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Krzysztof Czyzewski, l'idea di confine nella tradizione europea

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Solo pochi decenni orsono, negli anni ’60, l’Europa occidentale desiderava eliminare quei confini, che separavano paesi, nazioni e popoli.

Questa ambizione nasceva dalla fiducia nello sviluppo delle tecnologie e sembrava che potesse concretizzarsi la famosa predizione di MacLuhan circa la nascita del “villaggio globale”, in cui confini e frontiere sarebbero diventati superflui. C’era inoltre la convinzione che, grazie a tale evoluzione, ogni genere di conflitto etnico e altre tendenze separatiste sarebbero scomparsi. Un’idea simile era presente anche all’interno del blocco orientale europeo, pur essendo essa condizionata dall’ideologia comunista, secondo cui la sindrome nazionalistica poteva essere combattuta solo grazie alla creazione di una nuova umanità, “l’homo sovieticus”. Questo internazionalismo orientale era tuttavia solo di facciata, atto a mascherare una costante politica sciovinista. Ciò è dimostrato dai confini esistenti tra gli stati fratelli. Un semplice viaggiatore, pur in possesso di documenti regolari, non poteva importare nulla, non poteva portare libri proibiti, altrimenti alla frontiera sarebbe stato considerato un trasgressore e l’avrebbero umiliato e offeso. Ed è per questo che gli abitanti che vivevano al di là del muro osservavano con invidia ciò che avveniva in Europa Occidentale. Il mondo senza confini rappresentava il simbolo della libertà.

La caduta dei muri

Nel 1990, dopo la caduta del muro si supponeva che gradualmente anche in Europa orientale e centrale si sarebbero abbattute le frontiere. Nel frattempo invece, nuovi confini, pagati a caro prezzo, andavano delineandosi all’interno della Iugoslavia; un confine, per molti incomprensibile, separa la repubblica Ceca dalla Slovacchia; una serie di confini ha ormai coperto l’ex territorio di quella che fu l’Unione Sovietica. Sempre più spesso, in nome della libertà o della sovranità nazionale i cittadini reclamano la creazione di nuovi confini, se non addirittura la chiusura delle frontiere. Ciò avviene in Europa orientale, ma siamo sicuri che avvenga solo lì ?
Tuttavia, nonostante la modernizzazione e lo sviluppo tecnologico, nonostante i progressi compiuti per l’unificazione europea, è curioso constatare, come oggi, all’inizio del nuovo secolo, nessuno osi preconizzare la definitiva scomparsa delle frontiere. Al contrario invece, si alzano sempre più voci che si battono per il mantenimento di confini e di linee di demarcazione. La tecnologia, pur avendo dato un grosso contributo, è tuttavia inerme di fronte alla paura di un eccessiva apertura, che nutrono i membri della comunità europea. Inoltre, i conflitti etnici non sono affatto svaniti, poiché il sentimento nazionale, a dispetto delle trasformazioni, rappresenta una forza vitale a cui, ancora oggi, tanti europei sono sensibili.

Attualmente si assiste a una rivalutazione dei confini, a causa del crollo di determinati equilibri geopolitici. E’ importante quindi interrogarsi sul nuovo significato di confine, alla luce dell’attuale dibattito riguardante l’Europa delle regioni.
E’ interessante osservare quanto scrive Jean-Marie Domenach, nel suo saggio “L’Europa: la sfida culturale”, riguardo alla scomparsa dei confini : “ Attraverso il Reno grazie al ponte Europa, senza che però vi siano pannelli che mi indicano che sto passando dalla Francia alla Germania. Una volta, quand’ero bambino, con il cannocchiale di mio nonno, osservavo le manovre militari della gioventù hitleriana. Oggi, pur essendo contento di questa radicale trasformazione, provo un certo turbamento, poiché non noto più le linee di demarcazione del mio territorio le quali, dopo tutto, servivano a definirmi e a chiarirmi i miei propri limiti ”.

Tale osservazione contiene una contraddizione che è molto difficile da sciogliere: da una parte vi è la gioia per la caduta di un confine, mentre dall’altra vi è la necessità del suo mantenimento in quanto fattore che serve a definire la mia identità.
E’ necessario dunque affrontare il problema in un altro modo, ponendosi la domanda se questi due opposti atteggiamenti si eliminino a vicenda, se si debba a tutti i costi cercare la soluzione favorendo un atteggiamento a scapito dell’altro, o se non si debba invece, partendo dalla riflessione di Jean-Marie Domenach, prendere atto di questa contraddizione, come parte integrante della natura europea, per cercare di costruire un modello europeo in grado di contenere le diverse istanze, dal momento che lo spirito europeo, nella sua diversità e nella sua pluralità, è sempre stato refrattario ad accettare un modello unidimensionale.

Un confine è labile

Io provengo da una parte dell’Europa, in cui non c’è nulla di più labile dei confini statali. Qui si trovano persone, che nel corso della loro vita, pur essendo rimasti nello stesso posto, sono stati cittadini di tre o quattro paesi diversi. Dopo la seconda guerra mondiale, i confini del mio paese si spostarono di cento o più km verso Ovest. La labilità dei confini emerge ancor più, e spesso in maniera assurda, nel momento in cui ci si accinge ad analizzare, in maniera appropriata, la realtà, che si presenta davanti ai nostri occhi. Per esempio, succede che per ragioni sconosciute un confine attraversi il centro di una cittadina, separando di fatto persone che parlano la stessa lingua. Dopo la prima guerra mondiale, in Europa centrale, al posto di sette vennero creati quattordici Stati, e oggi non vi è nessuno stato, che considererebbe i propri confini in modo equo; questa è l’eredità dei trattati di pace delle due guerre. I confini furono segnati a tavolino, da un gruppo di politici e militari psicopatici, per celebrare le proprie vittorie militari. Io stesso vivo in un luogo che viene chiamato “Triplice Incrocio”, un inedito angolo d’Europa in cui, sin dal 1500, i confini di tre stati si sono costantemente incrociati: prima il regno di Polonia, il granducato di Lituania e l’Ordine Teutonico; oggi la Polonia, la Lituania e il distretto di Kaliningrad, appartenente alla Russia.


I Confini dell’Europa

E’ molto difficile, oggi, come ieri, riuscire a stabilire quali siano i confini “naturali, geografici” dell’Europa. Per quanto riguarda le frontiere orientali, secondo Erodoto correvano lungo il fiume Don, secondo De Gaulle lungo la catena degli Urali. Fino a pochi anni fa c’era chi sosteneva che il confine corresse lungo le rive dell’Elba. Oggi si dà quasi per scontato che l’Europa vada dagli Urali all’Oceano Atlantico.
Ma dove collocare i suoi confini meridionali ?
Potrà sembrare paradossale, ma è nel suo universalismo che l’Europa ha avuto i propri confini, e cioè è senza confini.
Universale è stata la civiltà europea, i cui confini sono variati nel corso dei secoli. Tali confini servivano a separare i popoli civilizzati dai Barbari, e quindi, di volta in volta, con l’espansione della propria civiltà, un numero sempre maggiore di popoli sono stati inglobati dalla civiltà europea. E’ il caso, ad esempio, dei popoli dell’Europa centrorientale, che nel passato furono Barbari ed oggi, invece, contribuiscono all’identità europea. Questo dimostra come i limes europei non siano mai stati ermeticamente chiusi, come invece è avvenuto per la civiltà cinese, il cui ermetismo è rappresentato dalla famosa muraglia. Ciò nonostante questa flessibilità e labilità dei confini è un fattore determinante anche per definire l’esistenza di determinate linee di demarcazione. Infatti i limes esistono nella nostra coscienza.

L’Europa e il suo Centro

Oggi, parecchie discussioni si articolano intorno alla ricerca di un Centro focalizzatore per l’insieme della civiltà e unione europea. E’ possibile oggigiorno trovare un Centro? La miglior espressione per definire oggi un Centro è affermare che non esiste, perché il Centro è ovunque; il centro è in quella che oggi viene definita l’Europa delle regioni.
In che cosa consiste l’Europa delle regioni? E’ una sfera, il cui Centro è ovunque ed i suoi confini da nessuna parte. La nascita di piccole o grandi regioni in Europa significa la creazione di autentici Centri a misura d’uomo, che consentano a ciascuno di esprimersi senza alcuna limitazione. Questo processo è necessario per la stabilità dell’unione europea. Un’apertura totale ed indiscriminata isolerebbe e condannerebbe le singole identità con conseguente effetto boomerang, con il quale si creerebbe un’opposizione all’unificazione. E’ falso affermare che il senso di radicamento e di appartenenza alle singole regioni (anche le più piccole) costituiscano un pericolo per il riemergere di sentimenti particolaristici, xenofobi e nazionalisti. Il nazionalismo proviene dalle periferie; esso è nato all’interno di popolazioni, che si sentivano isolate dal Centro, sfruttate dal Centro e frustrate dal Centro.
In questo senso il nazionalismo è il figlio di periodi, in cui c’era una forte disparità tra il Centro politico culturale e le sue province. Un vero equilibrio sarà raggiunto nel momento in cui l’Europa creerà dei centri nelle periferie, il cui Centro sarà ovunque.

(traduzione e sintesi di Gianfranco di Genio)
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