminile della prigione di Evin.
* L'attuazione di un'indagine penale internazionale e indipendente che porti alla luce la verità sugli atti di violenza commessi contro i prigionieri politici nella prigione di Evin; queste accuse devono essere debitamente ricevute dalle autorità iraniane.