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Fabiana Martini e Tiziana Ciavardini: Iran, l’appello urgente di Narges Mohammadi

17.7.2020, Articolo 21

L’Iran in questi giorni fa parlare di sé. Oltre alla gravissima crisi economica che il Paese sta affrontando, si stanno mettendo in atto proteste soprattutto dopo la conferma della condanna a morte di tre giovani iraniani colpevoli solo di aver partecipato alle manifestazioni di dissenso per il caro benzina lo scorso dicembre.

In Medio Oriente l’Iran è stato uno dei Paesi piú colpiti dal Covid-19. In realtá le autorità non hanno mai imposto un lockdown totale e a partire dalla metà di aprile hanno deciso la graduale riapertura di tutte le attività, ma nelle ultime settimane la diffusione della malattia ha registrato una aggravamento della situazione. Molte sono le accuse alle istituzioni iraniane da una parte del popolo, che ancora oggi lamenta negligenze nella gestione dell’emergenza sanitaria, segnata da ritardi che hanno causato la morte di numerose persone e un altissimo numero di decessi. Sui dati relativi al numero esatto delle persone decedute a causa del Coronavirus c’é ancora molta confusione.

Per arginare il problema della diffusione del virus soprattutto nelle carceri l’Iran aveva liberato temporaneamente migliaia di detenuti, negando peró la possibilità di uscita ai prigionieri di coscienza, ai cittadini di doppia nazionalità, ai difensori dei diritti umani, agli ambientalisti che sono ancora a grave rischio di contagio a causa della loro età o delle condizioni pregresse di salute.

Una delle vicende piú dolorose é forse quella di Narges Mohammadi, attivista per i diritti umani in carcere dal 2016. Già lo scorso maggio dopo varie richieste di scarcerazione temporanea gli agenti dell’intelligence della Repubblica Islamica avevano incrementato le restrizioni proprio sul suo caso. Narges, da quando è stata imprigionata, è stata più volte ricoverata in ospedale. Soffre di embolia polmonare (un coagulo di sangue nei polmoni) e di un disturbo neurologico che le provoca convulsioni e paralisi parziale temporanea. Ora è colpita dal Covid-19.

Narges é un’attivista a favore dei diritti delle donne e degli studenti e a difesa delle persone detenute, in particolare di quelle recluse per reati di opinione, è stata più volte incarcerata; ha scritto su riviste d’orientamento riformista in cui si batte per l’uguaglianza di tutti i cittadini, indipendentemente dall’appartenenza di genere e dalle opinioni politiche o religiose. Collaboratrice di Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace nel 2003, portavoce e vicepresidente del Centro per la difesa dei diritti umani, nel 2008 venne eletta presidente del comitato esecutivo del Consiglio Nazionale della pace in Iran; pochi mesi dopo le ritirarono il passaporto accusandola di aver svolto attività di propaganda contro la Repubblica islamica dell’Iran. La sua “colpa” è di aver invocato l’abolizione della pena di morte, aver parlato di diritti umani con rappresentanti di istituzioni internazionali e aver preso parte a manifestazioni pacifiche per i diritti delle donne, in un periodo in cui erano frequenti gli attacchi con l’acido nei loro confronti. Per il suo impegno nel 2009 ha ricevuto il Premio Alexander Langer, un riconoscimento con cui la Fondazione intende onorare e tenere vivo il ricordo di Alex Langer, presentando all’opinione pubblica il lavoro di persone anche sconosciute che con scelte coraggiose, indipendenza di pensiero, forte radicamento sociale siano capaci di illuminare situazioni emblematiche e strade innovative per promuovere la difesa dei diritti contro ogni forma di discriminazione, la ricerca di soluzioni solidali ai conflitti che attraversano la società, la conversione ecologica dell’economia, del lavoro e degli stili di vita. Persone capaci di mediare, di costruire ponti, di saltare muri, di esplorare frontiere, di portare speranza.

Proprio dalla Fondazione Langer (www.alexanderlanger.org/it) riceviamo e pubblichiamo con preghiera di diffusione l’appello disperato che Narges ha inviato dalla prigione di Zanjan:

 “Siamo 12 donne contagiate con coronavirus. L’11 luglio hanno separato le donne prigioniere del carcere di Zanjan. Noi siamo complessivamente 18 donne in questo carcere. Sei donne non avevano i sintomi della malattia e sono state trasferite in un’altra sezione del carcere. Noi 12 donne, che da circa 11 giorni presentiamo i sintomi della malattia, siamo praticamente in quarantena in questa sezione del carcere.

La settimana scorsa, viste le nostre condizioni di salute e con l’insistenza delle nostre famiglie, ci hanno fatto il test. Non abbiamo comunque ricevuto fino ad oggi i risultati. Oggi improvvisamente sono entrate alcune persone nel carcere e ci hanno separato nuovamente. Una donna in condizioni cliniche preoccupanti è stata trasferita giovedì scorso in ospedale e successivamente rilasciata su cauzione a seguito della diagnosi di Covid. In circa un mese abbiamo avuto 30 nuove persone che sono entrate in questo carcere, di cui alcune con sintomi da coronavirus ed almeno una di loro con diagnosi certa di Covid, che è stata successivamente rilasciata a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute.

Noi 12 donne presentiamo sintomi di affaticamento eccessivo e dolore addominale, diarrea, vomito, perdita di olfatto. Non abbiamo accesso alle cure adeguate né ad una alimentazione corretta. La mancanza di strutture mediche, la mancanza di spazio per la quarantena per nuove entrate e la mancanza di controllo sanitario ha causato la diffusione del coronavirus. Chiedo al Signor Namaki, Ministro della sanità, di inviare un rappresentante per prendere visione della situazione nella prigione femminile di Zanjan.

Vorrei inoltre denunciare per vie legali le condizioni difficili ed intolleranti della prigione di Zanjan, ove mi trovo da circa 6 mesi, e la mancanza di cure mediche. In questo periodo, per l’esplicita richiesta del Ministero dell’Intelligenza e della Magistratura, non mi consentono né di comprare carne a mie spese né di sentire i miei figli per telefono. Non sento la voce dei miei figli da quasi un anno. Ora sono anche contagiata con coronavirus, senza cure mediche.”

Lo scorso aprile 2020 un team di esperti sui Diritti Umani delegati dalle Nazioni Unite avevano inviato una lettera alla Repubblica Islamica dell’Iran in cui hanno chiesto di estendere la liberazione temporanea anche ai prigionieri di coscienza e ai cittadini con pregresse condizioni di salute. Tra queste anche Narges. Ma attraverso il portavoce della magistratura, Gholamhossein Esmaili, il Governo iraniano aveva dichiarato che erano stati liberati solo coloro che stavano scontando condanne a meno di cinque anni, mentre i prigionieri politici e quelli accusati di condanne più pesanti, legate alla partecipazione a proteste antigovernative, sarebbero rimasti in prigione. Secondo l’Iran questi prigionieri sono considerati “terroristi” e “spie straniere” e per questo definiti dallo stesso Esmaili “criminali contro la sicurezza” e “tristi esempi”: «Hanno agito contro la nostra sicurezza nazionale e sono stati condannati a più di cinque anni, — ha detto — per questo non possiamo concedere la licenza temporanea per lasciare il carcere».

 

La Fondazione Langer, che in questi giorni si sta attivando con i parlamentari italiani ed europei e si sta muovendo per organizzare un presidio di protesta a Roma davanti all’ambasciata iraniana, raccoglie messaggi per Narges: chi lo desidera può scrivere a info@alexanderlanger.net indicando anche nome, cognome, luogo


Articolo 21

https://www.articolo21.org/2020/07/iranlappello-urgente-di-narges-mohammadi/

 

Pagina del sito di Mauro Biani - dedicato a Narges Mohammadi

 

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