Grazia Barbiero, rivista on-line dell'associazione LibeRe
Di là del mare, sono soprattutto voci e azioni di donne che spostano le cose. Sono le donne il motore più forte dei processi di cambiamento che stanno ridisegnando le culture sociali, e di conseguenza la politica, le forme di governo nei paesi che si affacciano lungo le coste meridionali del Mediterraneo. Noi, impegnate in questo stretto passaggio della storia a dar vita ad una Europa in grado di porsi nel mondo globale come soggetto statuale forte e unitario, non possiamo trascurare quelle voci e quelle azioni che ci riguardano così da vicino. In fondo, questa attenzione non è che una costante della nostra vicenda storica e della nostra civiltà, e questo portiamo in dote all'Europa. In questi giorni, ha parlato al Parlamento italiano Ahlem Belhadj, psichiatra tunisina di 47 anni, protagonista con la sua associazione di una “Primavera araba” nata per l'opinione pubblica italiana solo di recente, ma in realtà attiva da ventitré anni, da quando la Tunisia è caduta nelle mani del dittatore Ben Ali.
Da quel momento, le donne tunisine hanno avviato con un tempismo ignoto in larga misura in Europa, una lunga marcia civile in difesa dei diritti delle donne. Erano e sono convinte che il rispetto della dignità delle donne, la lotta contro ogni discriminazione di genere modifichi in senso positivo il quadro sociale promuovendo libertà e democrazia assieme ad una migliore qualità della vita di ogni cittadino. Ad Ahlem Belhadj e alle sue compagne è andato il Premio Langer di quest'anno.
Alla conferenza euro-mediterranea di Barcellona del 1995, Alexander Langer aveva concepito un “progetto storico di lunga durata che rivalorizzasse quella grande eredità comune costituita dall'incrocio tra tre continenti, tre grandi religioni e fra tradizioni fortemente interrelate”. Purtroppo, quella “visione” fin qui non ha prodotto azioni significative in grado di dare nuovo valore a questo incrocio strategico. Ma resta la luce di una intuizione alla quale prima o poi sarà conveniente tornare, poiché è la sola, certa fonte di pace e di buone relazioni tra mondi diversi in un'area della terra da decenni sottoposta a tensioni fortissime e altrettanto disgraziatamente strategiche. La Tunisia, già nel 1957 aveva adottato il Code du Statut personell che aveva consentito alla tunisine il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali, tra i quali il divorzio, ben prima che la questione dei diritti facesse progressi in altri paesi del Mediterraneo meridionale. L'Associazione delle donne democratiche tunisine, che ha sempre protestato la sua indipendenza e la sua autonomia fondata su un femminismo militante, ha lavorato sui temi della uguaglianza e della cittadinanza in stretta relazione con gli obiettivi della democrazia e della separazione tra politica e religione. Sotto la dittatura, si muovono con altri movimenti del Maghreb e del Mediterraneo, e, in patria, si alleano a poche altre associazioni attive sul terreno dei diritti. L'Associazione conduce lotte politiche e giuridiche affinché siano applicate le norme delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le discriminazioni contro le donne. Intanto, il regime assumeva un carattere sempre più repressivo per vanificare le conquiste già adottate dalla legislazione. Non è solo una battaglia di principi: l'Associazione penetra la società, le sue militanti operano nei centri urbani accanto alle donne del popolo, creano un centro di ascolto per le vittime delle violenze, attivano partecipazione, creano consapevolezze sconosciute; in pratica alimentano le radici della Rivoluzione che, al suo scoppio, troverà una cultura di crisi pronta ad accoglierla e a sostenerla